Scoprire solo oggi che i sauditi discriminano le donne
La partita di Super coppa Milan-Juve, in programma Gedda, in Arabia Saudita, il 16 gennaio, fa scandalo per i settori dello stadio riservati ai soli uomini Ma la vera notizia è che sembra che si scopra solo oggi che nel mondo islamico le donne sono discriminate (e adesso, in Arabia Saudita, lo sono un po' meno che in passato).
Ormai la vicenda della partita di Super coppa Milan-Juve, in programma Gedda, in Arabia Saudita, il 16 gennaio, è stata commentata da tutti, spesso con faciloneria ed emotività, in qualche caso in modo contraddittorio.
"Siamo stati di fronte a reazioni un po' emotive rispetto ad un avvenimento che andava analizzato probabilmente con un po' più di realismo" ha detto il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Il titolare della Farnesina, in missione a Washington, ha sottolineato come la scelta di giocare nel Paese arabo sia stata "una decisione della Lega Calcio, come noto un organismo che agisce indipendentemente, una decisione a fronte anche di una remunerazione". Il ministro ha poi spiegato che la presenza delle donne allo stadio "non è messa in questione in quanto tale" ma ci sono delle regole "rispetto alla presenza in certi settori dello stadio, per motivi che loro definiscono di ordine".
Al di là del linguaggio cauto e diplomatico del ministro va sottolineato che in molti sembrano aver scoperto solo oggi, grazie a una partita di calcio, la situazione femminile in Arabia Saudita e in generale nel mondo arabo e in quello islamico. Possibile che fino ad ora non ne sapessero nulla? Eppure solo nei primi nove mesi del 2018 abbiamo esportato a Riad oltre 6 miliardi di merci italiane e anche in ambito calcistico non è certo la prima volta che giocatori, allenatori e squadre italiani vanno a giocare in paesi islamici e del Golfo Persico. Che dire poi delle organizzazioni gay, Lgbt e femministe che si indignano per le ricche donne saudite che avranno accesso solo ad aree loro riservate dello stadio di Gedda, ma non muovono un dito per le migliaia di bambine islamiche che non vengono più mandate a scuola, segregate in casa o che hanno subito mutilazioni genitali in Italia, non in Arabia Saudita.
Ben venga l’indignazione di calcistica per le discriminazioni praticate dall’islam, ma molte associazioni “di genere” che chiedono di annullare la partita di Gedda non sono forse le stesse che si battono a favore dell’accoglienza di migranti illegali, per lo più islamici, che hanno insiti nella loro “cultura” aberrazioni ben peggiori dell’istituzione di aree riservate alle donne sole allo stadio? L’Arabia Saudita è uno dei paesi musulmani più chiusi a diritti e libertà, condividendo con Iran, Afghanistan (dove la lapidazione è pratica quotidiana), Yemen, Sudan ed altri Stati la più rigida interpretazione dell’islam.
Paradossale però attaccare oggi le discriminazioni praticate a Riad - dove non mancano segnali senza precedenti di modernizzazione e aperture sociali imposti dal principe Mohammed bin Salman (MbS). Fautore di un islam tollerante e nemico giurato delle fazioni estremiste wahabite e dei Fratelli Musulmani, bin Salman ha concesso nell’ultimo anno le prime aperture alle donne saudite: autorizzate a guidare veicoli, a non vestire esclusivamente la nera tunica “abaya” e ad assistere a spettacoli ed eventi sportivi, in aree a loro riservate, se non accompagnate da uomini. Gedda peraltro è una delle città più “chiuse” alle contaminazioni esterne all’islam. Per questo la vera notizia non è che al King Abdullah Sports City Stadium vi siano settori riservati solo agli uomini, ma che ve ne siano altri per le famiglie e per donne che arriveranno guidando l’auto allo stadio e assisteranno da sole alla partita.
Bin Salman vuole portare il paese verso "un islam moderato aperto al mondo e a tutte le religioni” in cui “la nostra religione si traduca in tolleranza" anche se a Riad resta molto da fare per l’affermazione dei diritti umani e della parità di genere. Contraddittorio, per questo, boicottare la partita di Gedda senza annullare la partecipazione anche ad altre manifestazioni sportive in paesi islamici: negli Emirati Arabi Uniti sta per iniziare la 17a edizione della Coppa d’Asia e nel 2022 il Qatar ospiterà i campionati mondiali di calcio.
Nella classifica delle pari opportunità del World Economic Forum l'Arabia Saudita è 138a su 144: le donne non possono viaggiare da sole oltre i confini nazionali senza il permesso di padre o marito né vestirsi come meglio credono mentre uomini e donne non possono frequentare insieme luoghi pubblici. Le sempre più frequenti ribellioni e proteste attuate dalle donne vengono perseguite col carcere e torture (come ogni altra forma di dissidenza) secondo Amnesty International e Human Rights Watch. Elementi che, con l’omicidio Khashoggi, giustificherebbero condanne a Riad in ambiti ben più estesi di quello calcistico, che però la monarchia saudita è sempre riuscita a evitare a suon di petrodollari investiti in tutto il mondo. Denaro utile a evita condanne e sanzioni internazionali e ed esercitare pressioni su aziende e governi. Nel 2016 persino l’Onu, nell’imbarazzo del segretario generale Ban ki-moon, rinunciò a condannare i sauditi per le vittime civili provocate in Yemen quando Riad minacciò di bloccare i fondi al Palazzo di Vetro.
Nell’agosto scorso, dopo le critiche espresse dal governo di Ottawa per la feroce repressione del dissenso a Riad, la monarchia saudita ha chiuso i rapporti diplomatici e, per rappresaglia, ha congelato gli investimenti in Canada. Infine, due giorni or sono, la tv statunitense Netflix ha rimosso dal palinsesto saudita un episodio della trasmissione satirica "Patriot Act with Hasan Minhaj" il cui il conduttore (indiano islamico) ironizza sulle responsabilità di Riad per l'omicidio Khashoggi e critica l’intervento in Yemen.
Per questo stride vedere che ci si indigna per la “pagliuzza” del calcio ma si finge di non vedere la “trave” dei rapporti politici, economici e militari con i sauditi, come con l’intero islam.