Severino, il nichilista che attaccava il nichilismo
Si sprecano gli articoli celebrativi su Severino, anche nel mondo cattolico (vedi Avvenire), perché la legge del dialogo ha sostituito quella della disputa. Eppure il filosofo morto il 17 gennaio non proponeva una salvezza dal nichilismo e riteneva nichilista perfino il cristianesimo. Padre Cornelio Fabro, per ammissione dello stesso Severino, ne aveva capito benissimo il pensiero. Facendone una lucida critica in un testo che andrebbe riletto
Le esigenze filosofiche della fede cattolica sono ormai ritenute talmente esangui che in tutti i filosofi viene trovato qualcosa di cattolico. È capitato così anche per la filosofia di Emanuele Severino, da poco scomparso. Anche Avvenire non ha voluto essere da meno con un articolo celebrativo a pagina 17 del numero del 22 gennaio. È la legge del dialogo, che ormai ha sostituito la disputa, per cui del buono se ne deve trovare per forza dappertutto e quanto è buono - si dice - è anche automaticamente cattolico.
Se si prende qua e là qualcosa di Severino ci si può trovare qualcosa di valido, ma se si va ai fondamenti le cose cambiano e si scopre che il suo attacco al nichilismo che da Parmenide in poi avrebbe caratterizzato la filosofia occidentale, compresa la filosofia cristiana, è di tipo nichilista. Del resto non era già successo per Nietzsche e Heidegger? Anche costoro accusavano il pensiero occidentale e il cristianesimo stesso di nichilismo, ma da nichilisti, ossia senza proporre una salvezza (filosofica) dal nichilismo. Rimane strano che i cattolici plaudano ad un pensatore secondo il quale anche il cristianesimo null’altro è che nichilismo.
Può essere utile, in questo dibattito postumo su Severino, riprendere in mano un testo di padre Cornelio Fabro. Contiene le osservazioni, espresse in tre “Voti”, del filosofo tomista sul pensiero di Severino su richiesta della Congregazione per la Dottrina della Fede, guidata dal cardinale Francesco Seper. La pubblicazione è del 1979, ma la stesura è degli anni Sessanta, quando emersero le difficoltà circa la permanenza di Severino alla Cattolica di Milano. In una lettera a Fabro del 1970, scritta dopo una riunione nel palazzo del Sant’Uffizio, Severino scrive di aver riconosciuto lo stile del filosofo stimmatino nelle osservazioni sottopostegli dalla Congregazione e lo ringrazia perché, a suo giudizio, si trattava della “comprensione più penetrante e più concreta del mio lavoro”. Erano, come si vede, i bei tempi delle dispute e non del dialogo: onore al merito ma nessuno sconto sui contenuti.
Secondo Cornelio Fabro, proprio dall’interno dell’Università Cattolica, ad opera di Emanuele Severino, a metà degli anni Sessanta del secolo scorso giungeva la più coerente e difficilmente superabile distruzione della metafisica. Si trattava della conseguenza, secondo lui, “dell’equivoco dell’indirizzo teoretico dominante nell’Ateneo cattolico, quello di conciliare l’immanentismo post-cartesiano con la trascendenza cristiana”. Fabro riconosce a Severino “coerenza ferrea”, il proposito “di andare fino in fondo” e dice che il suo Ritornare a Parmenide è “lo scritto più stimolante della filosofia italiana contemporanea”. Lodi che, dati i contenuti, esprimono grande preoccupazione più che compiacimento.
Secondo Fabro, Severino sostiene che la fuga di Dio dall’uomo è la conseguenza della meta-fisica, con cui l’umo è fuggito da Dio. La metafisica separa il pensare e l’essere, mentre bisogna tornare alla “struttura originaria”, ossia all’identità del pensare e dell’essere. Severino, secondo Fabro, è agli antipodi di Hegel, eppure si colloca dentro le premesse dell’idealismo di Giovanni Gentile che identificava pensiero ed essere come atto puro. Tra i due grandi filosofi dell’idealismo italiano, colui che esercitò un’influenza più profonda e duratura fu Gentile e non Croce. In lui il principio moderno d’immanenza dell’essere nel pensiero ha conosciuto l’istanza più radicale nell’atto come principio e fine. Dopo Gentile sembra essere definitivamente conclusa la lunghissima parentesi metafisica, la coscienza umana può essere ormai completamente mondana e nella sola storia si può dare la vera autenticità dell’uomo.
Molti seguaci di Gentile si erano già messi, in modo diverso, su questa strada, come Guido Calogero e Ugo Spirito, ma Fabro ritiene che tutti siano stati scavalcati da Severino che considera in blocco la scienza, la filosofia, il marxismo, il cristianesimo come appartenenti alla stessa area del “nichilismo occidentale”, con la perdita della verità originaria che è l’Essere uno e immutabile. Fabro pensa che Severino concordi con l’affermazione moderna secondo cui il cogito non conosce nessuna forma e non è esso stesso forma, e con ciò demolisce la metafisica. Egli ritorna quindi all’essere vuoto e ritiene che l’ente coincida con il suo puro apparire. Tutte le distinzioni come quella di essenza ed essere, forma e contenuto, senso e ragione… secondo Severino contengono l’impossibile opposizione essere-non essere. Esse quindi devono sparire e la verità deve farsi immediatezza.
L’identità di forma e contenuto - che per Hegel il pensiero conquista dialetticamente passando anche attraverso il negativo - per Severino deve darsi subito, sempre e tutta. In questa identità non può essere adoperata la categoria di causa che secondo Severino, per dirla con Fabro, “è stata la rovina dell’Occidente perché, mentre pretendeva di dimostrare l’esistenza di Dio, ha portato alla volontà di potenza e alla produzione della bomba atomica”.
In questi giorni successivi alla sua morte, molti hanno ringraziato Severino per i campanelli d’allarme da lui suonati su tanti aspetti di questo “tramonto dell’Occidente”, ma i presupposti di questi campanelli sono ugualmente tragici rispetto ai pericoli denunciati. Tenere presente la critica di Fabro sarebbe stato di aiuto.