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VALORI E NIRENSTEIN

Shimon Peres visto da due grandi amici italiani

Shimon Peres ha intrattenuto un rapporto particolare con l’Italia, soprattutto perché ne ammirava «la lunga tradizione della tolleranza verso il prossimo e gli altri popoli». Nella cerchia dei suoi amici più stretti, Giancarlo Elia Valori, manager di aziende di Stato. Italiana pure una grande sua amica, Fiamma Nirenstein.

Esteri 01_10_2016
Shimon Peres (a sinistra) e Giancarlo Elia Valori

Shimon Peres ha intrattenuto un rapporto particolare con l’Italia, soprattutto perché ne ammirava «la lunga tradizione della tolleranza verso il prossimo e gli altri popoli» e apprezzava «la tradizione della gente che ha voluto legare le sue posizioni al destino del nostro popolo e della nostra terra, la terra d’Israele». Nella cerchia dei suoi amici più stretti, uno «leale, fraterno e di lunga durata» era italiano, Giancarlo Elia Valori, notissimo manager di aziende di Stato, finanziere ed economista.  Ne sono testimone perché negli anni della mia vita giornalistica in Israele ero giunto a dire che Peres era «amico del mio amico». 

Italiana pure una grande sua amica, Fiamma Nirenstein, bravissima collega, poi anche parlamentare, divenuta cittadina israeliana perché ebrea e da allora a lui vicina anche per residenza. Se Nirenstein è stata privilegiata dalle interviste che Peres le concedeva – «la mia scrivania», scriverà, «è allagata dalle interviste che gli ho fatto negli anni». Valori ha raccolto molte sue confidenze, condiviso riflessioni, evocato memorie come con nessun altro. Una feconda empatia li univa, i loro colloqui duravano ore. Così ora, in occasione della sua morte, le memorie sono prepotentemente riaffiorate aiutandoci a capire i sentimenti dell’uomo e statista, manifestazioni ed evoluzione del suo carattere, i principi etici alla base del suo impegno di pace, la sua visione del futuro.  

Mesi orsono, superata una crisi cardiaca, così rispose a un messaggio di Valori: «Mio carissimo amico, grazie dal profondo del mio migliorato cuore per le gentili e sincere parole, sono in totale ripresa e manterrò sempre la mia speranza, perché c’è un detto che recita colui che ha la salute, ha la speranza, e chi ha la speranza ha tutto». Ventun anni fa Peres lasciò a Valori, scrivendo la prefazione al suo libro Il gigante David, Ben Gurion tra mito e realtà, le testimonianze storiche non solo di come ebbe inizio il suo rapporto di lavoro per molti anni a fianco del «padre fondatore d’Israele», ma anche del suo patrimonio ideale e operativo, che sentì trasmesso in eredità: «indubbiamente», confessò, «l’esperienza che ha inciso nel modo più profondo sulla mia vita e sulla mia identità politica». E sul suo impegno di operatore di pace.  Sono episodi assolutamente poco noti, ìche meritano di essere evocati.

«Quando lo conobbi, Ben Gurion era già una leggenda, mentre io ero un giovane sconosciuto», scrisse di sé, da poco membro della Gioventù laburista. «Si offrì di darmi un passaggio da Tel Aviv a Haifa. Io ero molto emozionato all’idea di poter conversare con lui per due ore consecutive, invece mi attendeva una delusione. Era una giornata invernale. Ben Gurion si imbacuccò nel cappotto voltandomi le spalle. Solo quando giungemmo ai primi sobborghi di Haifa mi disse all’improvviso: “Trotzkij non era uno statista”. Ancora oggi mi domando da dove fosse saltato fuori Trotzkij, ma interessato com’ero alla conversazione gli chiesi: “Perché?” e lui mi rispose: “Che significa pace né pace né guerra? Questa è un’invenzione ebraica, un politico deve scegliere fra la pace e la guerra, accettandone i relativi rischi. Lenin che intellettualmente era inferiore a Trotzkij, divenne capo dell’Unione Sovietica perché seppe decidere».

«Da allora vidi Ben Gurion pervaso dall’ideale della pace, ma pronto a confrontarsi con i pericoli della guerra. In entrambe le situazioni, così contrastanti fra loro, Ben Gurion seppe manifestare costantemente la sua grandezza». Segue un ritratto del leader, «personalità unica nella sua versatilità … umanista … stratega militare e politico … carismatico … astuto uomo di Stato … Il politologo professore Shlomo Avineri afferma che era l’uomo delle contraddizioni: Io invece preferirei la definizione “l’uomo delle vette” , dotato di tenacia e curiosità per arrampicarsi fino alla cima. Aveva studiato il passato per saper agire nel presente guardando al futuro». Dirà pure: «Ancor oggi (siamo nel 1995, ndr) a più di vent’anni dalla sua morte, mantengo un dialogo ideale con lui, leggo i suoi diari e gli altri suoi scritti cercando di capire cosa farebbe lui trovandosi di fronte ad un bivio politico». 

Molti analisti storici, politici e giornalisti, commemorando Peres, hanno ricordato le sue contraddizioni politiche o esaltato la sua figura di «padre fondatore della Patria», proprio come Ben Gurion. Fiamma Nirenstein, in un’appassionata e puntuale rievocazione della grande figura dello scomparso, ha notato, fra l’altro, che nella sua personalità «pace e sionismo non sono stati mai disgiunti» e pure come «la sua insistenza sulla speranza di una pace con i palestinesi non abbia aiutato nessun processo di pace». Ricorda che «la Seconda Intifada lo vide disperato nel tentativo sia di non lasciare il suo sogno infrangersi sulle esplosioni, sia di risvegliare il mondo alle ragioni di Israele. Odiava la colpevolezza insensata attribuita al suo Paese, il suo volto continuamente sfregiato dalla diffamazione. Per questo siamo rimasti amici anche quando per me è stato impossibile condividere la sua speranza di pace basata su Oslo». 

Giancarlo Elia Valori, di «solidissima fede cattolica» come quella di sua mamma Emilia che gli aveva «insegnato tutto quello che conta nella vita» (durante la Seconda Guerra mondiale aveva salvato dalla deportazione molte famiglie di ebrei: onorata dalla medaglia d’oro al valor civile, nel 1988 aveva piantato a Gerusalemme un ulivo nel “Giardino dei giusti” di Yad Vashem) volle sostenere sempre l’impegno per la pace del suo amico. Gli si rivelava «uomo esemplare, dal tratto cordiale, aperto e semplice, schivo da ogni formalismo, unico per umanità e stile, che suggellava la sua azione benefica con un abbraccio sincero e caloroso. Ma quello che colpivano di più in lui erano la sua fortissima personalità, la sua sapienza, l’umiltà e un’eccelsa gentilezza. In ogni suo discorso si scorgevano i segni di quella che non esiterei a definire una manifestazione della bontà personificata». 

Ricambiato alla grande: Peres scrisse le prefazioni ad altri suoi libri: nel 2007 per Antisemitismo, olocausto e negazione, evocazione di memorabili eventi e di moniti; un anno dopo per il profetico Mediterraneo tra pace e terrorismo. Inoltre, non mancò di presenziare a iniziative accademiche dell’amico docente nel novembre 1995 all’Università ebraica di Gerusalemme (rinviò al pomeriggio il giuramento di ministro alla Knesset per l’inaugurazione, la mattina, della “Cattedra per lo studio della pace e della cooperazione regionale”); come due anni prima, marzo 1993, alla Peking University (l’apertura del “Centro Ben Gurion” quando gli disse che aveva gettato «un solido e importante ponte nei rapporti tra Cina e Israele».  Da allora e fino a oggi tiene i corsi della “Cattedra della pace, della sicurezza e dello sviluppo internazionale”). Dagli spunti e dalle riflessioni dei loro più recenti incontri sono, infine, maturati due libri: Geopolitica dell’acqua, la corsa all’oro del nuovo Millennio e Geopolitica del cibo, una sfida per le grandi potenze. Per la costruzione di un mondo in cui possano emergere non solo pace e concordia, ma anche progresso e prosperità fra i popoli.