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EDITORIALE

Se gli ecologisti se la prendono con le croci

Alcuni gruppi ambientalisti, tra cui Italia Nostra, chiedono la rimozione delle croci di montagna perché deturpano il paesaggio. E' il segno che si è perso il buonsenso oltre che il senso del ridicolo.

Editoriali 14_04_2013
La croce sul Cervino

E ti pareva che in nome del Dio Paesaggio non se la pigliavano anche con le croci d’alta quota. D’altra parte c’è da capirli questi c.d. ambientalisti: non avendo altro da fare dalla mattina alla sera, scrutano, osservano, monitorano, instancabili, con mille occhi sempre aperti come il mitologico Argo. Tra loro c’è chi fa il bird-watching (cioè, guarda gli uccelli) e chi fa il mount-watching (come nel nostro caso). Ora, è chiaro che uno che ha deciso di consacrare l’esistenza a guardare gli uccelli o i monti (o il mare o la spiaggia o le fogne o i cessi per vedere che non inquinino) finisce per assumere la mentalità del giacobino. La quale è una continua «denuncia». Così, il bird-watcher denuncia i lacci e i laccioli, le trappole, il vischio, i richiami a fischietto e gli specchietti per le allodole, che quei nemici dell’umanità che sono i cacciatori disseminano nell’«ambiente» solo perché cattivi d’animo.

A furia di denunciare, però, può andare a finire che, denunciato tutto il denunciabile, esaurisci i capi d’accusa. E allora, che fai? Ti trovi un lavoro vero? Non sia mai. Non ti resta, allora, che aguzzare la vista e metterti alla caccia di qualcos’altro da denunciare. E, poiché il tempo non ti manca, vedrai che prima o poi qualcosa la trovi. Infatti: riporta Dagospia l’11 aprile 2013 un articolo di Andrea Selva su «La Repubblica», nel quale si comunica che è stato scovato un altro obiettivo su cui puntare il dito, le croci di montagna.

Secondo l’associazione Mountain Wilderness ma anche il solito Wwf e pure Italia Nostra, le nostre montagne sono troppo affollate di croci, crocifissi, madonne e padripii. Ma soprattutto croci. Il presidente del Club Alpino Italiano, Umberto Martini, che sa bene quanto quelle croci siano meta di arrampicate ed escursioni nonché di veri e propri pellegrinaggi, dice: «Sarebbe ridicolo rimuovere la croce dal Cervino, l'importante è fermarsi perché meno la montagna viene "deturpata" o "arricchita" (dipende dai punti di vista) e meglio la montagna sta». Sano buonsenso (o cerchiobottismo, dipende dai punti di vista), che si preoccupa di dare un limite sia ai denunciatori degli «scempi ambientali» sia ai cattolici troppo devoti. Com’è noto, basta stare nel mezzo, così le si può distribuire senza prenderle.

A proposito di buonsenso, tuttavia, data la prevalentissima montuosità del territorio italiano ci chiediamo quand’è che la situazione-croci raggiungerà la saturazione (e ammesso che si continui a piantarne): tremila anni? solo mille? Facciamo così: erigiamo croci eoliche, con le braccia che girano al vento, così da fare contenti sia gli ambientalisti che i credenti.

La mania di piantare croci sulle cime, in verità, è antichissima e risale ai primi tempi del cristianesimo, quando erano gli stessi evangelizzati locali a chiedere ai vescovi di esorcizzare i «demoni delle alture», di cui avevano un sacrosanto terrore. Il Passo del San Bernardo (il benedettino Bernardo d’Aosta), per esempio, si chiama così proprio per questo motivo. Ci sentiamo di suggerire ai talebani dell’ambiente (accostamento non casuale, perché proprio i talebani distrussero in nome della loro ideologia le statue del Buddha scolpite nelle montagne afghane), specialmente a quelli con nomi americani, che negli Usa esiste il monte Rushmore, che di montagna non ha più neanche l’aspetto, avendo quello delle immani facce dei Presidenti statunitensi. Un’altra montagna che non è più montagna ma è la colossale figura di Cavallo Pazzo la si trova sempre negli Usa. Però, nessuno protesta; già: sarebbe grottesco un western in cui, contro gli indiani, non ci fossero le «giacche azzurre» ma quelle verdi di Greenpeace.