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DIRETTIVA VATICANA

Scambiatevi un segno di pace, ma non troppo

Più sobrietà e meno effusioni quando ci si scambia la pace. La direttiva è della Congregazione per il Culto divino: in essa si chiede di evitare lo «spostamento dei fedeli dal loro posto», o la discesa del sacerdote dall’altare per scambiare il segno di pace coi fedeli. Insomma, qua la mano, ma non troppo.

Ecclesia 04_09_2014
Stretta di mano, segno della pace

Lo scambio è della pace, mica di baci, abbracci e allegre pacche sulle spalle. Come succede, invece, (il più delle volte) nelle nostre Messe pop. Il sacerdote non ha ancora terminato la fatidica formula (prima dell’eucarestia nel rito romano, dopo la liturgia della Parola in quello ambrosiano): “scambiatevi un segno di…” che tra i fedeli è tutto un abbracciarsi: prima a destra, poi a sinistra, poi con il tipo della panca affianco, poi, con veloce torsione carpiata, con tutta la famiglia che siede nella fila dietro. Qualcuno, più temerario, esce dal gruppo e chiede la mano a quelli di due panche più avanti che, presi di sorpresa, abbozzano e ricambiano. C’è anche chi, soprapensiero o poco pratico e praticante, allo speranzoso augurio risponde con un caloroso: «Grazie, altrettanto». 

Libertà eccessive e “strappi” al cerimoniale non del tutto ortodossi, ma tollerati, quando non incoraggiati, dagli stessi officianti. È il momento, forse più ludico e gioioso dell’intera Santa Messa, dopo la tensione e le forti emozioni della transustanziazione: una sorta di “rompete le righe”, tirate il fiato e sgranchitevi un po’ prima di mettervi in coda per la comunione. Esercizio di allegro relax collettivo, a volte sottolineato anche da qualche canto a far da sottofondo, giusto per segnare il ritmo e il tempo della pacifiche effusioni. Troppe, eccessive, fastidiose.

Così deve pensato il cardinale spagnolo Antonio Cañizares, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti che, dopo lungo studio e confronto con i colleghi vescovi del mondo, ha emanato la “Lettera circolare”, contenente alcune raccomandazioni e disposizioni pratiche su come «scambiarsi il segno della pace», al fine di «moderare le sue espressioni eccessive che suscitano confusione nell’assemblea liturgica». La direttiva è anche l’ultimo atto di Cañizares che lascerà a breve Roma essendo stato nominato arcivescovo di Valencia. Varata nel giugno scorso, Papa Francesco l’ha già approvata. Nella missiva, firmata dal cardinale prefetto e dall’arcivescovo segretario Arthur Roche, si ricorda che lo studio della questione era stato avviato già nel corso del Sinodo sull’eucarestia del 2005.

Va subito detto che la Congregazione non modifica la collocazione del gesto dello scambio lasciandolo come è adesso nei due riti, ma lo rende più sobrio e meno “invasivo” o invadente. In obbedienza alle osservazioni di Papa Benedetto XVI che già al punto 49 dell'esortazione Sacramentum caritatis del 2007, ricordava come durante il Sinodo «fosse stata rilevata l'opportunità di moderare questo gesto, che può assumere espressioni eccessive, suscitando qualche confusione nell'assemblea proprio prima della comunione». Papa Ratzinger aveva anche citato esplicitamente la possibilità di spostare lo scambio della pace prima dell'offertorio, come nel rito ambrosiano, ma, alla fine, è prevalsa la tesi di non introdurre ulteriori cambiamenti. 

A premessa delle raccomandazioni, la “Lettera” della Comgregazione chiarisce il senso di queste indicazioni: «Se i fedeli non comprendono e non dimostrano di vivere, con i loro gesti abituali, il significato corretto del rito della pace, si indebolisce il concetto cristiano della pace e la loro fruttuosa partecipazione all’Eucarestia». Insomma, non si tratta solo di ristabilire sobrietà e bon ton a un gesto sfuggito di mano. La posta in gioco è ben più alta: il significato stesso del sacrificio eucaristico. Questo è il “nocciolo” da recuperare e difendere, fino al punto di rinunciare al gesto quando non sussistano le condizioni per un’adeguata comprensione. Dice, infatti la “Lettera”: «(…) è del tutto legittimo asserire che non si tratta di invitare meccanicamente a scambiarsi il segno della pace. Se si prevede che esso non si svolgerà adeguatamente a motivo delle concrete circostanze o si ritiene pedagogicamente sensato non realizzarlo, si può omettere e talora deve essere omesso». Ai sacerdoti, dunque, la responsabilità della scelta.

Ma una volta lanciato l’invito, sono tre le cose che la “Circolare” della Congregazione chiede al sacerdote: «si eviti l’introduzione di un canto della pace, inesistente nel rito romano», lo spostamento dei fedeli dal proprio posto e «l’abbandono dell’altare da parte del sacerdote per dare la pace ad alcuni fedeli». Inoltre, si raccomanda di evitare che in alcune circostanze, come le solennità di Pasqua o Natale, i battesimi, le prime comunioni, le cresime, i matrimoni, le ordinazioni sacerdotali, le professioni religiose, le esequie – il darsi la pace sia occasione «per felicitarsi o per esprimere condoglianze tra i presenti». Le Conferenze episcopali, vengono poi invitate a «preparare catechesi liturgiche sul significato del rito della pace nella liturgia romana e sul corretto sviluppo nella celebrazione della messa». Infine, si rileva l’opportunità che nella pubblicazione della nuova edizione del messale in corso le Conferenze episcopali cambino in meglio le modalità suggerite precedentemente: passando ad esempio da «gesti familiari e profani di saluto a gesti più appropriati». Tutto qui, ma non è poco.

Dell’esistenza della “Lettera” si è saputo in Spagna, dove è stata trasmessa in questi giorni a tutti i vescovi. Ora si vedrà come essa verrà applicata nei vari Paesi. In Italia? Beh, c’è da immaginare che le raccomandazioni del prefetto vaticano faranno storcere molti nasi e alzare altrettanti  sopraccigli. Soprattutto a quelli che in questi anni hanno infarcito la celebrazione eucaristica di gestualità imbarazzanti e arrangiamenti festivalieri. Trasformando così le Messe in parrocchia in sgangherati concertini pop, inframmezzati da ripetuti siparietti stile “Peace and Love”. Dopo la “Lettera” sullo scambio della pace, occorrerebbe pure un solenne editto per 1) mettere al bando chitarristi e coretti della domenica, 2) far riaprire i preziosi organi di cui quasi tutte le nostre chiese sono fornite, 3) obbligare i parroci (pena la scomunica) a cacciare gli strimpellatori dal tempi e 4) istituire Scholae Cantorum con tanto di maestro.

Oggi, invece, sono solo canzonette, con melodie disco dance e testi new age che gridano (a volte anche stonati) vendetta al cospetto di Dio. Superati, ma appena un po’, da quella specie di “girotondo” attorno al fuoco che è diventata la recita del Padrenostro. Passino i palmi alzati in segno di offerta, ma quelle catene umane, mano nella mano, tra le panche, hanno l’effetto di un micidiale colpo di grazia. Paiono un gigantesco “gioco della scossa” e potrebbero segnare il definitivo limite di non ritorno per il povero fedele sopravvissuto alle torture dell’omelia e alle imboscate degli scambi non richiesti. Occorre pure qui una radicale e coraggiosa riforma, all’insegna dello sloga: “Il Vangelo ci invita a porgere l’altra guancia, mica l’altra mano”.  Ma per tutto questo, non basterà una “Lettera”, ci vorrà almeno un’enciclica.