Senza famiglia non si esce dalla droga
Pubblichiamo la lettera che suor Rosalina Ravasio, fondatrice della Comunità Shalom di Palazzolo sull'Oglio, ha inviato ai genitori dei ragazzi presenti in comunità, perché è virtualmente rivolta a tutti i genitori che hanno a cuore la crescita dei propri figli. La lettera è lunga, ma la pubblichiamo integralmente perché, nel raccontare storie purtroppo molto comuni a tante famiglie, offre delle riflessioni preziose soprattutto per quei genitori che hanno problemi di ragazzi con dipendenze, ma può essere utile a tutti per imparare una corretta posizione educativa.
Pubblichiamo la lettera che suor Rosalina Ravasio, fondatrice della Comunità Shalom di Palazzolo sull'Oglio, ha inviato ai genitori dei ragazzi presenti in comunità, perché è virtualmente rivolta a tutti i genitori che hanno a cuore la crescita dei propri figli. La lettera è lunga, ma la pubblichiamo integralmente perché, nel raccontare storie purtroppo molto comuni a tante famiglie, offre delle riflessioni preziose soprattutto per quei genitori che hanno problemi di ragazzi con dipendenze, ma può essere utile a tutti per imparare una corretta posizione educativa.
Ho deciso di scrivere queste parole sperando che possano non solo fare del bene a chi le legge, ma a stimolare il genitore che porta il figlio in una qualsiasi comunità, a lavorare, non solo sulla psiche, ma soprattutto, sullo “Spirito” e sul loro mondo interiore, sia a livello dei singoli che della famiglia intera.
Anzitutto, condivido con voi, il motivo per cui 34 anni fa decisi di aprire questa Comunità “Shalom”.
Portavo la Comunione ad alcuni ammalati del paese in cui esercitavo il mio ruolo e il mio servizio di Suora. Rimasi estremamente scioccata dall’esperienza vissuta con due anziani genitori, malati e disperati. Portavo loro la Santa Comunione, in quanto il papà paralizzato a letto riceveva settimanalmente il Sacramento Eucaristico. Mentre con lui stavo recitando la preghiera preparatoria che richiedeva il ricevere l’Eucarestia, d’improvviso, sentii urla e lacrime della moglie: era caduta vicino a una sedia della cucina… era stato il figlio a spintonarla!
Il figlio, con grossi problemi di droga, usava nei loro confronti una prepotenza, non solo verbale ma anche fisica. Il papà, che stava pregando con me, si mise a piangere chiamando la moglie, e dicendo a lei di non fare urlare così il ragazzo… ma di dargli quei pochi spiccioli rimasti della loro pensione, nascosti dietro un cassetto della cucina!
Per me, l’impatto emotivo fu tale che tutt’ora, quel ricordo, turba la mia memoria. Vedere un uomo anziano piangere sconsolato e scoraggiato… quasi al termine della sua vita… mi ha posto non solo grossi interrogativi personali, ma mi ha dato la stura per affrontare - in quel momento particolare della mia vita e con l’esperienza vissuta di come un uomo può soccombere al dolore… non previsto dalla vita - la scelta di aprire una Comunità che rispondesse a questo tipo di bisogno.
Da responsabile diocesana per la “Pastorale Giovanile”, avevo mandato molti ragazzi nelle comunità allora più in voga e più famose… non vi dico il turbamento e l’angoscia che mi coglieva, dopo la gioia del loro “fine programma terapeutico”, l’averne notizia, dopo alcuni mesi, della loro morte o del loro rientro in altre comunità. Per me suora, che li conoscevo ad uno ad uno, erano momenti devastanti a cui non mi abituavo mai.
Quei genitori, citati da me sopra, hanno vissuto realmente “l’inferno sulla terra”, per le conseguenze angosciose che un ragazzo, quando si droga, può provocare! Quei genitori, moriranno circa due mesi dopo, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro.
Alcune settimane dopo questi fatti, venni chiamata da una famiglia che mi conosceva: il papà era stato trovato, nell’orto di casa, morto di overdose con la moglie in attesa del quarto figlio!!!
Mai, nella mia vita, dimenticherò gli sguardi persi di quei bambini, con i loro pianti disperati: vite segnate, ancora piccole e innocenti, da angosce violentemente scritte nella loro memoria, per tutta la vita!
Due di quei bambini – cresciuti – entreranno poi in Comunità e uno morirà di “HIV”.
Quante famiglie ricalcano queste tragedie! Quante volte sono andata a recitare il S. Rosario, a molti giovani, morti tragicamente: incidente, suicidio… e anche, nella mia lunga esperienza, a persone morte con una pallottola in testa! E, inoltre, ho visto persone, davanti a me, ad un passo dalla morte per una dose eccessiva di droga e/o farmaci… e grazie al cielo, fermate dai genitori in tempo e recuperate totalmente alla vita.
Purtroppo anche dalla parte femminile ho assistito a molti dolori… la debolezza delle loro famiglie è stata la loro tomba: dopo quattro anni di Comunità, una ragazza estremamente fragile con una famiglia fragile portata da noi da una suora molto amica della nostra Comunità, decise in anticipo di chiudere il percorso in quanto si sentiva sicura di potercela fare… senza compiere quell’ultimo passo che in molti casi si rivela fondante nella strutturazione intima della persona… Dopo tre anni dall’uscita dalla Comunità si butterà dal quinto piano di un palazzo a Modena con il bambino di un anno e mezzo in braccio. Sarà la prima, purtroppo, di una lunga scia!
Che dire, poi delle molte famiglie, che sebbene appartenenti ad una situazione economica medio-alta, sono finite sul lastrico, perché saccheggiate dai loro stessi figli…! Mamme, che per i molteplici dispiaceri, sono finite in coma irreversibile! Una di queste mamme, è morta pochi mesi fa. Sofferenze e angosce che trovano lo Stato, e le sue molteplici Istituzioni, che pur con tutti i loro potenti mezzi… sono paradossalmente, impotenti. Non è un gioco di parole, ma la realtà.
Compito della nostra Comunità è accogliere le loro ferite e, con umiltà ma anche con determinazione, possibilmente guarirle con l'aiuto di Dio.
E ora, vengo al “Metodo Shalom”: come “affrontare seriamente” le varie situazioni e le varie casistiche per cui i ragazzi vengono portati in Comunità?
Infatti qualcuno arriva in Comunità Shalom per i reati commessi e quindi introdotti, in Comunità, dal sistema giudiziario; altri per disturbi di personalità determinati dalle assunzioni delle varie droghe; altri perché violenti… o con gravi patologie comportamentali e magari con ripetuti tentativi di suicidio alle spalle.
Quindi scopo primario della nostra comunità è la riabilitazione. Quando un ragazzo viene portato in Comunità i genitori sono, psicologicamente, umanamente e moralmente, letteralmente prostrati e demoliti.
Inizialmente il bussare alla porta della Comunità da parte della famiglia, è motivato dall’apparente ricerca di aiuto, in una situazione di smarrimento psicologico e di disorientamento umano e assistiamo sempre ad una pseudo-alleanza della famiglia con chi accoglie il figlio, cioè con la Comunità stessa. Inoltre, in queste circostanze, i genitori si dimostrano disponibili a far tutto, ad aderire e ad accettare qualsiasi regola, e infatti firmano tutti il consenso informato, oltre che a far pressione sul figlio/a in modo tale da convincerlo ad accettare la Comunità.
L’impatto della Comunità con la famiglia è talvolta molto forte. Il padre e la madre, in modo alternato, raccontano la storia – secondo il loro personale punto di vista – di come la droga sia entrata nella loro famiglia: storia continuamente rimaneggiata dalle contraddizioni dell’uno o dell’altro genitore. È frequente che, durante questi colloqui, un genitore si stupisca di ciò che l’altro dice… e magari viene a conoscenza, in questa sede, che l’altro genitore già sapeva cosa facesse il figlio… eppure lo nascondeva.
Effettivamente, a fasi alterne con scopi più o meno manifesti, un genitore era complice con il figlio/a, all’insaputa dell’altro coniuge.
Capite, quanto sia arduo stanare le difficoltà della famiglia, le loro angosce, le loro fatiche molto celate e dissimulate… se non quando attribuite al comportamento tossicomane o deviato del figlio.
E’ importantissimo sapere quanto l’ambito famigliare sia all’origine del problema e del comportamento del figlio/a, oltre che del suo disinserimento sociale… e questo, non solo per la Comunità che lo sta accogliendo, ma per gli stessi genitori e tutto l’ambito famigliare.
Molti genitori in questi colloqui si pongono in difesa e con un malcelato spirito critico, perché la lacerazione interiore, imposta dal figlio/a, è troppo forte e non ancora psicologicamente e moralmente metabolizzata per parlarne davanti a terze persone. Ma anche perché i loro problemi personali e le loro non facili relazioni interne, li hanno come rinchiusi in un ghetto psicologico… a motivo del senso di colpa che li accompagna, sentendosi responsabili dello stato deviante del loro figlio/a.
Per questo motivo, la Comunità, dopo i primi mesi di distanziamento, si è differenziata rispetto alle altre Comunità e con un impegno non indifferente, per portare avanti l’incontro mensile formativo, specifico per i genitori.
La Comunità è infatti consapevole che si può raggiungere un traguardo importante solo parlando di terapia multipla… cioè, quando c’è la rete di sostegno da parte della famiglia!
Solo così, si possono effettuare cambiamenti strutturali sia sul residente che sull’intero nucleo famigliare.
Attraverso questi incontri, si cerca di identificare i punti critici che sono stati all’origine dei problemi che hanno spinto i ragazzi all’uso della droga, o alla emarginazione psicologica… ma non solo: si identificano pure, quelle modalità di manipolazione che hanno caratterizzato le relazioni interpersonali famigliari!
Inoltre, si cerca di scoraggiare il perpetuarsi di una infantile e inconscia protezione da parte dei genitori… promuovendo così, nuove dinamiche di relazione di crescita… Sì, perché la famiglia, spinta dai suoi sentimenti di colpa, invece di “superarsi”, arriva molte volte a spingere, con messaggi psicologici deboli e ambigui, il figlio/a a lasciare anticipatamente il programma di trattamento terapeutico!!!
Sarebbe auspicabile, ed estremamente positivo che, quando il ragazzo/a mostra segni di rottura o disadattamento o ostilità al cambiamento, la famiglia possa fare rete… spaccando, prima in se stessa, i vecchi schemi relazionali. Purtroppo invece, la famiglia, in uno stato di stress frequente, torna ai vecchi modelli relazionali distruttivi.
La partecipazione della famiglia agli incontri mensili, quando non è di pro-forma, ma vissuta in modo chiaro e convinto, considerata anche la levatura professionale di chi tiene questo tipo di incontri, aiuterebbe molto il ragazzo/a a trovare le motivazioni e a superare le difficoltà di carattere sia sociale che relazionale inerenti alla sua specifica personalità!
Per questo motivo si fanno gli incontri!
La famiglia, in questo contesto, è guidata, stimolata e pungolata ad affrontare tutte le problematiche, siano esse di natura psicologica e relazionale che la riguardano. Talvolta questi incontri possono rappresentare, per la stessa famiglia, uno shock, perché, se attenta, riconoscerebbe il problema del loro figlio/a… e questo problema, sanno di doverlo affrontare.
Può succedere, ma di rado, che il figlio possa essere riabilitato senza il supporto della famiglia… ma, nella stragrande maggioranza dei casi, il ragazzo/a non può essere riabilitato e reinserito in un ambiente che pone la sua famiglia quasi in un vuoto motivazionale! Ogni incontro mensile è importante, sia per il residente che per la sua famiglia, perché qualora anche il ragazzo/a non fosse eccessivamente motivato a cambiare, e questo sentimento può durare anche lunghi periodi, il supporto della famiglia è determinante a diluire questo stato d’animo. Come diceva un vecchio proverbio, chi la dura la vince!
E, grazie al cielo, c’è chi perde… ma anche chi vince… onore a chi arriva al traguardo perché il domani è il frutto dell’oggi, e l’oggi è il frutto di ieri!!!
Troppo spesso i genitori dimenticano il fatto che, per una vita, prima che i figli entrassero in Comunità, hanno appagato – in maniera quasi completa – tutti i bisogni del ragazzo/a… assecondato tutti i suoi desideri… tutti i suoi impulsi... eppure, questo non è stato sufficiente a calmare, e a frenare, la crescente alienazione psicologica, sociale e morale del ragazzo.
Eh sì, i genitori non se ne rendono conto di quanto possano essere elementi di disturbo, alla crescita del ragazzo, con il loro atteggiamento sempre protettivo e sospettoso.
Quando la famiglia, instaura con la Comunità un contatto vero, ed è disposta a mettere in crisi sia le dinamiche che le relazioni da sempre messe in atto al loro interno, il rapporto col proprio figlio/a si armonizza disintegrando piano piano, tutte le difficoltà.
Per lo stesso clan famigliare è una crescita estremamente positiva!
Quanti ragazzi hanno interrotto la terapia a seguito di un incontro con la propria famiglia!
Quando un padre è debole di carattere, il “clan famigliare”, è spesso, esageratamente, protettivo nei confronti del ragazzo/a!
Ma anche la famiglia che si sente socialmente sotto-privilegiata per vari motivi, fatica a cambiare determinati modelli e dinamiche relazionali, perciò spesso ne consegue che è demoralizzata e tendente a cedere… di fronte alle insistenze del figlio/a. Che fatica, aderire con coerenza al percorso comunitario!
Non dimentichiamo che il nostro compito è aiutare i ragazzi/e a crescere: anche nel seno delle loro famiglie.
Aiutare i nostri figli a superarsi, soprattutto quando questo stimolo viene da parte della loro famiglia, e insegnare loro a raggiungere gli obiettivi prefissati… è un grande segno di maturazione e di riconquista di fiducia in sé stessi. Anche quando, questa crescita di fiducia in sé stessi, rimane inconscia.
Che la Madonna ci aiuti a far crescere i nostri figli, come Lei ha accudito Gesù. Infatti il Vangelo ci dice che Gesù cresceva: “In Grazia davanti a Dio e agli uomini".
* Comunità Shalom - Palazzolo sull'Oglio