Senza l'obolo, la Segreteria di Stato perde il suo potere
Col motu proprio che trasferisce l'obolo di San Pietro all'Apsa di Monsignor Galantino, la Segreteria di Stato de facto finisce di essere il cuore nevralgico della curia e viene equiparata agli altri dicasteri. Papa Francesco scommette esclusivamente sugli esterni competenti e sugli interni più fidati.
Il cardinale Sergio Sebastiani, ai tempi della sua presidenza alla Prefettura degli affari economici, era solito dire che "i soldi dei poveri sono la ricchezza e il presidio di libertà della Sede di Pietro". Si riferiva all'Obolo di San Pietro, le donazioni fatte arrivare al Papa dai fedeli di tutto il mondo per le opere di carità e il sostentamento della Sede Apostolica e gestite fino ad oggi dal cosiddetto ufficio amministrativo della Segreteria di Stato.
Il nuovo motu proprio di Francesco in materia di finanze vaticane trasferisce la gestione della massa oblativa all'Apsa e ridimensiona drasticamente l'ufficio preposto fino ad oggi ad occuparsene, relegandolo alla sola funzione di preparare il proprio bilancio preventivo e consuntivo. D'altra parte, proprio l'ufficio un tempo guidato da monsignor Perlasca è stato il focolaio dell'incendio londinese che ha finito per bruciare la carriera di pezzi da novanta come Enrico Crasso, Fabrizio Tirabassi e la chance di partecipare al Conclave dell'ex numero due della Segreteria di Stato, il cardinale Giovanni Angelo Becciu.
L'indagine giudiziaria sui fatti sembra ben lontana dall'essere conclusa e in questo anno e mezzo non si è fatta mancare qualche scivolone, ma il danno creato alla credibilità della Chiesa dall'enorme clamore mediatico sul presunto impiego dell'Obolo in operazioni definite "opache" dallo stesso Segretario di Stato deve aver convinto il pontefice a dare un forte segnale di discontinuità con il recente passato.
L'andamento delle donazioni fatte dai cattolici di tutto il mondo il 29 giugno - ma non solo - è stato altalenante in questi anni ma ha dimostrato, tutto sommato, una buona tenuta al cospetto dei non pochi scandali finanziari che si sono susseguiti da Vatileaks in poi trovando largo - a tratti eccessivo - spazio su giornali, libri e tv. In verità, attingere all'Obolo di San Pietro per motivi diversi dalla carità in favore dei bisognosi non rappresenta, a differenza di quanto fatto credere in questi mesi da numerose ricostruzioni giornalistiche con conseguenze negative per l'immagine della Chiesa, un tradimento della missione originaria della colletta universale dei fedeli dal momento che tra le sue finalità c'è anche quella di aiutare il sostentamento delle attività della Santa Sede e quello immobiliare, come ha detto il Papa in Giappone, è un investimento "da vedove" che può contribuire a tale scopo.
Questo al di là di eventuali errori commessi nel caso specifico. In ogni caso, la congiuntura tra la crisi economica scaturita dalla pandemia e la percezione di un uso improprio fatto del denaro inviato a Roma per aiutare le opere ecclesiali potrebbe avere conseguenze pesantemente negative sui numeri dell'antica pratica introdotta ufficialmente da Pio IX e che rappresenta una garanzia di libertà ed autonomia per la Chiesa. Da qui la necessità di prendere decisioni radicali in grado di arrestare il calo di fiducia dei fedeli, cogliendo al tempo stesso la palla al balzo per procedere a quella centralizzazione e razionalizzazione delle finanze vaticane di cui si parla dal 2013 ma che ha incontrato non pochi problemi in questi anni.
Il motu proprio ribattezzato “Una migliore organizzazione” segna un ribaltamento di gerarchie consolidate già ampiamente annunciato da un'intervista di ottobre del numero uno della Segreteria per l'Economia, il gesuita Guerrero Alves e dalla lettera del Papa al cardinale Parolin (di agosto, ma pubblicata a novembre) con cui veniva ordinato il passaggio della gestione amministrativa dei fondi della Segreteria di Stato all’Apsa.
La Segreteria di Stato formalmente resta il "dicastero che sostiene più da vicino e direttamente l’azione" del Santo Padre ma de facto finisce per essere equiparata agli altri dicasteri, dovendo incassare la perdita di quell'autonomia economica per la quale sembra esserle stata fatale la presunta gestione disinvolta dell'affare londinese. In Terza Loggia del Palazzo Apostolico rimane la possibilità di "una voce di spesa per attività o emergenze impreviste", ma anche in questo caso con l'obbligo di "regolare rendicontazione".
La perentorietà del motu proprio nel dettare le scadenze temporali (non oltre il 4 febbraio 2021) entro cui procedere al passaggio della "titolarità dei fondi e dei conti bancari, degli investimenti mobiliari e immobiliari, ivi incluse le partecipazioni in società e fondi di investimento" all'Apsa e quella richiesta di affidare una "procura generale ad agire in nome e per conto della Segreteria" nei casi in cui non sia possibile o conveniente farlo dà l'idea di un Papa che, come aveva avuto modo di dire a Becciu durante il drammatico incontro che portò alla destituzione del porporato sardo, sente di non avere più fiducia nella gestione economica del dicastero della Curia che più collabora al governo della Chiesa. "Non è opportuno che compia quelle funzioni in materia economica e finanziaria già attribuite per competenza ad altri Dicasteri", scrive il Papa nel documento mettendo nero su bianco la sua volontà di attuare senza più gradualità ed eccezioni quella "semplificazione e razionalizzazione degli organi esistenti" invocata ad inizio pontificato dalla riunione del Consiglio di cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede.
Non c'è da stupirsi se sia stata scelta l'Apsa come perno di questo sistema centralizzato in materia di finanze: l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica da sempre si occupa di fare investimenti in beni immobili e mobili non solo per sé ma anche per gli altri enti della Curia, quindi l'attribuzione delle prerogative sottratte alla Segreteria di Stato appare come l'esito naturale ed anche più sensato. In questo momento, reduce dalla delusione verso uomini in Terza Loggia a cui aveva dato fiducia ma che non sentiva strettamente suoi, il Papa sembra aver preferito affidare una delle riforme più attese del suo pontificato nelle mani della cosiddetta Banca centrale del Vaticano che presenta caratteristiche ai suoi occhi rassicuranti: la fedeltà personale di monsignor Nunzio Galantino che la presiede e la credibilità internazionale di Fabio Gasperini, primo manager laico nominato segretario.
Ma i poteri dell'Apsa non saranno illimitati e saranno sottoposti al controllo della Segreteria per l’Economia a cui il motu proprio "Una migliore organizzazione" attribuisce la funzione di Segreteria Papale per le materie economiche e finanziarie. Segreteria a capo di cui Francesco ha voluto padre Guerrero Alves, gesuita come lui consigliato dal preposito generale della Compagnia di Gesù e a cui è stato chiesto di rinunciare all'ordinazione episcopale. Alla soglia del nono anno di pontificato, dopo l'annus horribilis segnato dallo scandalo londinese, Francesco sa di giocarsi molto sulla questione finanze e per non rischiare ulteriori errori o rallentamenti sembra aver deciso di scommettere esclusivamente sugli 'esterni' competenti e sugli 'interni' più fidati. Tra questi ultimi, però, non ci sono i vertici della Segreteria di Stato che per la prima volta nella storia, più che cuore nevralgico della Curia, assume le caratteristiche di un dicastero primus inter pares.