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CONTRO I LUOGHI COMUNI

Scuola, anche valutando si educa

Educare e assieme valutare significa introdurre l’alunno alla totalità
del reale, dandogli gli strumenti
che lo aiutano nella fatica.

Attualità 13_09_2011
Pagella


«L’educatore è responsabile della nascita di un io, di una persona». Le parole del cardinal Carlo Caffarra - pronunciate il 2 settembre a Bologna - suscitano un’interessantissima questione sul valore dell’educazione. A questa affermazione del cardinale è strettamente associata anche la questione della valutazione, su cui può servire riflettere agli insegnanti, agli educatori ed anche a genitori (che sono i primi educatori). La valutazione è un atto importante, decisivo e addirittura inevitabile tra i banchi di scuola e diventa spesso oggetto di contestazione o dibattito.

Come dice Caffarra, l’educatore è in rapporto con un altro di cui è responsabile e tale rapporto si basa sulla testimonianza: la responsabilità dell’educatore è di “testimoniare la verità circa il bene della persona”, cioè egli deve essere un esempio autorevole per ciascun allievo con cui entra in rapporto.

È importante richiamare l’educatore alla passione per sé e per la propria vita, perché ciò è imprescindibile per affezionarsi a quella dell’altro. Conoscere la verità su di sé e riconoscere la positività del proprio esistere aiutano ad avere passione per l’altro e a coltivarla anche mediante la materia che, come docenti, si insegna. Iniziando in questi giorni la scuola, mi sono chiesta come sia possibile declinare il legame tra verità e bene in un atto tanto importante per un docente come la valutazione. Il problema è questo: la valutazione è un gesto continuo da parte del docente verso l’alunno e lo pone in rapporto con lui, ma non è percepita dall’allievo come un atto positivo. Perché? Se noi guardiamo il significato intrinseco dei termini che usiamo come docenti nel fare scuola (valutazione, giudizio, verifica, correzione) vediamo che essi sono carichi di positività: valutare significa riconoscere il valore (dal latino valus), affermare il valore dell’altro e il valore della realtà intera. Giudicare (ius: giustizia e dicere: dire) è attuare un gesto totalmente proprio dell’uomo (le bestie non giudicano), è l’affermazione di un valore. Verificare (verum facere) vuol dire rendere vero; vuol dire aiutare l’altro a riconoscere la verità, ad aderirvi e farla sua. Infine, correggere è l’atto mediante cui il docente cum-rege, sostiene, aiuta a camminare, sorreggere.

Se dunque il significato dei termini propri di questo atto educativo è positivo, perché gli studenti non percepiscono tale positività? Sia perché diversi insegnanti non comunicano agli allievi che la valutazione vuole il loro bene, il loro fruttificare e crescere, sia perché molti non li valutano con questa logica e con questo scopo. In effetti, in alcuni dibattiti sull’educazione è emerso che il fraintendimento di tali termini nasce spesso da un fraintendimento del significato dell’essere insegnante: occorre dunque ripartire ricalibrando lo sguardo che il docente ha su di sé, per poi focalizzarsi sulla materia e infine sull’alunno. È a partire da un lavoro su di sé che coltivi il bene e la verità che è possibile un attenzione all’altro. Al tu dell’altro e non al gruppo classe nella sua interezza come se fosse un ente monolitico.

Quanto detto non toglie che ci siano momenti privilegiati, nel fare scuola, di valutazione, di misurazione di un lavoro e di un esito, di un apprendimento. Questi momenti, tuttavia, diventerebbero insignificanti se alla base non ci fosse un rapporto personale e non burocratico tra docente e alunno. Questo vuol dire che la promozione e il risultato positivo, come la bocciatura o l’esito negativo di una prova, sono segni di un lavoro, di un cammino che il ragazzo sta intraprendendo accompagnato da qualcun altro. Accompagnato verso dove? L’uomo è un essere attivo, vivace, unico e irripetibile, in relazione con gli altri e innanzitutto con la Persona Prima, suo fine ultimo: riconoscere il fine dà il criterio decisivo per educare ed accompagnare la persona. Come dice Dante, insegnare significa spiegare «come l’uom s’etterna».

E il docente valuta un'altra persona alla luce (e proponendogli) un universo di tradizione, un orizzonte antropologico che lui stesso prima ha accolto. Come dice ancora Caffarra, «la scelta della libertà non nasce dal niente: dal niente non nasce niente. Nasce dal confronto fra la proposta di vita [che si fonda sulla visione del mondo] fatta dall’educatore, e la soggettività della persona che si va sviluppando, che si ha da educare».

Quindi il docente giudica, valuta e misura attraverso prove e anch’esse sono il veicolo attraverso cui deve passare il contenuto valoriale. È fondamentale che l’allievo capisca che ciò che viene valutato, anche negativamente, è la prova, non colui che ha fatto la prova. Insomma, anche la valutazione è un elemento fondamentale dell’atto educativo: il docente, che ha la missione di essere testimone di una verità, ha non solo la lezione, ma anche la valutazione come strumento e canale di trasmissione del sapere e dei valori. E alcuni i valori non passano astrattamente ma concretamente: con la puntualità del docente, col saluto con cui si entra in classe, con la preparazione delle lezioni, con la costanza, con la profondità di lavoro, ecc. È in un rapporto con il ragazzo instaurato sulla fiducia che verità e bene si tengono insieme. Educare e valutare diventano introdurre l’alunno alla totalità della realtà, dargli gli strumenti e il sostegno, sostenerlo nella fatica, reggere la sua vita.