Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
I DATI OCSE

Scuola, l'Italia spende male. Serve il costo standard

In Italia, il sistema scolastico è iniquo: egualitario sulla carta, ma nei fatti non rimedia le differenze di partenza tra gli studenti legate al contesto familiare e sociale, anzi le rinforza. Il giudizio arriva dall'Ocse. La soluzione? Qualità ed efficienza, che si traduce nel costo standard di sostenibilità per avere finalmente una scelta fra buona scuola pubblica statale e buona scuola pubblica paritaria.

 

 

Educazione 06_10_2019

Il sistema scolastico è il primo fattore propulsivo di un Paese, sia a livello economico che sociale.
In Italia, il sistema scolastico è iniquo: egualitario sulla carta, ma nei fatti non rimedia le differenze di partenza tra gli studenti legate al contesto familiare e sociale, anzi le rinforza. Il giudizio arriva dall'Ocse, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nel suo Rapporto 'Politiche efficaci per gli insegnanti: una prospettiva OCSE-PISA', reso noto a fine settembre.

Il Rapporto mostra chiaramente che non tutti gli studenti hanno pari accesso a un insegnamento di alta qualità e che questa disuguaglianza può spiegare gran parte dei divari di apprendimento osservati tra gli studenti più favoriti e quelli svantaggiati, sia all'interno dei Paesi che tra di essi. In circa la metà dei 69 paesi ed economie esaminati, inoltre, gli insegnanti delle scuole con un'alta concentrazione di studenti svantaggiati tendono ad avere qualifiche o credenziali inferiori rispetto agli insegnanti delle scuole più avvantaggiate.

La possibilità di accedere all’educazione, infatti, rappresenta l’ago della bilancia dell’equità sociale. I dati raccolti dall’Ocse dimostrano come l’alta percentuale di abbandono scolastico in Italia sia chiaramente determinata dalle risorse economiche di cui dispongono le famiglie.

“Coloro che hanno la maggiore probabilità di andare male a scuola o di abbandonarla senza diplomarsi, molto spesso vengono da famiglie povere o di immigrati” (Ocse), al contrario le famiglie più agiate seguono meglio i ragazzi nel loro percorso scolastico, potendo accedere, tra le altre cose, anche all’istruzione privata

Un Paese come il nostro, che registra un tasso di dispersione scolastica superiore di ben dieci punti alla media degli Stati Ocse (20%), sembra dunque non garantire, ad oggi, le stesse possibilità a tutti. Il nostro sistema scolastico si mostra poco accogliente verso chi, per integrarsi, dispone di minori risorse economiche (le famiglie più disagiate) e culturali (le famiglie di immigrati).

Nella scuola si coltiva il futuro di un Paese, ma nella scuola possono determinarsi e accentuarsi anche le diseguaglianze sociali: quel 30% di ragazzi italiani tra i 25 e i 34 anni, identificati come “NEET”, ha a disposizione già oggi minori risorse da spendere sul mercato del lavoro, con conseguenti minori possibilità di scelta e di guadagno economico in futuro rispetto a quelle dei loro coetanei.
Il 30% è una percentuale altissima, inaccettabile per un Paese civile, che rappresenta quasi un terzo della popolazione giovanile italiana. Qual è, allora, la risposta da dare?

E’ ancora l’Ocse ad indicare la via, e lo fa attraverso due parole: equità e qualità.

Puntare sulla scuola per promuovere una crescita equa del Paese significa garantire uguaglianza proprio nell’accesso all’istruzione: assegnare finanziamenti ad hoc alle scuole che agevolano l’iscrizione dei ragazzi delle famiglie più povere ed evitare le “segregazioni” (Ocse), laddove spesso i genitori più ricchi tendono a scegliere le scuole migliori per i loro figli, mentre i più poveri devono accontentarsi.

Dall’equità deriva poi la qualità dell’istruzione, intesa come adeguamento delle strutture, formazione e maggiore remunerazione per i docenti, miglioramento e aggiornamento continuo dei programmi didattici, con particolare attenzione a una formazione orientata al futuro ingresso del ragazzo nel mondo del lavoro. 

Occorre quindi essere molto lucidi nell’analisi della situazione attuale. In Italia il sistema scolastico sta collassando: mancano i docenti di sostegno, sono numerose le cattedre vuote a fronte di un alto tasso di precariato, i dati Ocse-Pisa sono impietosi ed è gravemente compromesso il pluralismo educativo. Infatti le scuole paritarie serie, con la retta sotto i 4mila euro, sono destinate a chiudere. Ci si sta avviando ad un sistema sempre più classista, regionalista e discriminatorio. I dati sono incontrovertibili. Occorre quindi porsi la domanda cruciale: “Al cittadino interessa realmente che il sistema scolastico italiano sia sempre meno classista o, pur di non incorrere nel rischio del cambiamento, accetta che il ricco scelga e il povero si accontenti?”.

Che si dica fino in fondo la verità alle famiglie: la soluzione si basa su un accordo politico trasversale e unitario sui contenuti. Ormai è scientificamente dimostrato che il costo standard di sostenibilità è la soluzione; altrimenti si dica chiaramente che non si è interessati a risolvere il problema. Sarebbe come se, essendo consapevoli della gravità di un tumore, si mettesse in discussione il protocollo per affrontarlo, accanendosi sulle ipotetiche alternative: il risultato finale sarebbe intuibile a tutti.

L’ITALIA SPENDE MALE
L’Italia spende circa il 3,6% del suo PIL per l’istruzione dalla scuola primaria all’università, che è una quota inferiore alla media OCSE (5%) e uno dei livelli più bassi di spesa tra i Paesi dell’OCSE. La spesa per studente spazia dai circa 8.000 dollari USA nell’istruzione primaria (94% della media OCSE) ai 9.200 dollari USA nell’istruzione secondaria (92% della media OCSE) e dagli 11.600 dollari USA nei corsi di studio terziari (74% della media OCSE) ai circa 7.600 dollari USA se si esclude la spesa per ricerca e sviluppo. Sebbene la spesa per studente aumenti ai livelli superiori di istruzione, il divario rispetto alla media OCSE diventa più ampio in quanto la spesa per l’istruzione aumenta di più in altri Paesi dell’OCSE.

LA SOLUZIONE
Portare a compimento il SNI domanda di considerare le spese per l’istruzione non come costi ma come investimenti in capitale umano. Questo significa avere a cuore il futuro dell’Italia. Investire significa a) rendersi conto dei bisogni reali, non di quelli artefatti, o peggio pilotati; b) avere consapevolezza delle risorse attuali, tenendo conto della necessità di onorare, da parte dello Stato, eventuali commesse a credito dei privati; c) considerare i benefici maggiori in rapporto al margine di rischio, d) azzerare gli sprechi, o costi cattivi, in vista del­l’investimento. L’Italia, a questo proposito, è il paese che spende di più e peggio in Europa, fondamentalmente a causa di carenza di educazione, formazione, cultura autentiche. Qui si inserisce la chiave di volta fra i principi sopra enunciati e gli aspetti concreti che ne seguiranno.

L’unico passaggio, di fatto, che la storia suggerisce è 1) l’individuazione del costo standard di sostenibilità per allievo nelle forme che si riterranno più adatte al sistema italiano, 2) la conseguente possibilità di scegliere, per la famiglia, fra buona scuola pubblica statale e buona scuola pubblica paritaria.

Risultati: a) una buona e necessaria concorrenza fra le scuole sotto lo sguardo garante dello Stato; b) l’innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano con la naturale fine dei diplomifici e delle scuole che non fanno onore ad un SNI d’eccellenza quale è quello che l’Italia deve perseguire per i propri cittadini, c) la valorizzazione dei docenti e il riconoscimento del merito, come risorsa insostituibile per la scuola e la società, 4) l’abbassamento dei costi e la destinazione dell’economia ad altri scopi.

Si innescherebbe così un circolo virtuoso che romperebbe il meccanismo dei tagli, conseguenti a sempre minori risorse (perché sprecate) che producono a loro volta altro debito pubblico. Il Welfare non può sostenere altri costi; non a caso il Principio di Sussidiarietà, oltre ad avere una valenza etica, è anzitutto un principio economico prioritario. Europa docet.

Se si ripartirà da questo punto senza cedere alla tentazione di una sistema scolastico statalista, la partita è ancora aperta e i contributi dei cittadini – genitori, docenti, dirigenti – saranno fondamentali, perché ... “ne va la vita!” (Alessandro Manzoni).

E che sia il costo standard l’anello mancante nel SNI si evince proprio a) dalla specificità Italiana: un sistema scolastico classista, discriminatorio, regionalista, il più costoso in Europa anche se è quello che vede l’Italia occupare gli ultimi posti Ocse e b) da quel fil rouge che sembra attraversare in modo trasversale tutte le recenti riforme sulla Scuola (“soggetti corresponsabili – famiglie, dirigenti, docenti – di autonomie scolastiche”) e che si conferma l’indiscussa leva per un reale processo di rinnovamento del Sistema Scolastico Italiano.