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LIBERTA' DI EDUCARE

Se ti candidi per il bene comune, riforma l'istruzione

Il candidato italiano alle europee si ricordi dei diritti della persona, fra cui anche quello all'educazione. L'Italia è una delle due nazioni in Europa (l'altra è la Grecia) che non riconosce alle famiglie il diritto di scegliere la miglior istruzione per i figli. Il candidato vuole che la nostra sia un'educazione di regime? O vuol cambiare questa situazione?

Educazione 14_05_2019
Scuola

Il candidato italiano alle europee ha il preciso dovere di ricordare da dove viene e dove va, soprattutto sul piano dei diritti della persona. Se si candida, è per un maggior bene, sia del proprio Paese che della compagine europea. Non certo a danno dell’uno o dell’altra. E’ impensabile, per il candidato italiano, di qualunque colore egli sia, presentarsi in Europa con il vulnus mortale della libertà negata in educazione. Sarebbe come dire: “L’Italia  propone il proprio modello di Istruzione Unica di Stato, cioè di Regime”.  O è disposto, il candidato italiano, ad esprimersi anche per il proprio Paese a favore di questa libertà fondamentale dell’umano, radicata in Europa (ad eccezione di Italia e Grecia), o è meglio che non si faccia vivo. Faccia altro. Pertanto, sono quattro i punti all’attenzione di chi si candida:

1a Questione – Oggi gli studenti sono discriminati, per ragioni economiche, nel loro diritto di apprendere. Infatti, sono i genitori che hanno il diritto di «istruire ed educare i figli» (art. 30 della Costituzione), il diritto «di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli» (art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo). Gli Stati europei sono dunque tenuti a «rispettare il diritto dei genitori di provvedere nel campo dell’insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche» (art. 2 della Convenzione Europea sulla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo).

 2a Questione – Ciò premesso, la libertà di scelta educativa necessita di un pluralismo educativo composto da scuole pubbliche statali (attualmente frequentate da 7.682.635 studenti) e scuole pubbliche paritarie (attualmente in numero di 12.662, frequentate da 879.158 studenti), entrambe pubbliche di diritto e di fatto, secondo la L 62/2000. L’esistenza della sola scuola pubblica statale comporterebbe un monopolio educativo e la Repubblica democratica cederebbe il passo al Regime totalitario. È evidente che la chiusura di 380 scuole paritarie all’anno costituisce allora un allarme sociale, perché, di questo passo, nel giro di non molti anni ci saranno solo scuole statali e le poche paritarie sopravvissute avranno una retta dai 5mila euro in su…improponibile per il genitore povero. Per contro, avremo perso un patrimonio storico e culturale enorme, che ha contribuito a sanare l’Italia del dopoguerra: le piccole, sane scuole paritarie accessibili ai più, quelle cioè con retta inferiore ai tremila euro.

3a Questione – Stride maggiormente, semmai fosse possibile, la discriminazione perpetrata ai danni dell’allievo disabile. Per lui c’è posto nella scuola pubblica statale …appena si trovano i 50mila docenti di sostegno che mancano. Ma se sceglie la pubblica paritaria, ecco che lo Stato italiano lo ripudia: «Il docente di sostegno se lo paghi lui! Oppure lo paghino le altre famiglie, o la scuola!». Conseguenza: la rovina del disabile, i cui genitori non hanno i soldi per pagare il sostegno, o meglio quella della scuola, per la quale 40.000 euro annui di stipendio per il sostegno significano la chiusura. Chiunque abbia un po’ di razionalità e di senso civico rabbrividisce di fronte a questa situazione, perché si tratta chiaramente di un capolavoro di ingiustizia, che appare giusta senza esserlo.

4a Questione – L’ingiustizia produce sempre altra ingiustizia, a catena: ciò risulta evidente qualora si consideri la discriminazione professionale dei docenti. Sono, infatti, esclusi dal “concorsone” indetto dal Ministero dell’Istruzione anzitutto le maestre ed i maestri delle scuole paritarie, primarie e dell’infanzia, che hanno concluso gli studi entro il 2001/2002. Ma non basta: alla prova possono partecipare soltanto coloro che hanno lavorato per almeno 36 mesi negli ultimi otto anni nelle sole scuole pubbliche statali; pertanto sono esclusi i docenti delle scuole pubbliche paritarie, con la conseguenza di una grave discriminazione professionale a danno di duemila lavoratori che, con gli stessi titoli dei colleghi statali, hanno prodotto gli stessi effetti: alunni regolarmente promossi e inseriti nel Servizio Nazionale di Istruzione. Questo concorsone, che avrebbe l’obiettivo di fermare il precariato, in realtà farà diventare precario chi non lo era mai stato prima!