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IL CASO "CARRIERA ALIAS"

Scuola, ostaggio del mainstream di genere

Viene definita scuola “inclusiva e senza etichette”. Nelle scuole italiane prosegue inarrestabile l'infiltrazione delle nuove parole d’ordine del mainstream. Il caso più eclatante è quello della cosiddetta “carriera alias”. Ma qualche segnale che il vento sta cambiando inizia ad emergere...

Educazione 06_02_2023

Mentre nelle scuole italiane prosegue inarrestabile la infiltrazione delle nuove parole d’ordine del mainstream, tra cui quella della “inclusione” (con una particolare attenzione alla tutela degli alunni che manifestano un desiderio di cambiamento del proprio sesso biologico), la stampa di settore si spertica in applausi e osanna nei confronti dei dirigenti scolastici che predispongono anche servizi igienici “neutri”, ritenendola vera conquista di civiltà. Scuola “inclusiva e senza etichette”, viene definita, facendo immaginare alla pubblica opinione –diversamente- casi di emarginazione, persecuzione o addirittura violenza che nella realtà non esistono se non del tutto eccezionalmente e, spesso, per motivi del tutto diversi.

Il caso più eclatante (per ora) di questa infiltrazione, che ha generato anche reazioni ufficiali da parte di associazioni definite sprezzantemente dal mainstream “rigide e tradizionaliste”, quando non addirittura omofobe, è quello della cosiddetta “carriera alias”. “La carriera alias –spiega “elegantemente” una rivista di settore- offre a chiunque ne faccia richiesta l’opportunità di scegliere il proprio nome di “elezione di genere” e non quello con cui si è iscritti all’anagrafe all’interno dei documenti scolastici ufficiali: ad esempio nei quadri, nel libretto per le assenze e nel registro elettronico. In questo modo si evitano discriminazioni ai danni degli studenti interessati già alle prese con un percorso delicato ed episodi di misgendering che possono avere gravi conseguenze a livello psicologico. Questo è solo un piccolo passo verso l’inclusione degli alunni con disforia di genere”.

Si tratta, come è evidente a chiunque sia minimamente in possesso di retta ragione, di una vera e propria aberrazione, insostenibile sotto ogni profilo (non ultimo quello giuridico), indotta a forza da una cultura che ha pervertito non solo la morale naturale ma anche l’antropologia, riducendo la persona esclusivamente alla propria corporeità, per di più modificabile a piacimento. 

La cosa più sconcertante è che proprio la stampa di settore e, in molti casi, gli stessi psicologi che operano all’interno degli istituti scolastici, sembrano tirare la volata a queste tendenze artificiosamente costruite, che non fanno altro che aumentare lo smarrimento e il disorientamento –fino a mettere in dubbio la propria identità di maschio o femmina- in un mondo che, mai come ora, ha perso la bussola. Prosegue infatti la rivista specializzata: “Come aiutare gli studenti nel difficile percorso alla scoperta di sé stessi?  - Come garantire che gli alunni transgender non vengano discriminati e si sentano accolti dal gruppo classe? Come supportare al meglio chi si trova in un percorso di transizione?”

Qualche segnale che il vento –forse- sta cambiando inizia però ad emergere, probabilmente favorito dall’insediamento di un Governo che, almeno in teoria, su questi e altri temi analoghi dovrebbe avere posizioni diverse rispetto al precedente. Ne è testimonianza la lettera che il presidente della Società Psicoanalitica Italiana ha inviato al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La riportiamo per intero, perché è significativo che, dopo un mortificante periodo di schiacciamento sulle posizioni controverse e oppressive del precedente esecutivo, certe associazioni di settore prendano l'iniziativa di uscire allo scoperto e riaprire, anche al loro interno, un dibattito su un tema così scottante: 

Ill.ma Presidente del Consiglio Giorgia Meloni,
L’ esecutivo della Società Psicoanalitica Italiana esprime grande preoccupazione per l’uso di farmaci finalizzato a produrre un arresto dello sviluppo puberale in ragazzi di entrambi i sessi a cui è stata diagnosticata una “disforia di genere”, cioè il non riconoscersi nel proprio sesso biologico.
Vanno seriamente considerate le controindicazioni a questo trattamento:
•    La diagnosi di “disforia di genere” in età prepuberale è basata sulle affermazioni dei soggetti interessati e non può essere oggetto di un’attenta valutazione finché lo sviluppo dell’identità sessuale è ancora in corso.
•    Solo una parte minoritaria dei ragazzi che dichiarano di non identificarsi con il loro sesso conferma questa posizione nell’adolescenza, dopo la pubertà.
•    Sospendere o prevenire lo sviluppo psicosessuale di un soggetto, in attesa della maturazione di una sua definizione identitaria stabile, è in contraddizione con il fatto che questo sviluppo è un fattore centrale del processo della definizione.
•    Anche nei casi in cui la dichiarata “disforia di genere” in età prepuberale si confermi in adolescenza, l’arresto dello sviluppo non può sfociare in un corpo diverso, sotto il profilo sessuale, da quello originario. Lo sviluppo sessuale del proprio corpo anche quando contraddice un opposto orientamento interno consente un appagamento erotico che un corpo “bloccato” o manipolato non offre.
La sperimentazione in atto elude un’attenta valutazione scientifica accompagnata da un’approfondita riflessione sullo sviluppo psichico e suscita forti perplessità. È importante avviare sulla questione dei ragazzi con problematiche di genere una rigorosa discussione scientifica a cui la Società Psicoanalitica Italiana darà il suo contributo volentieri.
A nome dell’esecutivo della Società Psicoanalitica Italiana
Il presidente
Sarantis Thanopulos

A seguito di questa lettera, si è aperto un vivace confronto in diverse società scientifiche, tra cui la Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva SITCC. Non è questa la sede per entrare nel merito delle posizioni pro e contro la questione della disforia di genere, pur essendo un tema molto interessante. Magari in un prossimo contributo si potrà provare a tirarne le somme. Per adesso vogliamo solo sottolineare e valorizzare questa presa di posizione di alcune società scientifiche, che fa bene sperare e rappresenta una ventata di aria fresca in una stanza in cui avevano murato ogni finestra. Non tanto e non solo per ciò che, in conclusione, potrà eventualmente essere deciso come posizione comune, quanto perché il confronto sui dati, il dibattito, l’indagine sul campo e la validazione dei risultati, fanno parte integrante della ricerca scientifica, ed è proprio quello che è totalmente mancato in questi ultimi anni di mortificante e antiscientifico appiattimento sui diktat delle multinazionali farmaceutiche, in cui la politica e l’ideologia hanno pesantemente condizionato ciò che definiamo “scienza”, tentando di costruire una nuova e disumana realtà sociale e sanitaria.