Senza la Nato l'Afghanistan può crollare
I Talebani prendono Kunduz e infliggono una pesante umiliazione all'esercito regolare afghano. La caduta della città nel Nord dell'Afghanistan è paragonabile alla presa di Mosul, in Iraq, da parte dell'Isis: è un chiaro sintomo che, quando sarà completato il ritiro della Nato, esercito e istituzioni afghane cascheranno a pezzi. Si riapre il dibattito sull'intervento.
Sembravano ormai emarginati e alle prese con feroci lotte intestine, ma i talebani afghani guidati dal nuovo leader Mansour, che da pochi mesi ha preso il posto del defunto mullah Omar, tornano a far parlare di sé e lo fanno con un successo eclatante. Per la prima volta, da quando il loro regime venne sopraffatto nel novembre 2001, hanno conquistato un capoluogo di provincia: Kunduz City nell’omonima provincia settentrionale dell’Afghanistan.
Il successo dei jihadisti è stato a lungo smentito dal governo afghano poi ridimensionato negando che l’intera città fosse in mano ai talebani. Solo quando la propaganda degli insorti aveva evidenziato l’insostenibilità delle tesi di Kabul, il governo ha dovuto ammettere la sconfitta proprio nel giorno dell’anniversario della costituzione del governo di unità nazionale che regge il Paese.
Il blitz talebano in città è stato da manuale: centinaia di miliziani che si erano infiltrati nel perimetro urbano, mischiandosi alla folla per l'Eid al-Adha, la festa islamica del Sacrificio, sono passati all’azione durante la notte di lunedì, a partire da tre distinte aree, ed hanno ingaggiato battaglia con polizia ed esercito che hanno mostrato di non avere forze sufficienti per reggere l’urto di guerriglieri bene armati ed addestrati. L’attacco è stato rivendicato dal portavoce dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, Zabihullah Mujahid, che l’ha inquadrato nell’offensiva ‘Azb’ sferrata in primavera, e per la quale Kunduz City era stato definito “obiettivo prioritario”. Il motivo è ben comprensibile. La provincia è quella che registra nel Nord del Pese la più elevata popolazione pashtun, etnia che da sempre esprime il movimento talebano. E’ quindi l’area settentrionale dove la penetrazione talebana è più facilitata dal contesto sociale. Inoltre il vicino confine col Tagikistan rende la provincia di Kunduz il trampolino ideale per la penetrazione dei movimenti jihadisti nelle repubbliche asiatiche ex sovietiche ricche di risorse, con poca popolazione e militarmente molto deboli.
Proprio in questo settore, le analisi strategiche russe hanno previsto la direttrice di penetrazione del jihadismo afghano una volta completato il ritiro delle truppe Usa e alleate. Già nell’aprile scorso un tentativo talebano di conquistare Kunduz City era fallito dopo una dura battaglia che aveva costretto alla fuga 14.000 famiglie. Questa volta invece il piano ha funzionato e i ‘mujaheddin’, dopo aver sigillato i quattro accessi al capoluogo e bloccato la strada dell’aeroporto, si sono divisi in vari gruppi avanzando verso il centro di Kunduz City. Qui hanno, via via, preso il controllo dell’ospedale e degli edifici del Consiglio provinciale, dei servizi segreti (Nds), dell’Alto consiglio per la pace e della rappresentanza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama), nonché di banche private. Alcuni media hanno anche assicurato che la prigione è stata occupata dai militanti che hanno liberato molti detenuti, mentre molti dei 300mila abitanti sono fuggiti verso le province vicine, in previsione di una battaglia che non sarà breve.
Il presidente della repubblica Ashraf Ghani ha seguito lo sviluppo degli avvenimenti a Kabul ordinando una rapida controffensiva necessaria a “lavare l’onta” subita che ridicolizza la sua presidenza. Kabul ha chiesto aiuto alla missione Nato Resolute Support che ha effettuato numerosi raid con i cacciabombardieri statunitensi, prima per respingere un massiccio attacco talebano notturno contro l’aeroporto difeso dalle truppe d’élite afghane fatte affluire da Kabul, poi per colpire le postazioni nemiche in città. Mercoledì mattina le forze governative hanno iniziato a muovere dall’aeroporto verso la città, riconquistando il quartier generale della polizia e la prigione. Secondo l’emittente Tolo Tv, a dar man forte ai governativi sono intervenuti anche contingenti militari della Nato e in particolare statunitensi, britannici e tedeschi: probabilmente forze speciali e team di consiglieri militari destinati ad affiancare in battaglia le forze afghane impegnate in un difficile e sanguinoso combattimento urbano.
L’impiego in battaglia di truppe alleate riapre in Occidente l’incubo del conflitto afghano che in molti ritenevano ormai un capitolo chiuso. Washington ha chiesto a tedeschi e italiani di mantenere ancora fino a primavera 2016 i contingenti di circa 700 militari schierati a Herat e Mazar-i-Sharif, così come gli Usa hanno ancora 9.800 militari schierati in cinque basi afghane. I compiti assegnati alle truppe alleate sono però limitati alla consulenza e addestramento delle forze afghane con qualche reparto aereo e di forze d’élite per azioni di combattimento d’emergenza.
Il colonnello Brian Tribus, portavoce dell'Esercito Usa, si è limitato ad annunciare che "consiglieri militari, compresi uomini delle forze speciali, si trovano nell'area di Kunduz" per "addestrare, consigliare e assistere" le forze di sicurezza afghane. Lo stesso portavoce, citato da vari media, ha poi ammesso che "gli advisor delle forze speciali, nello svolgere il loro compito, hanno fatto fronte a una minaccia degli insorti nelle vicinanze dell'aeroporto di Kunduz alle ore 1:30 (locali) del 30 settembre". Frase che tradotta dal “militarese” significa che hanno dovuto combattere come previsto dalle regole d'ingaggio stabilite nell’accordo con Kabul qualora forze Usa siano ”minacciate dagli insorti".
Che la battaglia sia durissima e metta a dura prova le forze afghane lo riferiscono testimoni oculari citati dal quotidiano britannico Independent. "Ci sono molti bombardamenti aerei fuori dalla città, ma anche truppe di terra che combattono nella piazza principale della città" mentre altri parlano di forze talebane che “attendono rinforzi”. Chi non è scappato prima di ieri mattina, si trova in trappola, impossibilitato a fuggire per i combattimenti e per la presenza di posti di blocco talebani, mentre si hanno notizie vaghe e frammentarie di esecuzioni e rapimenti, in particolare di operatori sanitari. Medici senza Frontiere parla dell'ospedale di Kunduz "inondato" di pazienti, fra cui vari bambini, molti con ferite da arma da fuoco.
La presa di Kunduz è una disfatta per le forze afghane paragonabile a quella di Mosul o Ramadi per l’esercito iracheno contro lo Stato Islamico. Come in Iraq, anche in Afghanistan appare evidente il tramonto dell’illusione che il solo addestramento impartito da istruttori Usa ed europei potesse essere sufficiente a rendere le truppe locali all’altezza della situazione.
E come in Iraq, anche in Afghanistan emerge chiaramente il rischio di un tracollo delle istituzioni dopo il ritiro definitivo delle forze della Nato. Non è un caso che in queste ore si sia acceso a Washington il dibattito sul ritiro degli ultimi 15mila militari alleati. Una forza che i militari americani vorrebbero mantenere nel 2016 con l’attuale consistenza, mentre l’Amministrazione Obama (in scadenza) valuta di ridurre i militari americani da 9.800 a 8mila e qualcuno in meno nel 2017. Una decisione in tal senso avrà effetti anche su Germania e Italia, a cui Washington chiederà certamente di prolungare la presenza dei rispettivi contingenti fino al 2017.