Se la studentessa vegetariana è accusata di islamofobia
L’inglese Abigail Ward, 16 anni, scrive un elaborato in cui definisce «assolutamente disgustosa» la carne halal: la scuola la stronca tacciandola di «islamofobia». Ma lei, sostenuta dalla madre, protesta, spiegando che il suo giudizio si basa sul suo essere vegetariana. Risultato? La scuola corre ai ripari. Una vicenda che dice molto delle contraddizioni del politicamente corretto.
Non lo si direbbe, eppure anche il politicamente corretto, talvolta, riserva aspetti divertenti. Lo si coglie quando si manifestano i paradossi di questa ideologia, quando cioè le contraddizioni emergono con l’assurdo e il grottesco che entrano in rotta di collisione. Com’è successo nel Regno Unito da dov’è emersa una storia emblematica, appunto, di quanto il politicamente corretto sia insostenibile e destinato a implodere. Ci riferiamo alla vicenda di Abigail Ward, 16 anni, studentessa alla Gildredge House di Eastbourne, nell’East Sussex, la quale ha visto un proprio elaborato dello scorso mese di giugno tacciato nientemeno che di «islamofobia».
Il motivo? Per meritarsi tale bocciatura, formalmente motivata sulla base di presunte «considerazioni razziste», la studentessa si era permessa di definire «assolutamente disgustosa» la carne halal, ossia quella ritenuta dai mussulmani conforme alla legge in quanto macellata e lavorata in conformità ai precetti islamici, che impongono che l’animale - non stordito e rivolto verso La Mecca - venga ucciso con un coltello a lama ben affilata e un taglio unico, che recide giugulare, carotidi, esofago e trachea; il tutto mentre il macellatore pronuncia delle formule di rito.
Una cosa «assolutamente disgustosa», dicevamo, secondo la sedicenne inglese, che, per questo giudizio, è stata penalizzata. Ora, basterebbe già questo a rendere l’intera vicenda quantomeno curiosa, con la carne halal elevata a dogma intoccabile. Eppure siamo solo all’inizio di una vicenda divenuta ancora più grottesca quando si è appreso che Abigail Ward non ha scritto quelle cose perché mossa da sentimenti di ostilità verso l’islam, bensì in quanto vegetariana. Una posizione, quella della giovane, confermata anche da Layla Ward, la madre, la quale ha sottolineato come in effetti sua figlia è «un’amante degli animali e, quindi, una vegetariana molto rigorosa».
Facendo leva su questo, la giovane si è opposta alla bocciatura ricevuta spiegando che il suo «assolutamente disgustosa» riferito alla carne halal era basato, come giudizio, non su criteri razziali o religiosi, bensì, appunto, sul suo essere vegetariana. Morale: la matita rossa è stata rimessa nel cassetto e la segnalazione alla studentessa ritirata dalla scuola, con la commissione esaminatrice corsa letteralmente ai ripari evidenziando sia come il giudizio iniziale fosse inaccurato sia come nessun altro passaggio, nella tesina prodotta dalla giovane, potesse essere considerato razzista.
Islamofilia e vegetarianismo 1 a 1, quindi, e palla al centro. Battute a parte, se una lezione viene da questa storia non è quella dell’elaborato della sedicenne inglese, né, tantomeno, quella di un istituto scolastico alle prese con la cultura dominante, no: il solo insegnamento che emerge dalla vicenda è quello di cui si diceva all’inizio, ovvero la natura strutturalmente contraddittoria del politicamente corretto. Un’ideologia che ha nella tutela ossessiva di vere o presunte «minoranze» la propria ragion d’essere, ma che non tiene conto di un dato di realtà molto semplice, che è quello verificatosi nella scuola dell’East Sussex: a volte le istanze delle osannate «minoranze» possono entrare in conflitto tra loro.
Quindi che si fa? Quali interessi prevalgono quando alcuni di quelli cari alla cultura dominante si scontrano? È una bella domanda. Nell’istituto inglese dove studia la giovane Abigail - lo si è visto - si sono barcamenati come hanno potuto. Ma è chiaro che una cultura che si basa sul politicamente corretto, come peraltro già evidenziato da diversi articoli apparsi su questo giornale anche recentemente, poggia su piedi d’argilla. Molto meglio, quindi, avviare un ripensamento che metta da parte il comodo ma alla fine vacillante valore della tolleranza, di illuministica memoria, per tornare a riflettere su quello della dignità della persona e del rispetto autentico che nasce non dalla sopportazione spacciata per benevolenza, bensì dal riconoscimento dell’altro.