Se l’Unicef non riconosce che la pornografia è un male
Un rapporto dell’Unicef - prima pubblicato, poi ritirato per le voci di protesta e ripresentato con lievi modifiche - sostiene l’idea che la pornografia non sia sempre dannosa per bambini e adolescenti. E ad essi non andrebbe negata una «vitale educazione sessuale», aborto e temi Lgbt inclusi. Un approccio scandaloso che non riconosce il male oggettivo della pornografia.
Secondo l’Unicef la pornografia non è necessariamente dannosa per bambini e adolescenti. È questo il succo di un rapporto che ha destato, giustamente, scandalo nel mondo pro famiglia. La cosa singolare è che l’Unicef - a seguito della notizia del rapporto data dal Friday Fax, pubblicazione legata a un istituto di ricerca americano (C-Fam) che segue da vicino le attività dell’Onu e dintorni - ha eliminato dal proprio sito Internet la versione originale del documento. E alcuni giorni dopo lo ha ripresentato con qualche modifica per renderne i contenuti più spendibili politicamente, ma senza - si badi bene - correggere l’errato impianto di fondo. In pratica l’agenzia dell’Onu ci dice che la pornografia non è un male in sé, assecondando così l’ennesima falsità del relativismo, che non sa distinguere tra bene e male, fino a capovolgerli.
Il rapporto, intitolato “Digital age assurance tools and children’s rights online across the globe”, tratta degli strumenti di verifica online dell’età e i diritti dei bambini in cinque aree (gioco d’azzardo, pornografia, giochi online, social media, materiali pedopornografici). Riguardo alla pornografia, esso passa in rassegna le proposte legislative di alcuni Paesi e cita alcune ricerche che presentano, al di là dei dati raccolti, giudizi diversi sulla questione, o totalmente negativi o sostanzialmente lassisti.
Alla domanda «Quali sono le prove del rischio e del danno?», l’Unicef rispondeva richiamando l’esistenza di «diversi tipi di rischi e danni che sono stati collegati all’esposizione dei bambini alla pornografia», ma aggiungeva subito dopo che «non c’è consenso sul grado in cui la pornografia è dannosa per i bambini». Proprio quest’ultima parte, relativa al “consenso” mancante sull’entità dei danni, è stata eliminata dalla nuova versione del documento. E, similmente, dalla risposta alla domanda successiva («Le prove giustificano i limiti d’età?») l’agenzia dell’Onu ha eliminato la parte in cui si leggeva che «le prove sono discordanti, e attualmente non c’è accordo universale sulla natura e l’entità del danno causato ai bambini dal vedere contenuti classificati come pornografici».
Per il resto c’è qualche parola cambiata rispetto alla prima versione, ma nulla che cambi la prospettiva scandalosa dell’Unicef, che si guarda bene dall’esprimere un proprio e netto giudizio contro la pornografia.
Per esempio, andando a vedere quel che c’è sia nel primo che nel secondo rapporto, l’agenzia dell’Onu ritiene che esistano contenuti che possono essere classificati come pornografia «in certi contesti» e ciò, in presenza di restrizioni legate all’età, «potrebbe negare ai bambini l’accesso a materiali di vitale educazione sessuale» (p. 35). Breve richiamo: l’idea di “educazione sessuale” condivisa da diverse agenzie dell’Onu - dall’Unesco all’Oms con le sue famigerate linee guida per l’Europa - è effettivamente pornografica e tutt’altro che “vitale”. Non a caso, più avanti il rapporto dell’Unicef esorta a non escludere i bambini dalle informazioni online su «salute sessuale e riproduttiva» (espressione comprendente l’aborto), «includendo le risorse per un’educazione Lgbtq» (p. 39).
L’Unicef ricorda sinteticamente l’esistenza di ricerche che sottolineano «gli esiti negativi» della fruizione di pornografia, quali «la scarsa salute mentale, il sessismo e l’oggettificazione, l’aggressione sessuale». E poi, su altro versante, cita lo studio “EU Kids online 2020” della London School of Economics, basato su sondaggi in 19 Paesi europei, in cui emergerebbe che «la maggior parte dei bambini che hanno visto immagini sessuali online non erano né sconvolti né felici (dal 27% della Svizzera al 72% della Lituania); tra il 10% e il 4% erano abbastanza o molto sconvolti; e tra il 3% dei bambini (in Estonia) e il 39% (in Spagna) riferivano di sentirsi felici dopo aver visto tali immagini».
Nessun giudizio viene espresso sul fatto che percepirsi indifferenti o addirittura “felici” per visioni pornografiche è pur sempre una percezione effimera e ingannevole - come tante ne esistono al mondo (si pensi alla droga e alle varie altre dipendenze disordinate) - che cozza con il dato oggettivo in base al quale la pornografia è contraria al bene della persona, crea dipendenza e danni psico-fisici evidenti nel medio-lungo termine.
Riferendosi ai limiti per la pornografia commerciale fissati a 18 anni in diversi Paesi, l’Unicef suggerisce un più «sfumato» sistema di classificazione per età, anche per le «differenze nel livello individuale di maturità dei bambini» (p. 38). Preoccupante anche quest’altro passaggio nella parte introduttiva alle cinque aree suddette: «I bambini hanno il diritto di essere protetti online dallo sfruttamento e abuso sessuale e dalla violenza, ma questo deve essere bilanciato con i loro diritti alla privacy, libertà di espressione, partecipazione, gioco e accesso alle informazioni» (p. 33). Abbiamo già visto sopra quali sono alcune delle informazioni ritenute prioritarie dall’Unicef.
L’agenzia dell’Onu, in risposta al Friday Fax che chiedeva un commento, ha dichiarato attraverso la portavoce Najwa Mekki che «la posizione dell’Unicef è inequivocabile: nessun bambino dovrebbe essere esposto a contenuti dannosi online». Ma l'Unicef, come si vede, non ha voluto esplicitare il suo giudizio sulla pornografia.
Del resto, quanto visto è sufficiente per capire la posizione dell’Unicef, anche in relazione alle parti omesse nel rapporto modificato. Perché il punto non è che manchi il “consenso” o l’“accordo” su quanto sia dannosa la pornografia (inevitabilmente ci saranno dei giudizi diversi tra chi, per esempio, ne fruisce e chi ne denuncia i pericoli, a conferma che non è il “consenso” a determinare la verità), bensì che oggettivamente sia contraria alla legge morale naturale. Come ricorda il Catechismo «la pornografia […] lede gravemente la dignità di coloro che vi si prestano (attori, commercianti, pubblico) […]. Immerge gli uni e gli altri nell’illusione di un mondo irreale. È una colpa grave. Le autorità civili devono impedire la produzione e la diffusione di materiali pornografici» (CCC, 2354). Su questi semplici principi di buonsenso, peraltro validi per tutte le età, si dovrebbe basare l’approccio di qualunque organizzazione che dichiari di agire per il bene dei bambini.