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LONDRA

Scruton nel mirino della censura dell'impero di Soros

L'intellettuale conservatore dimesso da un incarico governativo perché colpevole di aver criticato l'impero Soros. 

Libertà religiosa 13_04_2019

Sir Roger Scruton ‒ la regina Elisabetta gli ha concesso il cavalierato nel 2016 per «i servigi resi alla filosofia, all’insegnamento e all’educazione pubblica» ‒ è forse il maggior intellettuale conservatore vivente. Adesso però viene apostrofato come “antisemita” e “islamofobo” (ancorché fra le due accuse si potrebbe persino ravvisare una certa incompatibilità), tanto da perdere il posto come consulente del ministero britannico dell’Edilizia residenziale che occupava dalla fine dell’anno scorso. Tutto è nato fra i banchi del Partito Laburista ed è stato pompato soprattutto dal quotidiano progressista The Guardian. Questi i fatti.

Scruton, classe 1944, è diventato consapevolmente conservatore assistendo in diretta al fatidico “Maggio francese” del 1968 che cercava di sabotare il mondo, e che in gran parte è riuscito a farlo. Da allora è venuto articolando una prospettiva che certo non si offende se la si definisce “conservatorismo tradizionalista”. Talento indiscusso e genio poliedrico di allure rinascimentale, parla o legge diverse lingue e si è occupato, con perizia e cura, di decine di argomenti, dal suo pane quotidiano che è la filosofia al buon vino, dall’arte figurativa alla musica (è anche compositore), dalla politica (lo definirono, più o meno a ragione, “il filosofo della rivoluzione thatcheriana”) al giardinaggio, dalla riflessione morale su eros e sessualità alla religione, dalla letteratura (è anche romanziere e novelliere) alla caccia. Autore di più di 50 libri (più la narrativa e due opere musicali), collabora con diverse testate giornalistiche, nel 1982 ha fondato, e fino al 2001 diretto, il raffinato trimestrale The Salisbury Review, ha insegnato in vari atenei britannici e statunitensi, si è legato a diversi think tank conservatori, negli anni 1980 è stato l’anima di un fiorente circuito di “università clandestine” in vari Paesi oltre la Cortina di ferro e ultimamente è tra gli ispiratori di un tavolo di confronto permanente fra intellettuali conservatori europei attivo con il nome di Center for European Renewal nel cui comitato direttivo siede, tra i fondatori, anche chi qui scrive.

In novembre, il ministro britannico per l’Edilizia residenziale, le comunità e le amministrazioni locali, il deputato del Partito Conservatore Christopher Malthouse, in carica dal luglio 2018, ha dato vita a una commissione chiamata “Building More, Building Beautiful” il cui senso e il cui scopo sono definiti con laconica perfezione dal nome esplicito della stessa. Scruton vi è stato nominato presidente e da quel momento si è aperto il tiro al bersaglio. Le sue colpe? Anzitutto l’essere alfiere di un ritorno a stili tradizionali, la critica a “mostri sacri” del modernismo come Daniel Libeskind, Richard Rogers e Norman Foster, e persino l’avere parlato, male, di modelli architettonici nichilisti. Poi di avere criticato George Soros dicendo che esiste “un impero Soros” (e non era un complimento).

Il deputato Laburista Wesley Streeting ‒ nel marzo 2009 il giornale online LGBT Pink News lo metteva al numero 33 dei 50 politici LGBT più potenti di tutto il Regno Unito, chissà se lo è ancora ‒ dice di averlo sentito dire una cosa così in una conferenza del 2014 e quindi di alimentare il complottismo antiebraico visto che lo statunitense di nascita ungherese Soros è ebreo. Sul fuoco ha poi versato altra benzina, tanta, Luciana Berger: già deputata Laburista, è stata una delle principali critiche della nota deriva antisemita assunta dal suo stesso partito che, nel febbraio di quest’anno, con altri, ha infine lasciato. Recidivo, pare addirittura che Scruton abbia rinominato Soros in un articolo pubblicato nel febbraio 2018 su The Daily Telegraph dove ha scritto che Soros è un nemico acerrimo delle sovranità nazionali.

L’epilogo giunge ora. Dopo mesi di stillicidio, sempre debitamente illustrati da The Guardian, il ministro Malthouse ha dimesso Scruton, reo non solo di non avere mai ritirato le sue ideacce (l’architettura tradizionale è migliore di quella modernista e Soros è un nemico degli Stati sovrani), ma di averle addirittura reiterate il 10 aprile in una intervista a un altro quotidiano di sinistra, il New Statesman. C’è anche l’accusa di islamofobia. Scruton infatti ha pure detto, in quell’intervista, che l’«islamofobia» è una espressione «inventata dai Fratelli Musulmani per bloccare ogni possibilità di discutere un tema di primaria importanza», ovvero il confronto fra un certo islam e l’Occidente.

Ebbene, per tutto questo un ministro Conservatore del Regno Unito ha dato il ben servito al maggior filosofo conservatore su piazza, nominato in una commissione incaricata di costruire edifici pubblici un po’ più decenti di quelli che si vedono invece sempre più di frequente per le strade di globalopoli. Se vi scappa da ridere, sfogatevi.

Di tutte è però l’accusa di antisemitismo quella più nauseabonda e incredibile. Infatti, chiunque abbia anche una sola volta parlato con Roger, letto anche solo un rigo di un suo libro o di un suo articolo, goduto della sua compagnia e del suo conversare arguto sa che non solo è una corbelleria, ma è pure altamente offensiva. Scruton è certamente un difensore dell’Occidente dall’assalto del relativismo nichilista, è sicuramente un inglese innamorato della propria patria ‒ basta il titolo di un suo libro del 2000, England: An Elegy ‒, ma fra gli amici e le frequentazioni intellettuali di questo uomo originale, forse persino fenomenale, schivo e al contempo cordiale, ci sono molti ebrei. Nessuno lo ha mai sentito proferire mezzo verbo antisemita. Nulla in lui c’è di ostile agli ebrei. Il solo pensarlo è vergognoso per chi lo pensa. Mentre ci s’inchina ancora una volta doverosamente alle sofferenze storiche del popolo ebraico, chi usa questo argomento come una clava ideologica avrebbe da vergognarsi. Soprattutto per essersi incanalato in un vicolo cieco controproducente. Gli accusatori di Scruton dicono infatti che Scruton sarebbe antisemita perché ha nominato Soros che è ebreo, ma così sostengono che chi dice Soros dice ebraismo. Lo dicono però loro, non Scruton.

Del resto, anche i lettori italiani debbono godersi la chicca. L’intervista al New Statesman raccolta nientemeno che dal vicedirettore George Eaton che ha fatto traboccare il vaso è stata praticamente falsificata, come ha dimostrato il bravo Douglas Murray su The Spectator. Frasi smozzicante, rabberciate, prese fuori contesto. La critica di Scruton ai Fratelli Musulmani diventa indebitamente la critica a tutti i musulmani e i cinesi vengono accusati di essere automi mentre invece ‒ lo dimostra un tweet di Eaton poi scomparso ‒ il filosofo inglese ha detto che è il Partito Comunista Cinese che sta cercando di trasformare i cinesi in automi (Eaton dice che su carta ha tagliato un po’ per motivi di spazio…). Contento di avere contribuito a silurare «il razzista e omofobo Roger Scruton», Eaton si è persino fatto immortalare con una bottiglia di champagne: la foto è stata poi tolta da Instagram, ma è riprodotta nell’articolo di Murray. Per di più, sempre The Spectator, edizione statunitense, sottolinea che nel 2016 Scruton ha difeso la Közép-európai Egyetem, l’Università dell’Europa Centrale di Budapest finanziata da Soros e minacciata di chiusura dal governo ungherese, nello stesso anno ha criticato un certo antisemitismo ungherese in una conferenza all’Accademia ungherese della capitale magiara, l’anno dopo, in una intervista a Hungary Today, ha salutato Soros per essere «una compensazione alla mancanza di opposizione in parlamento» e nella medesima intervista ha criticato il premier ungherese Viktor Orbán, di cui comunque è amico da 30 anni, definendolo «un democratico illiberale». Scruton stesso ha rimesso tutto per iscritto ora su The Spectator, lo aveva già fatto su The Telegraph e anche immediatamente dopo essere stato nominato a capo della famosa Commissione. Il fatto vero, però, è che chi di questi tempi tocca l’impero Soros muore.