Se l'albergo è "no kids" va tutto bene
In provincia di Bologna un agritursimo ospita solo clienti senza bambni al seguito per "tutelare il relax". E nessuno si scandalizza, anzi viene proposto come modello positivo di business. Invece quando ad essere escluse sono state due coppie omosessuali si è gridato alla discrminazione e all'omofobia. Doppia morale di un Paese che sta scivolando verso la limitazione delle libertà solo per alcuni e nel conformismo inquietante per altri.
Eravamo stati fin troppo facili profeti. Scegliersi la clientela delle proprie strutture turistiche si sta rivelando sempre più un’attività dalla doppia morale: vietato se l’albergatore non vuole i gay, ma se invece ad essere off limits sono i bambini è semplice esercizio della libertà di decidere chi mettere in casa. Quando abbiamo raccontato dello scandalo dei due albergatori che avevano rifiutato di dare la casa vacanze a una coppia di omosessuali erano insorti più o meno tutti, gridando alla discriminazione e al boicottaggio delle strutture turistiche razziste e omofobe. E ci chiedevamo che cosa sarebbe successo se qualcuno avesse stoppato l’ingresso di bambini e ragazzini vocianti. Avrebbe ricevuto lo stesso trattamento?
La risposta è arrivata in men che non si dica. Sul Corriere della sera ci viene raccontata la storia di un agriturismo sulle dolci colline in provincia di Bologna. Il quale ha una particolarità: non ospita bambini. Il motivo? Il relax imposto come codicio sine qua non per una vacanza di tutto rispetto. Si sa che i bambini sono fastidiosi, ma non più di altre categorie che invece sono le benvenute, come ad esempio i forzati del karaoke sulla spiaggia fino alle 2 di notte. Per questi si fanno ponti d’oro e pazienza se gli altri non chiudono occhio. Invece per le famiglie con al seguito i figli piccoli, ecco che scatta il divieto.
Ovviamente l’articolo tiene conto di alcune proteste, ma in fondo sopportabili. Anche perché l’albergatore si dice sicuro nell’affermare che “sono io il proprietario di questo posto e di conseguenza le regole le stabilisco io”. La scelta gli sorride: gli affari vanno a gonfie vele, il locale registra il tutto esaurito e si scopre anche che in Germania un portale si sta specializzando nel mappare tutte le strutture ricettive no kids. In Europa sono già 400 le strutture “vietato ai bimbi”. La conclusione dell’articolo? Un ottimo indotto economico.
La notizia conferma, se ancora ce ne fosse bisogno che l’Italia non è un Paese family friendly: se le famiglie con figli sono malviste significa che quello turistico, che ragiona esattamente come un mercato come un altro, ha valutato che non siano una categoria appetibile. Forse anche perché essendo le più falcidiate dalla crisi sono anche quelle che hanno la capacità di spesa più ridotta. Quindi il gioco non vale la candela.
Ma al di là della legittimità o no della decisione bisognerebbe anche avere l’onestà intellettuale di ammettere che in fondo ognuno in casa sua fa quello che vuole, quindi se non vuole tra i piedi passeggini e fasciatoi sarebbe coercitivo imporgli di cambiare idea.
Allo stesso modo questo dovrebbe valere se si decidesse di dire no alle coppie gay. Per entrambi i casi le motivazioni potrebbero essere facilmente smontabili, ma solo in un caso siamo di fronte ad una discriminazione. Nell’altro invece è un legittimo esercizio della libertà e del senso degli affari. Però è anche un segnale di come il Paese stia scivolando in una profonda regressione dell’esercizio delle libertà personali a vantaggio di un conformismo inquietante.