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CRISI DA CORONAVIRUS

Se neanche le pensioni sono più una certezza

Nemmeno le pensioni sono più una certezza. A suscitare allarme sono le parole dello stesso presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, che ha parlato di liquidità dell'Istituto previdenziale "fino a maggio". E poi? L'Inps è stata messa particolarmente sotto pressione in queste settimane di chiusure forzate. Ma i suoi problemi sono di lungo termine

Economia 28_03_2020
Sede dell'INPS

Sono 16 milioni di persone, oltre un quarto della popolazione italiana, hanno un reddito che dipende (spesso interamente) dallo Stato e che è garantito solo fino a maggio. Parliamo dei pensionati, una categoria che, nel nostro paese, rischia di subire i colpi della crisi delle finanze pubbliche: un'emergenza resa ancora più esplosiva dalle chiusure delle attività economiche per l'emergenza coronavirus.

A certificare il problema niente di meno che Pasquale Tridico, intervistato ai microfoni del programma Di Martedì su La7. Nel suo intervento Tridico ha accennato al fatto che gli sgravi contributivi derivanti dal 'cura Italia' potrebbero pesare nel bilancio alla voce 'entrate'. Parlando dei soldi per erogare le pensioni ha detto: "Li abbiamo fino al momento in cui è stato sospeso pagamento dei contributi. Fino a maggio non c'è problema di liquidità". Inoltre ha accennato, pur senza una quantificazione precisa, alla possibilità di “accedere ad un tesoretto che è il fondo di tesoreria dello Stato. Dopodiché, immagino che in aprile ci sarà un altro decreto che dovrà stabilire la proroga delle ulteriori indennità e dovrà anche dire cosa succederà alla sospensione dei contributi”. Dichiarazioni che hanno messo in allarme il segretario generale della Cisl pensionati Piero Ragazzini, secondo cui le dichiarazioni del presidente dell'Inps "creano solo allarmismo ed ansia": bisogna – ha aggiunto - “fare immediatamente chiarezza per ristabilire la tranquillità senza creare disagi ulteriore ai danni dei pensionati”. 

L'allarme celato di Tridico non deve essere preso sotto gamba nemmeno da chi ha sempre considerato le pensioni come una certezza incrollabile, al pari del sorgere del sole al mattino. E questo per tre ragioni. La prima è legata alla situazione contingente. In questi mesi, l'Inps si sta facendo carico di una serie di costi (e minori entrate) mai sostenuti in passato. Parliamo anzitutto del bonus di 600 euro per 5 milioni di autonomi: un esborso che, se dovesse essere richiesto da tutti, farebbe uscire dalle casse dell'istituto di previdenza la bellezza di 3,9 miliardi di euro. E il bonus non è certo l'unica spesa che ricadrà sulle spalle dell'istituto. Nel complesso, come riporta lo stesso sito dell'Inps, “in ottemperanza al Decreto Cura Italia l’Inps è pronto a gestire 10 miliardi di euro per circa 11 milioni di utenti tra prestazioni di Cassa Integrazione e gli altri strumenti di sostegno al reddito. Uno sforzo più ingente di quello che ha visto l’Inps impegnato sul Reddito di Cittadinanza e Quota 100, sia in termini di risorse economiche che in termini di utenti”.

La seconda ragione di preoccupazione è strutturale. Secondo i dati diffusi il 15 gennaio 2020 e contenuti nel report “Condizioni di vita dei pensionati” nel 2018 sono stati spesi 293 miliardi di euro suddivisi in poco meno 23 milioni di trattamenti per 16 milioni di pensionati (c'è chi prende più di una pensione). Il rapporto tra pensionati da lavoro e occupati è del 60,6% il che significa che ci sono 606 pensionati ogni mille lavoratori: un dato migliore di quello del 2000 (683 ogni mille) che non tiene conto però del divario sempre maggiore fra pensioni e salari. Come si può vedere nella grafica a pagina 4 del report, infatti, i redditi da pensione sono aumentati del doppio rispetto a quelli da lavoro. “In termini nominali - scrive l'Inps - l’importo medio delle prestazioni del 2018 è aumentato del 70% rispetto a quello del 2000, con una dinamica più marcata rispetto a quella registrata dalle retribuzioni medie degli occupati dipendenti. Rispetto al 2000, infatti, le retribuzioni sono aumentate del 35% in un contesto di crisi economica”. Non a caso la spesa per le pensioni ha raggiunto il 16,6% del Pil e un terzo abbondante (34,3 per cento) della spesa pubblica, che nel 2018 è stata pari a 854,6 miliardi di euro. Una spesa sul Pil molto alta se consideriamo che la Francia si ferma al 13,9%, la Germania al 10,1%, gli Stati Uniti al 7,1% e la media Ocse non supera l'8% (Dati Ocse del 2015).

La terza ragione è di prospettiva nel breve, medio e lungo periodo. Nel breve periodo il principale rischio per la tenuta dei conti è rappresentato dall'ipotesi che la chiusura forzata delle attività economiche possa continuare. Una scelta politica che, comunque la si giudichi, ha obiettivamente inferto un colpo durissimo al già fragile tessuto produttivo che, come Atlante, regge sulle sue spalle l'intera economia del paese: le piccole-medie imprese, le partite Iva e le attività commerciali di vendita al dettaglio. Senza i loro contributi sarà difficilissimo pagare le pensioni nei prossimi mesi (senza contare il rischio che per via della crisi da coronavirus alcuni, da contribuenti, finiscano per diventare dipendenti dall'aiuto dello Stato). Nel medio periodo il rischio è che l'Inps - dopo aver inglobato nel 2012 l'Inpdap, la cassa dei dipendenti pubblici - debba farsi carico di altre casse in crisi come l'Enpam (quella dei medici) o l'Inpgi (dei giornalisti, chi scrive ne sa qualcosa). Nel lungo periodo, infine, il rischio più grande è rappresentato dall'invecchiamento della popolazione, che potrebbe addirittura finire per rovesciare il rapporto fra chi lavora e chi è in pensione, rendendo il sistema insostenibile.

Una crisi del sistema metterebbe a rischio povertà molte persone. Basti pensare che - come cita sempre il rapporto Inps - oltre un terzo dei pensionati vive in coppia senza figli (35,5%), poco più di un quarto da solo (27,4%). Per quasi 7 milioni e 400mila famiglie con pensionati i trasferimenti pensionistici rappresentano più dei tre quarti del reddito familiare disponibile. Si arriverebbe a una situazione paradossale: i “famosi” nonni che mantengono figli e nipoti colpiti dalla crisi economica diventerebbero, a loro volta, bisognosi d'aiuto.