Siamo prigionieri di uno Stato-polizia
Giorno dopo giorno, si stringe sempre più il cappio intorno al collo degli italiani, con la prospettiva che il "restate tutti a casa" duri almeno fino all'estate. Colpa di scelte politiche sciagurate, che renderanno impossibile allentare la presa per il 16 aprile. Prepariamoci a una grave situazione sociale ed economica.
Siamo prigionieri. Siamo prigionieri due volte: sia per le note restrizioni, sempre più severe, sia perché siamo ormai alla mercè di una strategia di contenimento del virus da cui non si può uscire e che promette di allungare questo periodo di settimane se non mesi.
Ieri sera ne abbiamo avuto una ulteriore prova: ancora un decreto (ormai abbiamo perso il conto), ancora un discorso del presidente del Consiglio Giuseppe Conte che annuncia misure più rigide e promette che altre ne verranno. Il tutto mentre i numeri dei contagiati e dei morti continuano a salire e chi ci governa continua a scaricare la responsabilità sui cittadini disobbedienti.
Il punto è che un indiscriminato “restate tutti in casa” o il “chiudere tutto” potrebbero essere comprensibili se fossero per un periodo breve e definito: 15-20 giorni al massimo. Uno sforzo da chiedere a tutti, dai costi sociali ed economici limitati e sopportabili. Ma forse non sarebbe servito nella circostanza, e allora era doveroso pensare una diversa strategia. Perché mettere agli arresti domiciliari una intera nazione di 60 milioni di abitanti a tempo indeterminato è pura follia, e infatti decreto dopo decreto diventiamo sempre più simili alla Cina comunista. Un paese ormai militarizzato e in cui dai prossimi decreti ci si può aspettare di tutto, perché siamo entrati in un circolo vizioso: più i tempi si allungano più diventa difficile far restare tutti in casa, così si approvano provvedimenti sempre più coercitivi. E via in una spirale senza fine. I suicidi di cui parliamo in un altro articolo sono solo l’inizio di un disastro sociale incombente che non dipende dal coronavirus, ma dal modo di affrontare l’emergenza.
Si deve essere coscienti che questa modalità di contenimento del virus scommette necessariamente su tempi molto lunghi. Il balletto delle date è solo una tattica per farcela digerire: il 23 febbraio erano stati annunciati 15 giorni, poi si è passati al 3 aprile, quindi al 15 aprile, e ora si va certamente a fine mese. Ieri girava la voce che il decreto avrebbe già prorogato la legislazione d’emergenza fino al 31 luglio. Nel decreto questa data non ha trovato spazio, ma è evidente che questo è l’orizzonte temporale realistico cui si sta pensando.
Basta fare quattro calcoli: a ieri sera i casi totali di coronavirus accertati (compresi i guariti) erano arrivati quasi a 70mila. L’altra sera però il capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, ha detto che in effetti i contagiati potrebbero essere un numero dieci volte superiore. Attenzione, abbiamo detto contagiati, non malati, ed è una differenza decisiva. In ogni caso, oggi potremmo stimare che ci siano 700mila persone infettate. La stragrande maggioranza, ovviamente, non ha nulla o l’ha già vissuta come una forte influenza, ma senza strascichi particolari. Dei 70mila casi accertati, 54mila sono quelli tuttora positivi, ovvero contagiosi. Ora, anche se il picco dovesse arrivare nei prossimi giorni, come ci si augura, quale potrebbe essere la situazione al 15 aprile? Realisticamente, tenendo per buona la stima di Borrelli e un incremento quotidiano di contagi calcolato su quello attuale si potrebbe arrivare a un numero di contagiati tra i 4 e i 5 milioni. A quel punto i contagiosi potrebbero essere tra gli 80 e i 120mila.
Si può realisticamente pensare che in queste condizioni il 16 aprile si possa coerentemente cominciare ad allentare la morsa sui cittadini? Niente affatto, perché avere qualche decina di migliaia di infetti liberi di circolare pone ovviamente a rischio quei 55-56 milioni di italiani che non sono stati neanche sfiorati dal coronavirus, e lasciare maggiore libertà significa far ripartire l’epidemia con numeri esponenziali. Quindi è assai probabile che in queste condizioni e se si mantiene questa strategia, si possa arrivare fino all’estate, a meno di miracoli. Ma qualcuno pensa davvero che si possa tenere una nazione ingabbiata per altri 3-4 mesi senza che le tensioni sociali arrivino a livelli ingestibili? Chi sta seguendo questa strada o è totalmente incapace o persegue un disegno ben preciso di svolta totalitaria.
Perché oltre alle conseguenze sulla tenuta psichica delle persone, c’è anche il disastro economico che incombe. In questi giorni abbiamo molte volte sentito demonizzare chi parla di economia: «In questo momento bisogna anzitutto tutelare la salute, altro che pensare a guadagnare e fare profitto». Ma questa è una visione puramente ideologica che disconosce la realtà. In effetti salute ed economia sono strettamente legate. Abbiamo già rilevato nei giorni scorsi come l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo sia anche figlia dei tagli pesanti ai posti letto negli ospedali e al personale sanitario, che vanno avanti da anni. Ovviamente per ragioni economiche (a cui, a dire il vero, vanno sommati anche i costi dell’inefficienza burocratica).
E chi paga la sanità se non si produce e quindi con contributi e tasse si pagano i servizi? Se l’economia si blocca – anzi, i danni sono già ingenti - la prossima finanziaria provvederà a tagliare ulteriormente i fondi alla Sanità, con la conseguenza che diminuiranno ancora i posti letto e gli ospedali. Cioè, alla prossima ondata di coronavirus andrà ancora peggio e anche in assenza di una epidemia si morirà di più. A questo poi si deve aggiungere la situazione dei singoli cittadini. Quanti perderanno il posto di lavoro a causa di questo blocco totale dell’economia? E in cosa si tradurrà questo? In ulteriori morti per mancata assistenza sanitaria.
L’ultimo Rapporto sulla povertà sanitaria, curato dal Banco Farmaceutico e presentato lo scorso dicembre, già rilevava che mezzo milione di italiani non hanno potuto acquistare medicinali di cui avevano bisogno, per ragioni economiche (la spesa farmaceutica totalmente a carico delle famiglie è salita fino al 40%). A questi vanno poi aggiunti 12 milioni e 600mila italiani che almeno una volta nel corso dell’anno hanno dovuto rinunciare alla spesa per visite mediche e accertamenti diagnostici. Quanti di questi, perdendo il lavoro, scivoleranno nella categoria inferiore andando ad ingrossare le fila di chi non può curarsi? Quante morti premature dovremo registrare come conseguenza?
Certo, nessuno conteggerà questi morti, nessuno ci farà il bollettino quotidiano dei decessi per povertà sanitaria. Ma le morti sono reali anche quando non vengono pompate ogni giorno dai media. Perché nel 2019 sono morti circa 650mila residenti in Italia, di cui 230mila per malattie cardiovascolari e 180mila per tumori. Per malattie del sistema respiratorio (extra-coronavirus) ci sono stati 53.300 morti, e di questi 13.500 per polmonite. È certo che nel 2020 vedremo aumentare questi numeri, non tanto per il coronavirus, quanto per le sciagurate politiche anti-coronavirus che aumenteranno la fragilità psichica e la povertà.