Seguire la coscienza non è far ciò che si vuole
Il primato assoluto della «dimensione soggettiva dell’esistenza» è la radice tipica dei mali moderni.
Mentre qualche buontempone ha già scritto che il Papa, nel suo discorso al personale della Questura di Roma del 21 gennaio, ha voluto dire la sua sulle feste bunga bunga, chi presta vera attenzione al Magistero è chiamato a riflettere su un’altissima lezione di Benedetto XVI a proposito del fondamento etico della convivenza civile. Il Papa, indipendentemente dalla nazionalità delle persone che incontra nelle udienze, si rivolge del resto al mondo intero e i suoi discorsi sono quasi immediatamente tradotti e pubblicati in molteplici lingue. Solo l’inguaribile provincialismo italiano può pensare che il Papa prepari i suoi discorsi con un occhio a Lele Mora o a Ruby Rubacuori.
L’«indebolimento della percezione dei principi etici su cui si fonda il diritto e degli atteggiamenti morali personali, che a quegli ordinamenti sempre danno forza» è certo un problema che tocca anche l’Italia – se si vuole, anche i più recenti avvenimenti – ma che il Papa riferisce a un ambito ben più vasto e generale, «il nostro mondo».
L’intero mondo moderno, afferma il Papa, «è attraversato […]dall’impressione che il consenso morale venga meno e che, di conseguenza, le strutture alla base della convivenza non riescano più a funzionare in modo pieno. Si affaccia pertanto in molti la tentazione di pensare che le forze mobilitate per la difesa della società civile siano alla fine destinate all’insuccesso».
Alla radice di questa crisi c’è il soggettivismo morale, il primato assoluto della «dimensione soggettiva dell’esistenza». La cosiddetta scoperta moderna del soggetto non è di per sé negativa, anzi «da una parte, è un bene». Diventa un male quando il ripiegamento sul soggetto esclude l’apertura a Dio, che è invece il fondamento del valore della persona.
In secondo luogo, la modernità ha messo «in evidenza il valore della coscienza umana. Ma qui troviamo un grave rischio, perché nel pensiero moderno si è sviluppata una visione riduttiva della coscienza, secondo la quale non vi sono riferimenti oggettivi nel determinare ciò che vale e ciò che è vero, ma è il singolo individuo, con le sue intuizioni e le sue esperienze, ad essere il metro di misura; ognuno, quindi, possiede la propria verità, la propria morale». Il Papa ha trattato più volte questo tema a proposito degli equivoci diffusi rispetto al tema della coscienza nel pensiero del beato John Henry Newman (1801-1890).
La modernità intende il richiamo alla coscienza come il diritto per ciascuno di fare quello che gli pare, senza «riferimenti oggettivi». La stessa confusione riguarda la libertà, confusa con il libero arbitrio. Mentre il libero arbitrio è la possibilità di scegliere fra il bene e il male, la libertà è la capacità di aderire al bene: altrimenti Dio, che non può fare il male, paradossalmente non sarebbe libero. Così la coscienza retta è la docilità all’ascolto della verità e la capacità di fare propria la norma oggettiva, agli antipodi della moderna dittatura del relativismo. «Il vero significato della “coscienza” – insegna il Papa – è la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, e, prima ancora, la possibilità di sentirne il richiamo, di cercarla e di trovarla».
Se si sbaglia nozione della coscienza, continua il Papa, «la conseguenza più evidente è che la religione e la morale tendono ad essere confinate nell’ambito del soggetto, del privato: la fede con i suoi valori e i suoi comportamenti, cioè, non avrebbe più diritto ad un posto nella vita pubblica e civile». Ne nasce il più tipico e grave paradosso della modernità: «da una parte, nella società si dà grande importanza al pluralismo e alla tolleranza, dall’altra, la religione tende ad essere progressivamente emarginata e considerata senza rilevanza e, in un certo senso, estranea al mondo civile, quasi si dovesse limitare la sua influenza sulla vita dell’uomo». Mentre si esalta la tolleranza, si manifesta ovunque una grave intolleranza contro i cristiani e contro il loro pieno diritto d’intervenire, appunto come cristiani, nella vita pubblica e politica.
Che fare allora? Si tratta di tornare alla vera nozione di coscienza, e all’apertura costitutiva della persona umana verso Dio, per ricostruire un mondo dove «Dio e l’uomo tornino a incontrarsi», dove ragione e fede collaborino in una «positiva e proficua interazione fra sana laicità e fede cristiana». Certo, anche l’immoralità individuale è il prodotto di una nozione immatura o deviata della coscienza e della libertà. Ma le conseguenze più gravi di questo errore moderno, insegna il Papa, si manifestano quando la presenza cristiana è «progressivamente emarginata» dalla vita del «mondo civile». Questo è il dramma della dittatura del relativismo, e di questo i cattolici preoccupati della cosa pubblica dovrebbero anzitutto preoccuparsi.