Si dimette Amato, il politico rancoroso che non trova pace
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La conferenza stampa di Giorgia Meloni ha prodotto l'annuncio delle dimissioni di Giuliano Amato, attualmente a capo della Commissione algoritmi. È la sua ennesima polemica.
Nelle ricostruzioni dei passaggi salienti della conferenza stampa di inizio anno di Giorgia Meloni, è rimasta ai margini una sua frase su Giuliano Amato. «Sono rimasta particolarmente basita delle dichiarazioni del professor Amato sul tema della Corte costituzionale», ha detto. Il riferimento era a una recente intervista a Repubblica in cui Amato avanzava dubbi e preoccupazioni per il nuovo anno, parlando del rischio di uno squilibrio nella Corte Costituzionale con la nomina di 4 giudici di area centrodestra e del pericolo che le Corti Costituzionali siano additate come nemiche della collettività, citando il caso della Polonia.
Meloni non le ha mandate a dire e in conferenza stampa ha replicato a quelle affermazioni di Amato: «Siccome entro il 2024 il Parlamento che oggi ha una maggioranza di centrodestra deve nominare quattro giudici della Consulta, ci sarebbe il rischio di una deriva autoritaria. Io penso semmai che sia una deriva autoritaria considerare che chi vince le elezioni, se non è di sinistra, non abbia gli stessi diritti degli altri. Nella mia idea di democrazia questo non esiste, e il mondo nel quale la sinistra ha più diritti degli altri, per quanto mi riguarda, è finito».
E sulla nomina di Amato a presidente della Commissione algoritmi, incaricata di indagare i rischi dell’Intelligenza Artificiale sul mondo dell’informazione, istituita dal Sottosegretario alla Presidenza del consiglio dei ministri con delega all’editoria e all’informazione, Alberto Barachini, la Meloni ha puntualizzato: «Credo si sappia che la sua nomina non è stata una mia iniziativa». Trapelò, infatti, all’epoca della nomina, alcuni mesi fa, una certa irritazione di Palazzo Chigi per l’incauta scelta fatta da Barachini senza consultare nessuno dell’entourage del premier.
Amato non l’ha presa bene e ieri ha annunciato le sue dimissioni. «È una commissione della Presidenza del Consiglio - ha detto - e visto che la mia nomina non risulta essere un'iniziativa della presidente del Consiglio lascio senz'altro l'incarico». E ha aggiunto velenosamente: «Peccato, ci perdono qualcosa... Ma a me semplificherà la vita».
A prescindere dalla contrarietà della Meloni, la nomina di Amato era comunque stata salutata con scetticismo e stupore da gran parte della comunità scientifica e tecnologica, vista l’età avanzata di Amato (86 anni) e considerato che il focus dei lavori di quella commissione era proprio l’esplorazione delle nuove frontiere dell’innovazione tecnologica. Tanti altri docenti più giovani avrebbero potuto guidare quell’organismo con uno slancio maggiore e una sensibilità all’innovazione tecnologica ben superiore alla sua.
Il botta e risposta Amato-Meloni riporta d’attualità tutte le innumerevoli uscite infelici del costituzionalista, che evidentemente non ha mai digerito la mancata elezione a Presidente della Repubblica e da tempo ha ormai fatto del rancore la cifra distintiva di ogni suo intervento. Nel giugno scorso, con l’ex presidente della Corte Costituzionale Franco Gallo, l’ex presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno e l’ex ministro della funzione pubblica, Franco Bassanini si dimise dal Comitato per l’individuazione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) istituito per supportare i lavori parlamentari per la riforma sull’autonomia differenziata voluta dal ministro Roberto Calderoli. Quella mossa fu interpretata dai più come un tentativo puramente politico di stoppare una riforma che il centrodestra (in particolare la Lega) porta avanti da tempo e sulla quale invece sarebbe opportuno trovare convergenze trasversali anziché alimentare guerre ideologiche e territoriali.
Clamore suscitarono le parole di Amato di qualche mese fa a proposito della strage di Ustica: «Ci sono persone che sanno cosa è accaduto quel 27 giugno 1980 nei cieli italiani. Gli eventuali reati commessi sono ormai caduti in prescrizione. Queste persone, dunque, non rischiano nulla e non hanno più niente da perdere. È ora che dicano la verità». La domanda sorse spontanea: perché Amato parla solo ora e non fa lui i nomi di queste persone? Il Copasir lo convocò nell’ottobre scorso e lo torchiò per circa due ore ma senza risultato. Eppure l’ex Presidente della Consulta aveva accreditato la pista del missile francese, peraltro rivelatasi infondata già in anni passati, senza fornire argomentazioni a supporto. Intanto aveva mandato i suoi consueti messaggi in codice, lanciando il sasso e ritirando la mano, e occupando la scena mediatica come gli piace fare.
Ma Amato è soprattutto un uomo della Prima Repubblica, anche se poi ha rinnegato il suo passato e mostrato profonda ingratitudine nei confronti di Bettino Craxi cui deve tutto o quasi. La figlia di Craxi, Stefania, in un’intervista di qualche settimana fa, ricordò: «Quando esplosero i primi scandali, a Milano e a Torino, mio padre mandò Amato come commissario. Craxi fu condannato perché non poteva non sapere. Amato poteva non sapere? Ad Hammamet non l'abbiamo mai visto».
Giuliano Amato nel 1993, in piena Tangentopoli, ebbe il coraggio di dire «Non sono un uomo per tutte le stagioni». Ma la sua storia dice tutt’altro, soprattutto se si pensa al suo rapporto con Craxi, che accoltellò senza pietà, prendendo repentinamente le distanze da lui e da tutte le scelte politiche da lui compiute. Non ci sarebbe bisogno di altre conferme per capire chi è Giuliano Amato, un rancoroso che non trova pace e che con le sue continue esternazioni avvelena i pozzi e fa del male proprio a quelle istituzioni che si vanta di servire e di rispettare.