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IRAQ

Sciopero piloti: senza stipendi niente bombe sull’Isis

Nell’ambigua e inconcludente guerra allo Stato Islamico continuano a emergere aspetti paradossali e quasi comici. Come definire diversamente lo sciopero attuato dai piloti e dai tecnici delle forze aeree irachene che si addestrano in Giordania a impiegare in combattimento i cacciabombardieri F-16? Ma c'è dell'altro.

Esteri 09_06_2015
Piloti iracheni in sciopero contro i tagli agli stipendi

Nell’ambigua e inconcludente guerra allo Stato Islamico continuano a emergere aspetti paradossali e a tratti quasi comici. Come definire diversamente lo sciopero attuato dai piloti e dai tecnici delle forze aeree irachene che si addestrano in Giordania a impiegare in combattimento i cacciabombardieri F-16 che Baghdad ha acquistato negli Stati Uniti e che in seguito al conflitto contro l’ISIS hanno visto accelerato il loro iter di consegna. I primi di una commessa di 36 jet stanno effettuando i test finali e i 475 tra piloti e tecnici stanno completando l’addestramento in vista del previsto ingresso in servizio il prossimo settembre. La decisione del governo iracheno di ridurre drasticamente gli stipendi a piloti e tecnici rispetto a quanto percepivano durante il lungo soggiorno addestrativo negli Stati Uniti ha indotto i militari a proclamare lo sciopero e lo stop alle attività addestrative.

La notizia è stata diffusa dal sito Iraqi News che precisa come il taglio delle retribuzioni, pari all’80 per cento, sia stato ordinato dal ministro delle Difesa, Khaled al Obeidim, e dal ministro delle Finanze, Hoshyar Zebari. Difficile comprendere se si tratti solo di rivendicazioni salariali o se i piloti, nell’imminenza dell’impiego in battaglia, siano intimoriti dal rischio di venire abbattuti e di fare la stessa fine del pilota giordano, Il tenente Muath al-Kaseasbeh) abbattuto col suo F-16 e poi bruciato vivo nel febbraio scorso dai miliziani jihadisti. Di certo lo stipendio che il governo di Baghdad intende corrispondere ai piloti di F-16 non è inferiore a quello riservato ai loro colleghi che combattono l’Isis a bordo dei vecchi Sukhoi 25.

Lo Stato Islamico avanza su tutti i fronti e minaccia Baghdad e l’èlite dei piloti iracheni che fa? Sciopera! Gli istruttori statunitensi, colti di sorpresa e spazientiti da un simile atteggiamento, hanno chiesto al personale iracheno di firmare un documento che certifichi la rinuncia al completamento dei corsi. «Sarebbe una grande perdita perché abbiamo un disperato bisogno di formare i nostri ufficiali e i nostri soldati», ha detto Awatef Nemaa, deputato della “Coalizione dello stato di diritto” dell’ex premier Nouri al Maliki, sollecitando il governo a intervenire per pagare integralmente gli stipendi. La scarsa marzialità e l’assenza di spirito combattivo delle truppe irachene dell’era post Saddam è ormai proverbiale: indimenticabile lo sfaldamento di sei divisioni dell’esercito di fronte all’Isis nel gennaio dell’anno scorso a Fallujah e poi nel luglio successivo a Mosul e Tikrit. Decine di migliaia di disertori poi “perdonati” dal governo e nuovamente arruolati in tempo per poter fuggire di nuovo a gambe levate davanti ai jihadisti a Ramadi. La corruzione dilagante anche nei vertici militari ha creato situazioni paradossali con decine di migliaia di “soldati fantasma”, registrati negli organici dei reparti, regolarmente retribuiti ogni mese ma del tutto inesistenti. Più seri gli ex soldati di Saddam Hussein che combattono oggi con lo Stato Islamico, sunniti in gran parte appartenenti alla Guardia Repubblicana, il corpo d’élite del defunto raìs.

Certo a demoralizzare il già provato esercito iracheno contribuiscono anche gli errori della Coalizione i cui jet colpiscono già da tempo in modo blando e insufficiente le milizie jihadiste, ma sabato hanno addirittura sbagliato bersaglio distruggendo a Fallujah il comando del Primo battaglione fanteria dell’esercito iracheno. Episodio di fuoco amico (peraltro smentito dalla Coalizione) non certo raro nei conflitti, ma che nel clima di sfiducia che aleggia a Baghdad alimenterà la convinzione già da anni ben radicata tra gli iracheni che l’Isis sia una creatura degli Stati Uniti per contrastare la deriva filo-iraniana del governo sciita di Baghdad. Anche sul fronte siriano non mancano situazioni paradossali e ipotesi suggestive. Molti media e numerosi analisti in Occidente e nel mondo arabo hanno ripreso a divulgare notizie che dovrebbero dimostrare l’esistenza di un’alleanza di fatto tra lo Stato Islamico e il regime di Bashar Assad, entrambi impegnati a combattere i ribelli di altre fazioni e soprattutto quell’Esercito della Conquista che raggruppa nel nord del Paese milizie islamiste dei Fratelli Musulmani, di al-Qaeda (il Fronte al-Nusra) e salafite sostenuto da Turchia, Qatar e Arabia Saudita. Alcuni si sono spinti a ipotizzare l’insediamento dell’Isis ad Aleppo e nel nord della Siria a spese degli altri gruppi ribelli con l’appoggio delle truppe di Assad. Uno degli elementi che dovrebbe rafforzare le indiscrezioni su questa cooperazione tra regime siriano e Isis (già più volte evidenziata negli ultimi mesi) è rappresentata dal fatto che le forze aeree di Damasco stanno bombardando le postazioni ribelli nell’area di Idlib e Aleppo in concomitanza con un attacco del Califfato proprio in quel settore mentre i jet della Coalizione hanno colpito postazioni dei miliziani di al-Baghdadi per aiutare i ribelli, altrettanto jihadisti (anzi, qaedisti!) ma evidentemente agli occhi della Coalizione “più buoni” di quelli dell’Isis persino quando si tratta dei qaedisti di al-Nusra.

Secondo Rami Abdel Rahman, direttore del Osservatorio siriano per i diritti umani (ong vicina ai ribelli) è la prima volta che la Coalizione (cioè i jet statunitensi) offre appoggio aereo a gruppi non curdi che combattono in Siria. Anche le voci di una possibile controffensiva siriana su Idlib, scatenata grazie all’arrivo di 20 mila combattenti sciiti iraniani, iracheni, libanesi e persino afghani dovrebbe sostenere l’ipotesi di un accordo di fatto tra regime e Califfato. Se da un lato Assad potrebbe avere interesse nel veder rafforzata l’opposizione armata meno presentabile sul piano internazionale (l’Isis) rispetto agli altri gruppi ribelli non certo meno estremisti, ma sponsorizzati da Stati Uniti, europei, turchi e monarchie del Golfo, dall’altro l’ipotesi di un’alleanza tra Damasco e Raqqa (funzionale a quanti sostengono che per abbattere al-Baghdadi occorre abbattere Bashar Assad) non regge alla prova dei fatti che emergono dal campo di battaglia. Oltre il 50% del territorio siriano è in mano al Califfato, il 25% è controllato dagli altri gruppi armati e solo un quarto è nelle mani delle forze lealiste anche se proprio in quest’area risiede il 60% della popolazione. Nelle ultime settimane il Califfato ha strappato Palmira alle truppe di Assad attaccandole in tutto il settore centrale mentre negli ultimi giorni i miliziani dell’Is sono giunti alle porte di Hasaka dopo intensi combattimenti proprio con le truppe governative con cui dovrebbero essere “alleati”. Per fermare l’offensiva gli elicotteri lealisti hanno sganciato numerosi barili bomba sulle postazioni dei jihadisti smentendo così la vulgata che l’aeronautica siriana colpisce solo i ribelli dell’Esercito della Conquista, ma l’aspetto più rilevante è che ad Hasaka, nel nord-est della Siria, le truppe di Assad combattono al fianco dei miliziani curdi. Proprio quelli tanto osannati dall’Occidente quando a Kobane hanno opposto una fiera resistenza allo Stato Islamico.