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MEDIO ORIENTE

Se anche l'Iraq "licenzia" l'Occidente

Ambiguità, strizzate d’occhio ai jihadisti, complicità inconfessabili con gli ambienti del Golfo che sostengono Stato Islamico, milizie di al-Qaeda e salafiti hanno portato la credibilità di Stati Uniti ed Europa al livello più basso, prossimo allo zero. E anche il governo di Baghdad dice "no grazie" alle forze speciale Usa.

Editoriali 05_12_2015
Giocando a calcio in Iraq

Ambiguità, strizzate d’occhio ai jihadisti, complicità inconfessabili con gli ambienti del Golfo che sostengono Stato Islamico, milizie di al-Qaeda e salafiti hanno portato la credibilità di Stati Uniti ed Europa al livello più basso, prossimo allo zero.

Che in Medio Oriente ormai nessuno si fidi più del cosiddetto Occidente è dimostrato non solo dalla diffidenza di Israele nei confronti di Washington per l’accordo sul nucleare iraniano e dell’Europa per i continui cedimenti all’islamismo e la crescente ostilità a Gerusalemme ma anche dalla freddezza dei Paesi direttamente minacciati dallo Stato Islamico, a partire dall’Iraq che pure aveva chiesto nell’estate 2014 l’intervento della Coalizione per far fronte all’avanzata delle milizie del Califfo.

Il premier iracheno, Haidaral-Abadi, ha ribadito mercoledì che il suo Paese non ha bisogno del dispiegamento di forze terrestri straniere e  che questa azione sarà considerata "un'aggressione" alla sua sovranità nazionale qualora si dovesse realizzare. In un comunicato, al-Abadi ha espresso il suo "assoluto rifiuto a questo tipo di atti da parte di Paesi che infrangono la sovranità nazionale", anche se l'obiettivo è la lotta contro lo Stato Islamico. Affermazioni che sembrano costituire una risposta indiretta all’annuncio del Pentagono dell’invio di un nuovo reparto di 50 militari delle forze speciali da abbinare all’analogo reparti già operativo con le milizie curde siriane per compiere "operazioni unilaterali" contro l'Isis.

Unità quindi svincolate dalle direttive del governo di Baghdad e certo anche da quello di Damasco che non ha mai chiesto alla Coalizione di intervenire sul suo territorio (Assad lo ha chiesto solo a Mosca) che muoverebbero solo su indicazioni di Washington ufficialmente per individuare e illuminare bersagli da far colpire dai cacciabombardieri, effettuare raid per liberare ostaggi o per uccidere leader dello Stato Islamico.

Le forze speciali, ha spiegato il segretario alla Difesa Ashton Carter "compiranno blitz, libereranno ostaggi raccoglieranno informazioni di intelligence e sono pronte a catturare i capi dello Stato islamico". In Iraq agiranno in coordinamento con l'esercito locale e i curdi peshmerga. L'impiego di forze speciali che in parte contraddice la volontà della Casa Bianca di non inviare “boots on the ground” (ma i militari americani in Iraq sono oltre 3.500 e in diverse occasioni hanno combattuto) ma punta anche a rintuzzare le critiche del Partito Repubblicano in cui il senatore John McCain, presidente della commissione Difesa, ha proposto di mobilitare contro lo Stato Islamico 10 mila militari americani.

“L'Iraq non ha bisogno di truppe straniere" ha detto il portavoce del primo ministro iracheno, Saad al Hadithi, precisando che  Baghdad ha invece più volte chiesto agli Usa di intensificare il sostegno aereo per agevolare le offensive dell'esercito iracheno contro l'Isis. Nei mesi scorsi il governo iracheno aveva aspramente criticato la lentezza con cui gli Stati Uniti forniscono agli iracheni le armi pesanti richieste, inclusi i 36 cacciabombardieri F-16 ordinati e finora consegnati solo in 4 esemplari.

Al-Abadi si è impegnato a non consentire la presenza di qualsiasi tipo di forza straniera in territorio iracheno e ha aggiunto che le autorità di Baghdad non hanno chiesto l'invio di truppe né ad altri Paesi della regione né alla coalizione internazionale. Una risposta all’appello del Segretario di Stato americano, John Kerry, he ha parlato della necessità di trovare truppe di terra per combattere l'Isis, perché la guerra contro il sedicente Califfato non si vincerà dai cieli. "Sappiamo che senza la capacità di trovare truppe di terra pronte ad affrontare il Daesh, non sarà possibile batterlo completamente" ha dichiarato Kerry intervenendo al vertice dei ministri degli Esteri della Osce a Belgrado precisando che le forze di terra a cui pensa dovrebbero essere “siriane o arabe”.

Termini che preoccupano sia Damasco che Baghdad soprattutto dopo le dichiarazioni rese il 1° dicembre dal viceministro degli Esteri degl Emirati Arabi Uniti,  Anwar Qarqash, che ha annunciato che il suo Paese è pronto a partecipare a una missione di terra in Siria e ad un intervento diretto nell'ambito di una coalizione internazionale preferibilmente guidata da Paesi arabi. "Il modello potrebbe essere l'alleanza araba guidata dall'Arabia Saudita che sta intervenendo in Yemen" contro i miliziani sciiti Houthi, ha aggiunto il ministro emiratino. Un’opzione che i governi sciiti di Siria e Iraq considerano un vera e propria minaccia d’invasione. Il regime di Bashar Assad teme che una forza araba entri in Siria da sud, dal confine con la Giordania, contemporaneamente a forze turche provenienti da nord.

Un’offensiva appoggiata tacitamente dagli anglo-americani (anche Londra dice di voler inviare consiglieri militari in Siria) e non ostacolata dagli altri europei il cui ruolo è come sempre marginale, che avrebbe solo sulla carta lo scopo di sconfiggere lo Stato Islamico ma che punterebbe in realtà a rovesciare il regime di Assad in appoggio ai gruppi di ribelli sunniti, a rintuzzare le aspirazioni indipendentistiche curde e a costringere al ritiro le forze russe in Siria.

L’invasione araba della Siria avrebbe pesanti riflessi anche sull’Iraq dove il governo sciita sostenuto dall’Iran rischierebbe di perdere definitivamente il controllo dei territori sunniti oggi occupati dallo Stato Islamico. La resa dei conti tra sciiti e sunniti in un conflitto totale potrebbe costituire la degenerazione più devastante ma anche la più probabile, del conflitto civile siriano proprio grazie all’ambiguità di un Occidente guardato oggi con diffidenza da entrambi gli schieramenti.

Del resto spazzare via gli sciiti era l’obiettivo principale di Musayb al-Zarqawi, leader di al Qaeda in Mesopotamia e “guru” ideologico dello Stato Islamico. In questo contesto parlare di diritto internazionale può apparire quasi ridicolo ma, in assenza di una risoluzione dell’Onu che sottragga a Damasco la sovranità del suo spazio aereo, vale la pena ricordare che tutte le operazioni effettuate dai jet della Coalizione (e talvolta israeliani) in Siria sono prive di legittimità. Lo ha sottolineato ieri il viceministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, ricordando che Damasco ha chiesto aiuto solo a Russia e Iran. “Dettagli” a cui nessuno, neppure al Palazzo di Vetro, sembra voler far caso.