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LA PROFEZIA

Scena per scena, iI suicidio (riuscito) dell’Occidente

Due anni fa, Eric Zemmour sconvolse la Francia con Il suicidio francese, un libro che dimostrava come il suo Paese si stesse suicidando. Anzi, era già morto. Bestseller clamoroso, da poco uscito in Italia e già in ristampa per Enrico Damiani Editore. Da non perdere.

Cultura 25_09_2016
La copertina del libro Il suicidio francese

Due anni fa Eric Zemmour sconvolse la Francia con un libro che dimostrava come il suo Paese si stesse suicidando. Anzi, era già morto. Bestseller clamoroso, da poco uscito in Italia e già in ristampa per Enrico Damiani Editore (Il suicidio francese, pp. 578, €. 19). 

Grosso tomo, sì, ma anche un grosso cazzotto allo stomaco. Se anche gli italiani ne sono voraci è perché riguarda anche noi, anzi l’intero Occidente. Basterà riportare ampi stralci dell’Introduzione per rendersi conto. «Non sappiamo più dove andiamo perché non sappiamo più da dove veniamo. Ci hanno insegnato ad amare ciò che detestavamo e a detestare ciò che amavamo. Come siamo arrivati a questo punto?». «Non si cessa di ripeterci da quarant’anni che il maggio ’68 è stata una rivoluzione mancata, mentre essa ha vinto». 

«Prima: una Francia in bianco e nero, patriarcale e xenofoba, ripiegata su se stessa, chiusa nelle sue frontiere e nei suoi pregiudizi, stretta in una morale puritana, tutta devozione; una Francia laboriosa e sommessa (…) sotto il giogo sempre ingiusto e spesso crudele del Padre con i propri Figli, dell’Uomo sulla Donna, del Bianco sul Nero e l’irreggimentazione oscurantista nelle Chiese, cattoliche o comuniste». Dopo: «una Francia edonista e ugualitaria, una Francia di tutte le liberazioni, di tutte le insolenze, di tutte le minoranze, fino alla più piccola minoranza che c’è, l’individuo». 

Creata, in sordina, da «nuovi Vangeli che, veicolati dalla cultura popolare attraverso i mezzi di comunicazione di massa, televisione, cinema, canzoni, cullarono le giovani generazioni con un’efficacia mai vista». Il Sessantotto «non è riuscito a rovesciare il regime, ma ha conquistato la Società a scapito del Popolo». «Una “evoluzione delle mentalità” portata avanti senza tregua svuotò a poco a poco della sua sostanza lo spirito della repubblica gollista, malgrado le apparenze istituzionali venissero conservate intatte». 

Il Sessantotto segnò la vittoria «degli oligarchi sul popolo, dell’internazionalismo sulle nazioni, (…) dei giudici sulla legge, della femminilità sulla virilità», grazie a «un fenomeno la cui portata fu largamente sottostimata: lo sviluppo della corrente di liberazione del desiderio e l’irruzione del femminismo». «La triade sessantottottarda: Derisione, Decostruzione, Distruzione scalzò le basi di tutte le strutture tradizionali: famiglia, nazione, lavoro, stato, scuola». 

Uno dei rari intellettuali a intuire che cosa stava succedendo fu Jean-François Revel: «ebbe la formidabile intuizione che la rivoluzione non sarebbe arrivata da Mosca, da L’Avana, da Pechino o addirittura da Parigi, ma che era partita da San Francisco». «Revel vide in Woodstock la rivoluzione degli individui; e nei movimenti dei neri, delle femministe e dei gay la rivoluzione delle minoranze. Comprese che l’unione delle due rivoluzioni aveva creato nelle università americane degli anni Sessanta quel politically correct che avrebbe spazzato la società tradizionale e patriarcale». 

C’è di più: «la quasi completa scomparsa della pratica del culto cattolico ha generato un post-cristianesimo, una specie di millenarismo cristiano senza dogmi (le famose “idee cristiane divenute folli” di Chesterton) sposando un universalismo che virerà al “senza frontierismo” e a un amore per l’altro spinto fino a diventare odio per se stessi. Un pacifismo senza eccezioni, mutuato ancora dai Vangeli, si snaturerà in un rifiuto totale di ogni guerra, di ogni conflitto, di ogni violenza, fenomeni del resto associati alla virilità che le femministe consideravano la responsabile di tutti i mali». 

Risultato: «Come i rivoluzionari parigini del 1789 hanno imposto i loro capricci ad una provincia incantata e passiva, così gli arrabbiati del ’68 hanno mostrato la loro visione del mondo (…) ad un popolo riluttante ma rassegnato». L’autore è un ebreo di origine algerina, già editorialista del Figaro. Mezzo milione di copie in Francia, la sua opera descrive i quarant’anni fatali, passo dopo passo, dal 1970 al 2008, di cedimento alla pressione mediatica prima marxista, poi femminista, ecologista, lgbt e infine islamica. 

Con una totale cecità (quando non connivenza) di fronte a tutti i falsi miti del progressismo. Zemmour è stato citato in giudizio e condannato per una intervista al nostro Corsera in cui, parlando dei musulmani in Francia, diceva che «non vogliono vivere alla francese» e che tale situazione avrebbe portato prima o poi alla «guerra civile».