Se i centri storici svaniscono non è colpa del turismo
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A Bologna come a Trastevere scompaiono i piccoli negozi e Zuppi si arruola nella lotta al sovraffollamento turistico. La stessa di chi propugna una società di smart working e città da 15 minuti in cui solo alle élite è concesso viaggiare.
Il cardinale Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha concesso una lunga intervista al Corriere della Sera, proprio nel giorno della solennità dell’Assunzione in Cielo di Maria. Avrà parlato di quel dogma? Avrà ricordato il Paradiso? Non proprio.
Ha parlato di immigrazione, dell’inverno demografico, delle guerre in Palestina e Ucraina. Tuttavia, il focus dell’intervista era sulla città di Bologna. L’intervista sembrava, in tutto e per tutto, una ripresa di un articolo, scritto da Ilaria Maria Sala e pubblicato il 9 agosto sul New York Times, nel quale la giornalista italiana spiegava come «Le compagnie aeree low cost, gli affitti a breve termine e i social media hanno cambiato tutto. Oggigiorno Bologna è sulla buona strada per diventare una città turistica a tutti gli effetti, da evitare assolutamente sulle strade principali. Alcuni degli effetti di ciò sono stati tipici, come i proprietari che hanno convertito gli appartamenti in affitti a breve termine, il che ha aumentato gli affitti e ha spinto gli studenti più lontano dall'università e verso le città più piccole della periferia. Ma un risultato è stato molto particolare per Bologna: il consumo di quantità di mortadella da intorpidire la mente e fermare il cuore». Il problema è l’overtourism, neologismo coniato per indicare il sovraffollamento turistico.
Torniamo alle parole del cardinale: «in questi anni in centro ho ritrovato qui quello che avevo già vissuto a Trastevere, dove negli anni le botteghe di frutta e verdura, i piccoli esercenti, i “negozi di colori”, quelli dove si trovava di tutto, non ci sono più. Ormai anche in centro a Bologna è lo stesso, quasi tutta l’attività commerciale è ristorazione. In molti condomini, di Trastevere come qui, offrono ormai solo accoglienza per i turisti».
La scomparsa delle piccole attività commerciali (e artigianali) è reale. Qualche mese fa, il Sole 24 Ore pubblicava un articolo intitolato Strage di negozi: 103.770 esercizi chiusi in dieci anni. Le cause possono essere diverse: l’aumento degli affitti e delle bollette, le misure di contenimento del Covid, l’e-commerce, l’invasione di supermercati e centri commerciali e, come accenna il cardinale, la trasformazione delle città, soprattutto dei centri storici delle città turistiche. Il che è insieme causa e conseguenza della chiusura dei negozi.
Le piccole attività non sono solo un luogo dove comprare ciò di cui si necessita ma anche luogo di costruzione di relazioni e di identità. Senza questi luoghi di incontro informali, i centri storici si riducono in costosissimi e scomodi dormitori che hanno un duplice possibile destino: se la località non attrae turisti, le case dei centri storici sono destinate a svalutarsi e ad accogliere l’immigrazione più povera; se, invece, ha un valore turistico, si trasformerà (almeno nelle vie principali) in una Disneyland per viaggiatori e a riempirsi di strutture di accoglienza (B&B e luoghi di ristoro).
Il cardinale sembra accettare (e il titolo dell’articolo lo conferma) la spiegazione del New York Times: la colpa è del turismo, anzi: dell’overtourism.
La parola overtourism è diventata «virale» quest’estate, in seguito alle proteste spagnole (Baleari e Barcellona in primis) contro i turisti e subito rimbalzate sui media di tutto il mondo. Queste manifestazioni non sono state spontanee: sono state organizzate dalla ONG SOS residents, non si sa bene finanziata da chi. Quello che è certo è che, in un articolo sul Guardian, il responsabile UNESCO per il turismo sostenibile ha detto che, pur «estreme e non necessarie», le proteste «non scompariranno finché non ci sarà una sorta di risposta». Si, esiste un UNESCO World Heritage and Sustainable Tourism Programme ed è parte del Sustainable Developmente Goals dell’ONU, ossia la ormai nota Agenda 2030.
A questo punto, occorre ricapitolare. Dicevamo: voli low cost, affitti a breve termine e social media. Partiamo da questi ultimi.
È vero che i social media (in particolare Instagram e YouTube) hanno creato un filone di turismo che ha come obiettivo il caricare sui propri profili una foto o un video in quel determinato posto solo per raccogliere like, pollicioni e cuoricini: un turismo del quale faremmo volentieri a meno… ma che esiste da decenni. Chi non ricorda l’invasione dolomitica di improvvisati sciatori ai tempi di Tomba? E quelli che vanno alle Maldive o sul Mar Rosso e vogliono mangiare pizza e spaghetti e far colazione con cornetto e cappuccino? E i pullman a due piani per i city tour, Napoli e Firenze in un paio d’ore? Il turismo è sempre stato un simbolo di benessere e, se la massa accede al benessere, il turismo non è più d’élite ma diventa di massa. Un tempo molte famiglie non andavano in vacanza. Mandavano i figli al mare o in montagna con il campeggio dell’oratorio, con la colonia dell’azienda dove lavorava il padre o con le suore. Con il passare dei decenni, le famiglie proletarie o piccolo borghesi hanno potuto permettersi le vacanze; e questa è una cosa buona. Ora sta diventando sempre più difficile, ecco il motivo delle vacanze «mordi e fuggi»; ma è comprensibile che non si voglia rinunciare a uno status symbol conquistato negli anni. Ma a qualcuno – che evidentemente pensa di essere superiore rispetto al volgo – da fastidio e vorrebbe evitarsi la spiaggia condivisa con volgari popolani.
E veniamo ai voli low cost, che hanno avuto il merito di far viaggiare anche dei poveracci che si riversano nelle città d’arte ma non le meritano, e allora i voli low cost non vanno bene: i poveracci devono stare a casa loro, forse che il covid non ha insegnato nulla? Stare chiusi in casa è bello! Non è comodo, soprattutto per le aziende, lo smart working? Non sono splendide le auto elettriche, moderne e green? Con le quali, però, non si può viaggiare, al massimo si va a fare la spesa. E le "città da 15 minuti"? Insomma: se non siete ricchi, chiudetevi in casa e dimenticatevi (figuriamoci) il turismo.
Infine gli affitti brevi sembrano il vero nodo della questione. Che problema costituisce, per le città, il fatto che si affittino ai turisti degli appartamenti in centro per qualche giorno? Eppure dev’essere una cosa gravissima, visto che è passato con l’ultima legge di bilancio il cosiddetto "decreto affitti brevi". Il tutto si è risolto con un aumento delle tasse, ma si è anche discusso della possibilità di limitare gli affitti brevi a due notti al massimo; Federalberghi ha addirittura proposto di oscurare il sito AirBnb, nato per proporre questo tipo di alloggio.
In breve: se hai una casa nel centro storico di una città turistica, hai praticamente ereditato un debito… a meno di non ricavarne un reddito affittandola; l’alternativa è la (s)vendita. Aggiungiamo la direttiva europea "case green" e cosa abbiamo? La tradizionale politica italiana della casa di proprietà spazzata via in poco tempo.
Sarà malizioso, ma viene in mente questo vecchio articolo: Benvenuti nel 2030. Non possiedo nulla, non ho privacy e la vita non è mai stata così bella.
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