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UNIONI CIVILI

Si chiama unione Ma in realtà è "matrimonio" gay

Il disegno di legge che il governo si appresta a varare sulle unioni civili, stando alle anticipazioni, altro non è che un "matrimonio" gay nascosto sotto altro nome. 

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Editoriali 16_10_2014
Torte gay

A leggere le anticipazioni di Repubblica, il disegno di legge che il governo si appresta a varare per le unioni civili non si discosta di molto da quello annunciato dal premier nella direzione del Pd di giugno; esso ha poi trovato articolata elaborazione nel testo-base depositato dopo qualche giorno in Commissione Giustizia al Senato dalla relatrice del provvedimento, la sen. Cirinnà.

Su questo giornale ne abbiamo illustrato i contenuti; si tratta di una sostanza di matrimonio per la quale si adopera un altro nome: nella versione di fine giugno includeva, a determinate condizioni, l’accesso alla quota di legittima e alla pensione di reversibilità, ma escludeva la possibilità di adottare. Di più rispetto a quel testo, stando a Repubblica, il d.d.l. del governo recepirebbe il recente orientamento del Tribunale per i minorenni di Roma: se vi è unione fra persone dello stesso sesso e una delle due ha già un figlio, l’altra può adottarlo. Il che significa che la civil partnership include l’adozione e cancella ogni residua differenza rispetto al matrimonio: il partner col figlio può averlo avuto a seguito di fecondazione eterologa (era questo il caso affrontato dal Tribunale per i minorenni, e l’identità genetica scompare del tutto), e dopo breve ci penserebbe la Corte costituzionale, in nome del principio di eguaglianza, a estendere a entrambi i partner la possibilità di adottare.

Sempre secondo Repubblica, un d.d.l. del genere non incontrerebbe ostacoli. Ncd verrebbe “compensato” con mezzo miliardo di euro per sgravi fiscali in favore delle famiglie numerose; Forza Italia, grazie a recenti incursioni ad Arcore di esponenti Lgbt (con una particolare sottolineatura della lettera “t”) non attenderebbe altro; la Chiesa italiana non solleverebbe opposizione. Ora, se per FI i selfie documentano l’accordo, Ncd non si è ancora espresso, e la Cei, se vale quanto confermato dal cardinale Bagnasco in occasione dell’ultimo Consiglio permanente, ha fortemente criticato riforme che parificano unioni di fatto (omo o eterosessuali) alla famiglia fondato sul matrimonio fra un uomo e una donna. Al netto dei Vescovi e della strumentalizzazione mediatica del Sinodo – sulla quale ieri su queste colonne Massimo Introvigne ha scritto considerazioni di buon senso –, resta il dato obiettivo e preoccupante che per la prima volta, in virtù di un ampio schieramento politico, un regime paramatrimoniale per le unioni fra persone dello stesso sesso ha probabilità di essere introdotto nell’ordinamento italiano.

Quanto ciò risponda alle esigenze concrete della nostra Nazione è tutto da dimostrare. Come è noto, i dati di Eurostat, pubblicati a maggio, sulla natalità in Europa informano che, a fronte del tasso medio di fertilità dei 28 Paesi Ue, pari a 1.58, ben distante dalla soglia di pareggio che è di 2.1, il tasso italiano è più basso: 1.29. Nel 2013 sono nati in Italia 515.000 bambini, figli di migranti inclusi, mentre 50 anni fa (nel 1964) ne erano nati il doppio, 1.035.000. L’indice di vecchiaia, cioè il rapporto fra gli ultrasessantacinquenni e gli infraquindicenni in Europa è di 116.6, in Italia è di 151.4. Il mantenimento della tendenza all’impoverimento demografico rende sempre più complicato mantenere gli attuali standard di welfare e di trattamento pensionistico (infatti la legge di stabilità li riduce ulteriormente). Se l’incremento della percentuale di popolazione anziana incide sul bilancio complessivo e danneggia tutti, la sterzata autentica consisterebbe in un insieme di misure formato famiglia che condizionino positivamente la decisione di mettere al mondo figli. Non è un caso se nel pianeta le Nazioni che vantano i più significativi, e in prospettiva duraturi, tassi di crescita sono quelle con l’età media più bassa e col tasso di incremento demografico più elevato. Qualsiasi governante con un minimo di raziocinio, in presenza di questi dati, adotterebbe misure urgenti per rilanciare quella famiglia fondata sul matrimonio che statisticamente permette di censire più figli: non per ragioni di catechismo, ma per esigenze di bilancio. Più la famiglia riprende a funzionare, meglio funziona l’intero corpo sociale. E invece la linea del governo, con l’appoggio dei principali partiti di opposizione (M5S è addirittura più oltranzista), annuncia di voler andare nella direzione esattamente opposta; nel frattempo, per confermare il tratto punitivo verso chi intende ancora formare una famiglia, fa pagare in queste ore una Tasi che prescinde dai carichi familiari.

Ci rassegniamo? Tante volte nella nostra storia nazionale, anche quando l’unità d’Italia era culturale più che politica o linguistica, i popoli della Penisola hanno dovuto vedersela da soli perché le elite tradivano o se la davano a gambe. E se oggi il popolo della famiglia e della vita non ha chi lo rappresenti – coloro che, con tanti limiti, lo hanno fatto fino a poco tempo fa oggi cambiano posizione o sono distratti – è chiamato a esprimere da sé le proprie ragioni: mostrandosi vivo e visibile nelle piazze italiane. L’esperienza delle Sentinelle in piedi rivela che con mezzi quasi inesistenti il coraggio e la buona volontà fanno congelare provvedimenti – come il d.d.l. Scalfarotto – che parevano inarrestabili; il quadro va dilatato e le forze vanno raccordate ed estese. Senza sovrapporre piani: il Sinodo sulla famiglia ha i suoi tempi, le sue scadenze, e soprattutto non esamina disegni di legge. Senza scoramenti: un selfie col trans non fa immaginare un futuro di Nazione, a differenza di un sì per sempre proiettato alla vita. Piaccia o non piaccia, per chi ha fatto responsabilmente questa scelta è venuto il momento di renderne ragione pubblica.

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