Si scrive proibito, si legge lecito: è la poetica di Chiodi
Rileggere Humanae Vitae: il teologo Chiodi ci spiega che l’enciclica afferma che si può fare ciò che la stessa enciclica proibisce. Così le norme morali, mutano e cangiano a seconda della forma e del colore del contenitore che le riceve.
Devo ammettere di essermi sbagliato. Pensavo, dopo avere passato a studiare tre anni per scrivere “I veleni della contraccezione”, di averli sentiti tutti gli argomenti usati per giustificare la contraccezione. Ma dopo che ho letto l’articolo del teologo Maurizio Chiodi, membro della PAV di monsignor Paglia, devo dire che siamo di fronte ad un argomento nuovo che si potrebbe indicare come argomento enigmistico. Scrive Chiodi su Avvenire: “La coscienza non è riducibile a una consapevolezza di sé, né alla conoscenza di una verità “oggettiva, né a una facoltà che applica la legge morale, né al giudizio che mi deve dire che cosa devo fare hic et nunc”.
Non abbiate fretta, aspettate, ora ce lo dice che cos’è la coscienza. “Essa coincide con la totalità del sé (persona), nella sua valenza insieme patica e pratica. Ciò significa che per un verso le esperienze buone del vivere, con la loro originale qualità relazionale, si inscrivono nella coscienza come la forma passiva e affettiva della sua identità temporale e narrativa, e che per altro verso il bene può essere attivamente voluto, solo perché è anticipato, nelle forme di una passività che suscita e autorizza l’attività drammatica della coscienza”. Chiaro, no? Se a qualcuno fosse venuta voglia di dare risposta analoga a quella di Giovannone il sottocuoco al conte Mascetti, io lo dissuaderei fermamente, invitandolo ad essere più rispettoso verso le espressioni della pastorale in uscita che superano la rigidità dottrinale, in questo caso quella del Catechismo ai numeri 1777-1780.
Dopo avere passato ore nel tentativo vano di decifrare il contenuto semantico di questa parte del testo di Chiodi, ad un certo momento mi è apparso chiaro quanto il mio sforzo fosse inutilmente destinato alla frustrazione. Non il significato letterale delle parole, ma la musicalità è ciò che conferisce valore al testo che dunque in questo passaggio non è teologico, né filosofico, ma artistico, volto ad avvolgere e proteggere il contenuto ermetico che solo quando Chiodi scrive “le norme morali non sono riducibili ad una oggettività razionale, ma chiedono di essere inscritte nella vicenda umana, intesa come storia di grazie e di salvezza”, si rivela. Con discrezione poetica Chiodi afferma la sua visione soggettivistica della moralità.
Le norme morali, mutano e cangiano a seconda della forma e del colore del contenitore che le riceve. Così diventa impossibile correggere la percezione soggettiva della norma morale, perché ciascuno finisce per dare ospitalità alla propria rappresentazione di detta norma. Egli scrive che le norme morali “custodiscono il bene”, ma precisa che si tratta di un bene “che si dà nelle esperienze della vita”, rimarcandone così il carattere soggettivistico, non da perseguire come bene in sé, ma come bene esperenziato e com’è noto, ciascuno fa le proprie esperienze.
Ma veniamo agli aspetti più pratici indicati da Chiodi il quale individua la sapienza di Humanae vitae non in ciò che integralmente afferma quel testo di Paolo VI, l’inscindibilità dei significati unitivo e procreativo dell’atto coniugale, (HV 12), ma in una impercettibile e tuttavia fatale variante creata ad hoc, “il nesso “inscindibile” fra sponsalità e procreazione” che costituisce il cuneo idoneo ad inserire l’asse per scardinare il divieto di contraccezione, la responsabilità. Chiodi fa solenne proclama di non volere affatto abolire la norma di Humanae vitae, ma di volere piuttosto “pensarla fino in fondo”, di “mostrarne il senso e la verità”. E quale sarebbe questa verità che Chiodi vuole mostrare al lettore? Gioco di prestigio, la verità di Humanae vitae svelata dal teologo della PAV è una domanda, anzi la domanda: “Se i metodi naturali possano/debbano essere l’unica forma di generazione responsabile oppure se questa non possa essere interpretata”.
Dunque Paolo VI, “dopo mature riflessioni e assidue preghiere” e “in virtù del mandato da Cristo” a lui affidato, non avrebbe dato la sua risposta (HV 6) ribadendo ciò che la Chiesa ha sempre insegnato per 20 secoli, che la contraccezione è un male, ma a distanza di 50 anni solleverebbe domande. Supponiamo per un attimo che sia come dice Chiodi, la verità di Humanae vitae sarebbe la domanda se la generazione responsabile “non debba essere interpretata come l’accoglimento della valenza religiosa inscritta nel rapporto al figlio”. Che vuole dire? Qui invoco la linea “Don’t ask, don’t say”. In attesa che la macchina di Turing venga rispolverata per decrittare il codice di Chiodi, dopo una lunga laudatio non petita dei metodi naturali di regolazione della fertilità, giunge l’accusatio manifesta: “Se la responsabilità del generare è ciò a cui rimandano questi “metodi”, allora si può comprendere come nelle situazioni in cui essi siano impossibili o impraticabili, occorra trovare altre forme di responsabilità”. E quali siano le altre forme di responsabilità ci viene spiegato subito dopo, essi sono gli “altri metodi per la regolazione delle nascite”. Dunque Humanae vitae al numero 14 afferma chiaramente che è “esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione”, ma Chiodi ci spiega che pensandola fino in fondo come fa lui, spremendosi le meningi, pensando e facendo torchio addominale, l’enciclica afferma che si può fare ciò che la stessa enciclica proibisce.
Genio, genio assoluto. Impareggiabile, inarrivabile, inimitabile. “In questi casi l’intervento “tecnico” non nega la responsabilità del rapporto generante”, spiega. La costruzione ardita di Chiodi svolge un’indubbia fascinazione, ma non riesce a celare le crepe delle sue fondamenta. Non si comprende il motivo per cui Chiodi riservi l’uso degli altri metodi di regolazione delle nascite solo ai casi d’impossibilità dei metodi naturali e non lo estenda alle situazioni in cui i metodi naturali sono invece possibili, come se essi fossero leciti, ma la loro moralità fosse data dalle circostanze. Ma non è forse questa una chiara espressione di quell’etica della situazione che rifiuta la moralità intrinsecamente malvagia di certi atti facendola dipendere dalle situazioni? Situazioni che peraltro possono vedere espandere l’orizzonte d’impossibilità dall’ambito biologico a quelli psicologico, emozionale, culturale. Non è questo un cambio di dottrina in totale contrasto con l’insegnamento di sempre come ribadito in Veritatis splendor? Perché Chiodi, oltre a molta poesia, da quel grande teologo che è non fa un temino ad uso di noi semplici amanti della prosa in cui ci dice se ritiene che esistano azioni intrinsecamente malvagie e se contraccezione, aborto, fecondazione in vitro, eutanasia, fornicazione, adulterio, atti omosessuali, incesto, pedofilia li riconosce come tali. Oppure se, col suo collega della PAV Gerhard Höver, egli ritenga che il concetto di male intrinseco vada superato.
Volendo peraltro seguire Chiodi ed impiegando il suo pensiero che sembra attestare una norma morale generale, anch’io ho il mio bravo interrogativo; se è un amore più pieno la norma a cui rimanda la fedeltà coniugale, nei casi in cui questa non fosse possibile o impraticabile, non si potrebbe pensare (pensando fino in fondo, fondo) a qualcosa che potremmo chiamare altre forme di fedeltà, proponendo la fedeltà poligamica, o la quasi-fedeltà che Dan Savage ha indicato col neologismo “monogamish”, dove le relazioni sessuali esterne alla coppia sono prima dichiarate e attuate dietro consenso del partner principale? Chiodi afferma che “la tecnica, in circostanze determinate, può consentire di conservare la qualità responsabile dell’atto sessuale”.
A parte il fatto che se la vogliamo dire tutta, qui mi sembra che siamo pienamente in quell’approccio casuistico in cui proprio Amoris laetitia richiama necessario non cadere (AL 304), quest’affermazione è totalmente tautologica. Humanae vitae spiega infatti quale sia la tecnica idonea a conservare la dignità dell’atto coniugale (l’osservanza dei periodi infecondi) e quale sia invece la tecnica che violi tale dignità, la contraccezione. Se dunque Chiodi usa la parola “tecnica” per celare il termine che in tutto il suo articolo con tocco d’ipocrisia egli non menziona mai, ma è sempre posto in alternativa ai metodi naturali, se Chiodi intende dire che la contraccezione può consentire di conservare la qualità responsabile dell’atto sessuale, egli non fa altro che affermare ciò che prima dovrebbe dimostrare, ma qui non fa, limitandosi ad asserire apoditticamente che il discernimento deve avvenire “sulla base di criteri morali irriducibili ad un’applicazione sillogistico-deduttiva della norma morale”. La norma c’è, ma così è se vi pare. E fu così che anche Pirandello fece capolino nella teologia morale.