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EDITORIALE

Scajola assolto. E ora chi paga?

Quattro anni di gogna mediatica per la compravendita di una casa nel centro di Roma e ora l'ex ministro è scagionato. Una riflessione sul cortocircuito giustizia-mass media si impone. Come nel caso Ruby: dal Marocco viene la notizia che non era minorenne.

Editoriali 28_01_2014
L ex ministro Claudio Scajola

Ora si attendono le motivazioni della sentenza (entro 45 giorni), ma l’assoluzione di Claudio Scajola può già considerarsi una vittoria dello Stato di diritto. Il fatto non costituisce reato secondo il giudice Eleonora Santolini. L’ex ministro dello Sviluppo economico è stato assolto in merito alla vicenda della compravendita della casa al Colosseo. La storia della casa acquistata “a sua insaputa” era diventata una barzelletta, ma aveva costretto l’ex parlamentare a lasciare il Viminale nel maggio del 2010.

La persecuzione giudiziaria e mediatica subita dal leader del centrodestra per quasi quattro anni ha dell’incredibile e ora, se fossimo al posto suo, chiederemmo i danni a tutti quei media che si sono accaniti contro di lui con accuse tanto infamanti quanto inverosimili. Sarebbe inoltre auspicabile che qualcuno prima o poi svelasse all’opinione pubblica il vero movente di quell’attacco stroncatorio all’allora ministro, “colpevole”, agli occhi di qualche altro ministro del governo Berlusconi e di qualche “potere forte”, di aver inaugurato (o tentato di inaugurare) con lucidità e competenza un nuovo corso delle relazioni industriali e, ancor più, un nuovo indirizzo della politica energetica del nostro Paese.

Scajola si dimise senza aver neppure ricevuto un avviso di garanzia, perché i media lo crocifissero senza uno straccio di prova e perché credettero, con disarmante superficialità, alla versione più realistica di una vicenda dai contorni tuttora nebulosi e da chiarire. L’unica cosa certa è che l’ex ministro ha sempre detto la verità e che in buona fede ha acquistato una casa ad un prezzo conveniente senza sapere che altri, per motivazioni oscure, avevano contribuito in modo sostanzioso all’acquisto. Ma sarà stato l’unico caso del genere? L’unico caso di traffico occulto di denaro nell’ambito della compravendita di immobili nel centro di Roma a beneficio di politici ed esponenti delle istituzioni quasi sempre inconsapevoli? Consentiteci di dubitare.

Quanto all’aspetto mediatico, ci sono centinaia di sentenze in materia di diffamazione che puniscono severamente i giornalisti quando, attraverso sottintesi sapienti, luoghi comuni, ricostruzioni fantasiose e critiche smodate e preconcette, raccontano fatti che non conoscono e che non sono stati ancora chiariti nelle aule giudiziarie. Esiste un Codice di autoregolamentazione sui processi mediatici, firmato nel maggio 2009 (prima che scoppiasse il caso Scajola) da tutte le tv nazionali e locali, dall’Ordine dei giornalisti, dal sindacato dei giornalisti, dall’Agcom, che stabilisce sanzioni sia per i media che per i cronisti che pretendono di anticipare per vie giornalistiche le conclusioni alle quali approderanno e devono poter approdare solo i tribunali.

Durante la requisitoria i pm della Procura di Roma avevano chiesto una condanna a tre anni di reclusione per l’ex esponente di Forza Italia e Pdl che era accusato di finanziamento illecito in relazione all’acquisto dell’appartamento in via Fagutale con vista sull’Anfiteatro Flavio. Durante un’udienza dello scorso settembre l’ex parlamentare, che ha sempre negato ogni illecito, aveva dichiarato di non abitare più lì. Secondo l’accusa, Diego Anemone avrebbe pagato, attraverso l’architetto Angelo Zampolini, parte della somma versata dall’ex ministro dell’Interno (1,1 su 1,7 milioni di euro) per l’acquisto e avrebbe poi dato centomila euro per la ristrutturazione.

«Ho sempre detto la verità. Questo processo non doveva neanche cominciare perché era tutto prescritto: la decisione del giudice di assolvermi assume ancora maggior valore», ha dichiarato l’ex ministro al telefono con Silvio Berlusconi subito dopo essere stato assolto.

La vicenda impone una riflessione sul cortocircuito magistratura-sistema dei media, che determina in maniera quasi scientifica il corso della vita politica italiana, azzoppando le carriere di alcuni protagonisti secondo logiche non sempre lineari e facilmente smascherabili.

Ieri è stata diffusa anche un’altra notizia destinata ad avere riflessi sull’evoluzione di alcune importanti vicende giudiziarie italiane. Il ministro della Funzione Pubblica del Marocco ha dichiarato che Ruby, la ragazza marocchina coinvolta nel processo contro l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, all’epoca dei fatti contestati aveva certamente più di diciotto anni, il che smonterebbe il teorema della procura di Milano circa la prostituzione minorile e riaprirebbe scenari imprevedibili per il Cavaliere. In ogni caso, appare inquietante che la selezione della classe politica italiana debba essere fatta dalle Procure e non dai cittadini, con tutto ciò che ne consegue in termini di rappresentatività e democraticità dei processi decisionali. 

Tra le riforme in grado di aprire la strada ad una Terza Repubblica vera e non di facciata, senza dubbio dovrebbe essere inserita quella della giustizia, con la definizione di un sano equilibrio tra i poteri dello Stato e una configurazione del potere giudiziario ispirata realmente a criteri di trasparenza, obiettività, terzietà.