MALCOSTUME
Sciopero calciatori, non c'è niente da capire
Si è certificata una frattura insanabile tra due mondi paralleli: quello dorato, e un po’ ripugnante, del calcio professionistico, e il resto della realtà.
Attualità
30_08_2011
La prima notizia è che il campionato italiano di calcio non è iniziato. E questo è già un fatto senza precedenti, perché nel nostro Paese il pallone era una delle ultime certezze cui potevamo aggrapparci.
La seconda notizia è che questo sciopero dei calciatori appartiene a quei rari argomenti che sono in grado di mettere tutti d’accordo. I ricchi e viziati protagonisti della serie A questa volta l’hanno fatta davvero grossa, decidendo di imbracciare uno strumento – quello dello sciopero – che mal si addice ai miliardari. Categoria alla quale normalmente appartiene ogni professionista della pelota che militi nella massima categoria. Perché, anche se non tutti percepiscono le cifre astronimiche – decine di milioni di euro – che finiscono nelle tasche dei campioni, l’ambiente del calcio resta un’isola surreale sulla quale anche una riserva o un terzo portiere incassa stipendi da dirigente industriale.
Il pauperismo è una brutta bestia, resa ancor più cattiva quando va a braccetto con la demagogia da bar sport. E noi non scivoleremo dentro la solita retorica che si straccia le vesti per le sperequazioni e le ingiustizie sociali provocate dalle bizzarre montagne russe degli stipendi della società liberale: una volta imboccata la strada dell’economia di mercato bisogna saperne accettare (anche se a malincuore) le perverse logiche basate sulla domanda e sull’offerta. E digerire il fatto che se un giovanotto di mestiere guida il tram ne cava uno stipendio da sopravvivenza, anche se tiene in mano la vita delle persone; e che se lo stesso giovanotto fa il terzino di riserva nel Chievo diventa ricco nel giro di un anno, anche se tiene nei piedi solo il risultato di una partita di calcio. Finchè il calcio resta un business anomalo, garantisce ai suoi attori anomali guadagni. Pazienza.
Ma ciò che è intollerabile, e che dovrebbe ricoprire di vergogna le facce di tutti i protagonisti di questa vicenda, è che questi arricchiti per direttissima si mettano a scioperare. Lo sciopero una volta era una cosa seria, e purtroppo l’ubriacatura sindacale ha contribuito non poco a distruggerne l’immagine. Da extrema ratio, e da strumento di legittima pressione dei lavoratori per negoziare con il datore di lavoro condizioni migliori di contratto e di vita, lo sciopero si è trasformato in una specie di rito ineluttabile di ogni vertenza fra azienda e maestranze. Un balletto simbolico che non di rado si abbatte sulla gente inerme, che non riesce a prendere il treno o l’autobus perché incappa nel “rinnovo del contratto”. Nonostante questa deriva, di solito le categorie che scioperano non sono dei nababbi, molti hanno una famiglia da mantenere, in tasca entrano pochi euro a fronte di spese crescenti, e allora lo sciopero diventa anche una specie di sfogo simbolico di chi fa fatica a tirare avanti. Puoi non condividere, certamente comprendi.
Ma in questa vertenza che contrappone calciatori e presidenti della Serie A non c’è proprio nulla da comprendere. E c’è molto da arrabbiarsi. Perché ci vuole una bella faccia tosta per andare davanti ai milioni di sportivi e di tifosi che tengono su il tendone del circo barnum calcistico, e annunciare che non si gioca per una questione di soldi. Ma la faccia tosta non basta, se poi lo sciopero piove in un momento in cui non solo l’Italia ma il mondo intero arrancano in una crisi economica senza precedenti.
Questo sciopero certifica una frattura insanabile tra due mondi paralleli: quello dorato, e francamente un po’ ripugnante, del calcio professionistico, e il resto della realtà. I ricchi e viziati calciatori sono infatti anche il prodotto di una categoria di capitani d’industria – i presidenti delle società – che in questi decenni ha costantemente vellicato le bizze e le pretese più capricciose dei campioni della pedata. I contratti sono ormai da anni diventati carta straccia dal punto di vista dei giocatori: i quali ottengono impegni pluriennali dalla società, ma sono poi pronti a rompere l’impegno di fronte alle offerte più vantaggiose della concorrenza. Il panorama è poi completato dalla categoria ambigua dei procuratori, che gestiscono quelle galline dalle uova d’oro che sono i calciatori.
In questo mondo surreale si gioca una partita autoreferenziale, in cui tutto è proporzionato nelle sue sproporzioni: adesso si sono pure inventati lo sciopero, non per cento euri/anno o per un ticket restaurant in più, ma per decine o centinaia di migliaia di euro.
Fra qualche settimana, lo spettacolo riprenderà come prima. Però la gente ha visto, ha osservato, e si è fatta una sua idea sull’intera faccenda. Attenzione, perché prima o poi l’incantesimo potrebbe finire.