Shahbaz Bhatti, il fallimento e la rinascita
A un anno dall'assassinio del ministro delle minoranze pakistano, AsiaNews presenta le testimonianze di coloro che l'hanno conosciuto e che continuano la sua battaglia per
un Pakistan laico e rispettoso di tutte le confessioni ed etnie. La fecondità del suo martirio è evidente nel suo Paese, ma anche in altre nazioni.
Il suo "testamento" è divenuto fonte di ispirazione per milioni di persone. Anche per vincere la tiepidezza
di molto mondo cristiano.
Roma (AsiaNews) - Il 2 marzo prossimo sarà passato un anno dall'uccisione di Shahbaz Bhatti, il ministro pakistano delle minoranze, crivellato con 30 colpi da un gruppo di estremisti del Tahrik-e-Taliban Pakistan. Bhatti, cattolico di 43 anni, aveva fatto sua la lotta contro la legge sulla blasfemia e il suo uso indiscriminato e manipolatorio, tendente a eliminare gruppi minoritari, avversari politici, concorrenti economici.
Pochi mesi prima della sua tragica fine aveva fatto visita ad Asia Bibi, la cristiana condannata a morte da i pavidi giudici di Lahore e in attesa del processo d'appello. Su Asia Bibi pende una taglia offerta da imam radicali, che la vogliono morta a tutti i costi. E invece, la morte ha travolto Shahbaz, che fin da giovane si era impegnato per un Pakistan laico e democratico, aperto a tutte le confessioni ed etnie.
AsiaNews vuole onorare la sua memoria presentando in questi giorni alcune testimonianze da parte di coloro che l'hanno conosciuto, cristiani e musulmani.
Tutti coloro che hanno voluto ricordarlo lo definiscono "un martire": anzitutto i cristiani, i vescovi, i sacerdoti con i quali egli ha collaborato. Anche personalità musulmane, politici, attivisti, giornalisti vedono in lui "un martire" per il futuro buono del Pakistan.
Da un certo punto di vista - come è di ogni "martire" - la parabola di Shahbaz sembra un fallimento. A un anno dalla sua uccisione, la polizia non ha ancora arrestato i colpevoli e per molti mesi ha deviato le inchieste attribuendo a questo o a quello la responsabilità dell'assassinio, suggerendo perfino che gli autori fossero dei cristiani, interessati ad alcune proprietà della famiglia Bhatti.
Anche le richieste di politici internazionali, e molto di più, la preghiera di Benedetto XVI per lui, sono state disprezzate, mentre il Paese scivola nell'insicurezza e nella violenza.
Eppure, anche i fallimenti di un martire sono fecondi. Durante questo anno - e lo abbiamo documentato nelle pagine di AsiaNews - le comunità cristiane pakistane sono divenute più coraggiose e più vocali, dimostrando per Shahbaz Bhatti al suo funerale, chiedendo giustizia, opponendosi ai soprusi, agli espropri, fino a denunciare i tanti episodi di blasfemia contro i cristiani e le altre minoranze.
La fecondità della testimonianza di Shahbaz va oltre il Pakistan: essa è divenuta un'ispirazione per milioni di persone nel mondo. Soprattutto quello che viene chiamato il suo "testamento" è divenuto una pietra di paragone per l'impegno di tanti.
"Io voglio servire Gesù da uomo comune... Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora - in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan - Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire".
Lo riproponiamo perché lui, in cielo, aiuti la nostra battaglia sulla terra e perché in questo tempo di Quaresima veniamo purificati dalla nostra tiepidezza.
Da Asia News del 28 febbraio 201