Sarah: «Il mondo muore perché manca di adoratori»
«La perdita del valore religioso dell'inginocchiarsi e del senso dell’adorazione di Dio è la fonte di tutti gli incendi e le crisi che stanno scuotendo il mondo e la Chiesa». Dall’intervento – che qui pubblichiamo integralmente – del cardinale Robert Sarah alla presentazione, organizzata dalla Bussola, del suo libro Dio esiste?
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Lunedì 20 gennaio si è svolta a Milano, al Teatro Guanella, la presentazione dell’ultimo libro del cardinale Robert Sarah, Dio esiste? Il grido dell'uomo che chiede salvezza (Cantagalli), in cui il prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti risponde a una serie di domande sull’esistenza e la presenza di Dio nella nostra vita.
A organizzare l’evento La Nuova Bussola Quotidiana e La Bussola Mensile. Pubblichiamo di seguito l’intervento integrale di Sarah.
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Ringrazio il caro amico David Cantagalli che mi ha proposto le domande che hanno reso possibile l’ampia riflessione esposta in questo libro. Se non ho sbagliato a contare, è questo l’ottavo volume che porta il mio nome nel suo servizio alla cultura cattolica. Questo testimonia un metodo di lavoro che mi è stato dato di condividere: rintracciare nel tesoro che la Chiesa ed i suoi santi ci hanno consegnato, le parole opportune per rispondere alle domande dell’uomo di oggi. Sono domande che, in fondo, ricorrono nei secoli: è il grido dell’uomo che chiede salvezza, come precisa con molta arguzia il sottotitolo che David ha individuato come efficace sintesi di questo ampio dialogo.
La certezza che attraversa ogni risposta, ed in fondo ogni domanda, è che possa esserci una risposta e che questa sia Cristo. Ho cercato di limitare, per quanto possibile, le mie parole, per lasciare spazio alla testimonianza dei Vangeli, dei Padri della Chiesa e dei Santi: chi ci incontra non ha bisogno di parole nuove, di nuove dottrine, di nuovi cammini, di invenzioni, ma che le parole di sempre, la Parola perenne di Dio ci raggiunga, illuminando le situazioni che viviamo nel presente. Sono stati questi, in fondo, i due capisaldi del lavoro: prendere sul serio ogni domanda e rintracciare, nel tesoro della Chiesa, ogni risposta; ovvero un punto adeguato che possa sostenere la Speranza che ciascun uomo invoca.
C’è poi un terzo punto di metodo: raramente la capacità, o anche la genialità, di un uomo da solo può rispondere; normalmente è capace di risposta solo l’uomo che non è solo, che non si concepisce solo, che appartiene ad una storia. In realtà l’uomo non è mai solo, perché il Signore non ci lascia mai soli; una compagnia di persone ci aiuta a sentire più toccante la Sua presenza se questa compagnia ha come fondamento e scopo il seguire Gesù. Questo è quanto ci accade stando nella Chiesa, anche quando la Chiesa si presenta nella forma di una piccola compagnia di uomini.
Abbiamo bisogno di adoratori!
La preghiera è uno sguardo silenzioso, contemplativo, amoroso portato verso Dio. La preghiera è guardare a Dio e lasciarci guardare da Dio. Così ci insegna il contadino di Ars. Il Curato d’Ars, stupito di vederlo regolarmente ed ogni giorno in ginocchio ed in silenzio davanti al Santissimo, gli chiede: «Amico mio, cosa stai facendo qui?». Ed egli rispose: «Je l’avise et il m’avise (Lo guardo ed Egli mi guarda)!»[1].
L’allora cardinal Ratzinger, nell’omelia della Missa pro eligendo Romano Pontifice, ha detto: «Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare "qua e là da qualsiasi vento di dottrina", appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo. ‘Adulta’ non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo»[2]. Che drammatica attualità questo testo del cardinale Joseph Ratzinger!
Il compito più urgente è recuperare il senso dell’adorazione e della prostrazione con fede e stupore davanti al mistero di Dio! Come i Magi che «prostratisi Lo adorarono». La perdita del valore religioso dell'inginocchiarsi e del senso dell’adorazione di Dio è la fonte di tutti gli incendi e le crisi che stanno scuotendo il mondo e la Chiesa, dell’inquietudine e dell’insoddisfazione che vediamo nella nostra società. Abbiamo bisogno di adoratori! Il mondo sta morendo perché manca di adoratori! La Chiesa è inaridita dalla mancanza di adoratori. Questo è il primo e privilegiato luogo di dialogo con Dio: il Tabernacolo, la Sua presenza in mezzo a noi.
La S. Messa non è un'assemblea sociale
Per lo stesso motivo la Santa Messa è come un necessario e vitale appuntamento con Cristo. L’Eucaristia è sorgente della missione della Chiesa; le celebrazioni sacre e belle per la gloria di Dio e la santificazione del popolo, sono fondamentali per favorire la confidenza con Lui, quella intimità divina a cui anela la nostra esistenza. Anche per questo la Santa Messa, celebrata nelle lingue nazionali, non deve mai smarrire il senso del sacro e mai tradire la parola del Signore Gesù. La Santa Messa non è un'assemblea sociale per celebrare noi stessi e le nostre opere, non è una esibizione culturale, ma la memoria della morte e della risurrezione del Signore che, da secoli, la Chiesa ha sempre celebrato.
L’Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chiesa, come ha saggiamente ricordato il Concilio Vaticano II; l’Eucaristia è anche la fonte della sua missione: «Una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria»[3].
Anche noi dobbiamo poter dire ai nostri fratelli, con ferma convinzione: «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita […], quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo» (1Gv 1,1-3).
Non c’è niente di più bello che incontrare personalmente e intimamente Gesù Cristo e comunicarLo a tutti. La stessa istituzione dell’Eucaristia, del resto, anticipa ciò che costituisce il cuore della missione di Gesù. Egli è l’inviato del Padre per la redenzione del mondo (Gv 3,16-17; Rm 8,32). Nell’Ultima Cena affida ai suoi discepoli il Sacramento che attualizza fino alla fine dei tempi il sacrificio della Croce; e dobbiamo correggere quella mentalità diffusa, secondo la quale la Santa Messa sarebbe la “replica” dell’Ultima Cena e basta, un incontro fraterno, conviviale tra amici. Essa è anche e sempre il Calvario di Cristo, il Sacrificio incruento: non c’è banchetto senza sacrificio! Il sacerdote sa bene che, quando sale i gradini dell’altare, sta salendo con Gesù sul calvario, per donare la vita, per morire con Lui!
Commoventi le parole con cui il Papa Benedetto XVI iniziò il suo ministero petrino, affermando: «Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con Lui. Il compito del pastore, del pescatore di uomini può spesso apparire faticoso. Ma è bello e grande, perché in definitiva è un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso nel mondo»[4].
Come ripetiamo nella preghiera eucaristica IV: «Nella tua Misericordia, a tutti sei venuto incontro, perché coloro che ti cercano, ti possano trovare».
Cristo, l’unico salvatore dell’uomo
La mia certezza di uomo, di cristiano, di sacerdote e di successore degli Apostoli è conseguenza, è espressione di quanto nella vita ho sperimentato e che la Chiesa, nella sua saggezza, ha sempre affermato: Cristo è l’unica strada! «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).
La Scrittura e la Tradizione ci ricordano: «In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12). Il profeta Isaia afferma che non vi è mai stato alcuno che abbia visto o udito che un Dio abbia fatto tanto per chi confida in Lui (cfr. Is 64,3). Isaia ci parla da innamorato di Dio; dalle sue parole sappiamo che Dio è innamorato dell’uomo, fatto a Sua immagine. Dio ha così amato il mondo da dare il Suo unico Figlio, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna (cfr. Gv 3,16). Se il mondo lo sapesse! Se ciascuno di noi avesse sempre presente questo dono, questa misericordia, questa predilezione!
Noi siamo immensamente più benedetti del profeta Isaia: lui implorava che Dio squarciasse i cieli e scendesse (cfr. Is 63,19), noi lo contempliamo in mezzo a noi. Il re Davide si domandava da dove attendersi l’aiuto (cfr. Sal 121), noi sappiamo che il nostro aiuto è nel Signore Gesù. L’intera tradizione della Chiesa insegna che Gesù di Nazareth, Signore e Cristo, è l’unico salvatore dell’uomo, e che in nessun altro c’è salvezza. Chi, al di fuori dei confini visibili del cristianesimo, giunge alla salvezza, vi giunge sempre e solo per i meriti di Cristo sulla Croce e non senza una certa mediazione della Chiesa.
Proprio in una delle prime risposte, affermo che queste verità centrali della fede cristiana sono state recentemente ribadite (perché evidentemente ce n’era bisogno) da due documenti fondamentali: l’Enciclica Redemptor Hominis, del marzo 1979, di San Giovanni Paolo II e la Dichiarazione Dominus Iesus, dell’anno giubilare 2000.
Senza verità non vi può essere dialogo ecumenico
Sono due documenti fondamentali del magistero della Chiesa: il primo è quello con cui ha aperto il proprio pontificato San Giovanni Paolo II, impegnando in esso tutta la credibilità propria e della Chiesa – quasi il programma del pontificato – e riassumendo quanto la Chiesa stessa ha maturato nei secoli, come coscienza di sé e del proprio compito; l’altro, emanato dall’allora Congregazione per la Dottrina della Fede, presieduta dal card. Ratzinger, con la speciale approvazione sempre di San Giovanni Paolo II, rappresenta il fondamento del dialogo ecumenico, nella verità, perché senza verità non vi può essere dialogo.
Questo principio dell’ecumenismo è stato posto in modo indelebile dal Concilio Vaticano II. Nel decreto Unitatis Redintegratio, emanato da S. Paolo VI il 21 novembre 1964, leggiamo le condizioni di esercizio dell’azione ecumenica ed i principi con i quali regolarla. «Anche se in campo morale molti cristiani non intendono sempre il Vangelo alla stessa maniera dei cattolici» (ci dice quel decreto conciliare), «né ammettono le stesse soluzioni dei problemi più difficili dell'odierna società», tuttavia vogliono come noi aderire alla parola di Cristo quale sorgente della virtù cristiana e obbedire al precetto dell'Apostolo: «Qualsiasi cosa facciate, o in parole o in opere, fate tutto nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui» (Col 3,17).
Da qui può prendere inizio il dialogo ecumenico intorno all’applicazione morale del Vangelo. Infatti, in continuità con i Concili che lo hanno preceduto e che puntualmente richiama, nel decreto conciliare si afferma: «Perciò queste Chiese e comunità separate, quantunque crediamo che abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non son affatto spoglie di significato e di peso. Poiché lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica»[5].
È perché siamo certi della verità espressa con queste parole, che osiamo aderire alla pretesa che la Chiesa ha di essere continuazione, presenza attuale di Cristo nel mondo. Per questo non temiamo il confronto con alcuno, certi che abbiamo da offrire a tutti Cristo, Colui che non è incontrabile per nessun’altra strada.
La Chiesa cattolica è «il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento», ebbe a scrivere il grande Chesterton, quasi cent’anni fa, scoprendo che la religione più antica si rivela sorprendentemente la più nuova, più nuova anche delle cosiddette religioni nuove – come protestantesimo, socialismo o spiritualismo –, perché, a differenza di esse, da duemila anni la tradizione e la verità cattoliche conservano intatta la propria validità.
Nel cristianesimo la risposta alle domande dell’uomo
La risposta a tutte le domande che ogni uomo si pone si trova nel cristianesimo, la sola risposta possibile a quell’aspirazione al Vero, al Bene, al Bello, al Giusto, che abita nel cuore di ciascuno di noi, è Cristo.
Tutte le religioni sono, infatti, un tentativo umano di raggiungere il Mistero, un tentativo umano di “balbettare” qualcosa di Dio e con Dio. In quanto tentativo, può anche essere buono: infatti la ragione umana può giungere ad alcune verità universali, non senza l’aiuto (anche non tematizzato) dello Spirito Santo. Il fatto che anche nelle altre tradizioni culturali possa esserci del vero e del bene, non può che rallegrarci, poiché diviene occasione di dialogo e di possibile comune cammino. Ma il Cristianesimo è tutt’altra cosa!
Il Cristianesimo non è un tentativo umano di raggiungere Dio, ma è l’annuncio, carico di stupore e gratitudine, del fatto storico che Dio ha raggiunto l’uomo in Gesù Cristo, Dio fatto uomo. «Quando giunse la pienezza dei tempi, Dio mandò il Suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge», ci ricorda San Paolo (Gal 4,4).
La dottrina è la carne di Cristo
Come ricordo nel libro, distinguiamo un piano più propriamente “pastorale” e dell’incontro umano, ed uno teologico-dottrinale: sappiamo che il primo dipende dal secondo, e non viceversa! Non è la teoria a dipendere dalla prassi (che in realtà è un principio marxista), ma, al contrario, una buona prassi pastorale discende da una buona teologia, ed una cattiva teologia porta a disastri pastorali. In questo senso, è bene correggere anche l’idea errata secondo la quale la teologia o perfino la dottrina sarebbero qualcosa di teorico, sarebbero idee! Non è così!
La dottrina è la carne di Cristo, la sua visibilità nel tempo e nella storia, esattamente come la Chiesa. È il modo concreto per dire, nel tempo, quanto l’evento della Rivelazione ci ha fatto conoscere di Dio e dell’uomo. Tradire la dottrina, dunque, può significare tradire Cristo stesso. Non vogliamo essere traditori dei nostri fratelli uomini, vogliamo invece condividere con loro la nostra speranza, desideriamo che accedano alla salvezza – per quanto ci è dato conoscere dalla Rivelazione e tenuta ferma la libertà di Dio di giudicare giusti quanti hanno rettamente seguito la legge naturale, che Lui stesso ha posto nei loro cuori. Fondare la nostra certezza sulla retta dottrina, cioè sul completo ed organico insegnamento di quanto Gesù ha operato, in segni ed in parole; che i Suoi Apostoli hanno tramandato come verità imparata da Lui direttamente e come tesoro della Prima Chiesa che intorno a Lui è nata, non ci permette di ritenere falso o incompleto quanto ci è stato consegnato. Lo Spirito ci illumina innanzitutto e normalmente attraverso quelle stesse parole che tanti nostri fratelli hanno ascoltato prima di noi, nei secoli.
Non occorre che inventiamo nulla; non vi è evoluzione della dottrina. Come un bimbo nel grembo di sua madre cresce e si sviluppa, nasce, vive da bambino, da ragazzo, e quindi giunge alla pienezza dell’età adulta, così la dottrina si sviluppa, fino all’incontro con il Signore della storia e del cosmo: non può e non deve rinnegare nulla di ciò che è stato, ma coglierne la provvidenzialità e portare agli uomini, secondo le necessità dei tempi, la Buona Notizia che non muta.
Lo sviluppo deve essere uno “sviluppo organico”, cioè è sempre necessario che il legittimo sviluppo ed approfondimento della verità rivelata, con il concorso ovviamente della ragione e sotto la guida dello Spirito Santo, sia assolutamente legato e dipendente dalla dottrina precedente, senza elementi assolutamente nuovi e disorganici, senza salti e, soprattutto, senza contraddizioni. Lo sviluppo, in tal senso, è sempre sviluppo di qualcosa che c’è, e che deve solo essere manifestato più compiutamente; non può mai essere una inserzione assolutamente innovativa di qualcosa di estraneo e di totalmente nuovo. Come nel semplice esempio che ho fatto: potremmo dire che un uomo si sviluppa, crescendo nel suo corpo, ma non gli cresce mai un terzo braccio o un secondo naso! Lo sviluppo deve sempre essere organico, ordinato, unitario.
Per questo possiamo, con giusto orgoglio, riaffermare quanto la Scrittura e la Tradizione della Chiesa sempre ci ricordano: «In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12).
Per questo stare davanti a Lui, come faceva San Tommaso accostando la sua testa al Tabernacolo – fino a mettervela dentro! – meditando quanto in quel momento Gesù ci vuole dire: attraverso la liturgia, attraverso la preghiera ordinata del Salterio, attraverso la testimonianza dei suoi santi – è già Grazia, è già inizio di cambiamento, di conversione, propria e del mondo.
Siamo certi e lieti – tentando di correggere i nostri limiti e consegnandoli a Chi li può superare – perché il Cristianesimo non è una strada tra le altre, ma è LA Strada! «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me», insegna Gesù (Gv 14,6). Parole inequivocabili, che indicano l’inaudita pretesa di Cristo: quella di essere Dio!
Crediamo che Dio si è fatto uomo, sappiamo che l’uomo è la via della Chiesa (RH 14): perciò nulla di ciò che è realmente umano (il male ed il peccato, infatti, non appartengono al progetto di Dio) è estraneo al cristianesimo ed alla Chiesa. In questo senso, l’Incarnazione è la ragione profonda di tutta la simpatia che la Chiesa ha per tutti gli uomini. Per questo motivo, a causa dell’Incarnazione, la Chiesa è stata baluardo a tutti i tentativi dei poteri di questo mondo di ridurre in schiavitù l’uomo, di opprimerlo, di snaturarlo, di distruggerlo.
Non è morto Dio, ma l’uomo che non lo riconosce
Un ulteriore aspetto che mi sembra necessario sottolineare, tra quanto trattato nel libro, è la diffidenza verso Dio: Dio è visto come un datore di principi morali e dunque come un ostacolo alla nostra libertà, alla nostra piena autonomia e realizzazione umana. L’uomo contemporaneo, l’uomo occidentale in particolare, vive il male del relativismo, di cui il nichilismo è diretta conseguenza, cosicché si lascia portare «qua e là da ogni vento di dottrina» (Ef 4,14-15).
Nietzsche dichiara, con una voce angosciata e senso di colpa: «Dove se n’è andato Dio? (…) Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? (…) Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dei, per apparire almeno degni di essa?».
Paradossalmente chi è morto non è Dio ma l’uomo, incapace di ascoltare e riconoscere questa Presenza nella storia. Dio stesso è ragione dell’esistenza di quanto ci circonda e fa splendere l’uomo e la sua intelligenza, offre una direzione ed un senso all’agire.
Nella sua visita al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, il 7 giugno del 1979, San Giovanni Paolo II, ripetendo quanto San Giovanni scrive nella sua prima lettera, ha affermato: «Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede (1Gv 5,4) […] Quella fede che fa nascere l’amore di Dio e del prossimo, l’unico amore […] che è pronto a "dare la vita per i propri amici". Vittoria di fede e di amore […] riportata in un luogo costruito per la negazione totale della fede – quella in Dio e quella nell’uomo – e per calpestare radicalmente non soltanto l’amore, ma tutti i segni della dignità umana. Luogo costruito sull’odio e sul disprezzo dell’uomo nel nome di un’ideologia folle, luogo costruito sulla crudeltà […] Nel posto in cui orrendamente fu calpestata la dignità dell’uomo, in nome dell’odio razziale e del disprezzo, la grande vittoria finale è stata riportata dalla fede e dall’amore».
Liberalismo morale ed etica globalista
Abbandonato Dio, si è fatta strada la convinzione che il liberalismo morale porti a un progresso della civiltà. Invece, l’osservazione della realtà evidenzia come questo preteso progresso sia, in realtà, una decadenza morale ed antropologica, una nuova forma di paganesimo che ha desacralizzato l’uomo e le sue relazioni: si pretende perfino di stabilire chi abbia diritto a vivere, e ne fanno le spese i più fragili: l’uomo nel grembo della sua mamma, l’anziano, il disabile, ultimamente tutti gli abbandonati, convinti di essere un peso per la società, per gli amici, e perfino per la propria famiglia.
La Chiesa, visceralmente preoccupata di salvare l’uomo integrale nel suo corpo e nella sua anima, ha sempre avuto come priorità l’evangelizzazione, l’educazione tramite la scuola e la salute umana aprendo dispensari e ospedali. In questa difesa dell’uomo, della sacralità della sua vita non possiamo consentire ai poteri di questo mondo, che si esprimono come governi nazionali o sovranazionali (pensiamo all’Onu ed alle sue diramazioni; ai patti militari di difesa che poi divengono di offesa) di dettare agende utilitaristiche e disumane. Diffidiamo della nuova etica globalista promossa dall’Onu; diffidiamo dell’ideologia di genere!
La vera ecologia
Non parleremo mai abbastanza di Dio, di Gesù Cristo, del suo Vangelo; non con parole nostre, inventate da noi, ma con la nostra stessa vita. L’ecologia, il cambiamento climatico, l’accoglienza dei migranti, il dialogo, la tolleranza reciproca, la pace, la democrazia, la libertà, sono certo questioni importanti: ma domandiamoci se sia proprio questo il mandato di Gesù alla sua Chiesa! Altra è l’ecologia che vogliamo perseguire, l’ecologia umana, la “conversione ecologica” umana, di cui parla Papa Francesco: siamo invitati a rinunciare a una concezione secondo la quale l’uomo deve possedere la natura e perfino la sua propria natura, in una logica di dominazione e di manipolazione tramite la tecnica (Papa Francesco, Laudato si’, 106-108).
Perché voler cambiare la propria natura? Perché violarla manipolandola? Perché voler cambiare di sesso mutilando inutilmente un corpo creato, voluto, da Dio? Noi non dobbiamo mutilarci per realizzarci secondo il nostro sentire o le nostre tendenze, in maniera diversa da ciò che Dio ha fatto di noi. Egli ci ha creati a sua immagine e sua somiglianza, maschio e femmina ci ha creati (cfr. Gn 1, 27). Ci distruggiamo se vogliamo negare o rifiutare d’essere nati uomini e donne, decidendo di mutilare la nostra natura di uomini o di donne. Al contrario, dobbiamo entrare in una logica di accoglienza della natura, della nostra natura propria, come un regalo, come un dono gratuito del Creatore che ci rivela qualche frammento della sua infinita sapienza. Non dobbiamo dominare o manipolare arbitrariamente la natura, la nostra propria natura, perché nessuno nasce in un corpo sbagliato! Come dice Papa Francesco, dobbiamo piuttosto «assecondare le possibilità offerte dalle cose stesse. Si tratta di ricevere quello che la realtà naturale da sé permette, come tendendo la mano».
La vita appartiene a Dio
Non facciamo della Chiesa una società umana e orizzontale, che parli un linguaggio mediatico che la renda popolare e con un messaggio accettabile! Amici miei, una tale chiesa non interessa a nessuno! Al mondo non serve una Chiesa che offra solo un riflesso, perfino sbiadito, del mondo stesso! Noi sappiamo che la vita appartiene a Dio, perché è data da Dio. Non ne siamo i padroni ma i custodi; nessun uomo può decidere di interrompere la propria vita. Nessuna legge, nessuna costituzione, nessun governo ha autorità, potere e diritto sulla vita di una persona. Non riconosciuto questo punto, tutto crolla! Poco alla volta qualsiasi etica può essere discussa e rimane solo la legge del più forte, che è barbarie: una donna più forte del figlio che porta in grembo; un adulto più forte di un bambino; un datore di lavoro di un dipendente; un multimiliardario più forte di una nazione. Abbandonato il freno dei principi che ci precedono, non più riconosciuti i diritti di Dio, quali saranno i diritti che possono essere riconosciuti agli uomini? Non arretriamo davanti a questo compito, non temiamo!
Alla Rivelazione non bisogna aggiungere né sottrarre nulla
Quando restiamo confusi? Quando ci vergogniamo? Quando diciamo le “cose di Dio”, l’insegnamento di Dio in modo confuso, ambiguo ed incerto, anzi falsificandole apertamente. Quando non abbiamo certezza del bene; quando abbiamo paura di dare testimonianza di ciò che abbiamo ricevuto, quando l’attesa della Gloria che si è manifestata e che si manifesterà non prevale su un interesse momentaneo. Non abbiamo nulla da inventare, non abbiamo nulla da aggiungere, nulla da sottrarre alla divina rivelazione, se non arricchirla della nostra personale adesione libera, perché ciò che ha attratto noi possa essere attraente anche per altri.
Questa premura, questa “febbre” di vita per il prossimo e per se stessi è ben descritta da S. Gregorio di Nazianzo: «Se non fossi Tu, o mio Cristo, mi sentirei creatura finita»; [letteralmente: “Se non fossi Tu, o mio Cristo, mi sarebbe stata fatta un’ingiustizia”]; «Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco. Mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole e di quanto la terra fruttifica. Poi, io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali, che non hanno peccati. Ma io, cosa ho di più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi Tu, o Cristo mio, mi sentirei creatura finita. O nostro Gesù, guidaci dalla Croce alla resurrezione e insegnaci che il male non avrà l’ultima parola, ma l’amore, la misericordia e il perdono. O Cristo, aiutaci a esclamare nuovamente: “Ieri ero crocifisso con Cristo; oggi sono glorificato con Lui. Ieri ero morto con Lui, oggi sono vivo con Lui. Ieri ero sepolto con Lui, oggi sono risuscitato con Lui”»[6].
Si può essere veramente utili al nostro prossimo, al mondo intero, solo come frutto di una vita di preghiera, di contemplazione, di silenzioso ascolto e di santità, di dialogo assiduo con Dio. La libertà non viene appena dalla “trasparenza”, oggi tanto invocata e così poco praticata, ma dalla certezza di agire e pensare, secondo la volontà di Gesù – così bene espressa nelle Sacre Scritture, di cui neppure uno iota (Mt 5,18) è stato cancellato –, immedesimandosi con Lui; volontà che va cercata e custodita, quotidianamente con gli strumenti che la Chiesa ci indica: la preghiera, il silenzio, l’adorazione, i Sacramenti.
L’Eucaristia è il Sacramento più vitale. È la vita della nostra vita. Il dono più prezioso che abbiamo ereditato. Ed una eredità si conserva, non può essere dissipata!
Progetto diabolico contro la Messa tridentina
«Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dare loro il giusto posto»[7].
Per questo, anche il fatto di progettare di cancellare definitivamente la Messa tradizionale tridentina, e cioè un rito che risale a San Gregorio Magno, una liturgia che ha 1600 anni, una Messa che ha fatto tanti Santi e che è stata celebrata da tanti Santi: San Padre Pio, San Filippo Neri, San Giovanni Maria Vianney (il Curato d’Ars), San Francesco di Sales, San Josemaria Escrivà, ecc. E tornando indietro fino a Papa Gregorio Magno (590-604) e anche fino a Papa San Damaso (366-384). Questo progetto, se è reale, mi sembra un insulto alla storia della Chiesa e alla Santa Tradizione, un progetto diabolico che vorrebbe rompere con la Chiesa di Cristo, degli Apostoli e dei Santi.
Il Papa non è un monarca assoluto
Papa Benedetto XVI ci fa ricordare che «il Concilio Vaticano I non ha per nulla definito il Papa come monarca assoluto, ma, al contrario, come garante dell’obbedienza nei confronti della Parola tramandata: la sua autorità è legata alla tradizione della fede: ciò vale proprio anche nell’ambito della Liturgia. Essa non viene ‘fatta’ da un apparato burocratico. Anche il Papa può essere solo umile Servitore del suo giusto sviluppo e della sua permanente integrità e identità... L'autorità del Papa non è illimitata; essa è al servizio della Sacra Tradizione. Ancor meno si può conciliare una generica "libertà" di fare, che si trasforma in arbitrarietà, con l'essenza della fede e della liturgia. La grandezza della liturgia – dovremo ripeterlo ancora di più – si fonda proprio sulla sua non arbitrarietà»[8].
A Gesù, per Maria
Viviamo intensamente ogni attimo della nostra vita! Intensamente non vuol dire freneticamente. Intensa è la vita in tensione, come la scintilla che testimonia il passaggio di corrente tra due poli. La nostra tensione è a Cristo, a Lui presente, a Lui atteso.
In questo ci aiuta la Sua Santa Madre: la prima creatura che Lo ha riconosciuto ed accolto, la prima che Lo ha portato – in quel singolare viaggio da sua cugina Elisabetta – come ostensorio vivente; la prima che Lo ha seguito sulla terra, facendosi figlia del suo Figlio; l’unica che è sempre presente dove Lui è presente. Lei, che ha propiziato il primo miracolo; Lei presente nel supremo sacrificio della Passione; Lei interceda per noi perché siamo degni di riceverlo in ogni nostro giorno, «finché Egli venga» (Cor 11,26).
Grazie!
[1] F. Trochu, Le Curé d'Ars Saint Jean-Marie Vianney, Lyon-Paris 1927, p. 223-224.
[2] Cardinal Joseph Ratzinger, Basilica di San Pietro, Lunedì 18 aprile 2005.
[3] Benedetto XVI, Esort. ap. Sacramentum caritatis, 84.
[4] Papa Benedetto XVI, Omelia durante la solenne concelebrazione eucaristica per l’assunzione del Ministero Petrino, 24 aprile 2005, in Insegnamenti di Benedetto XVI, Libreria editrice vaticana 2005, p. 25.
[5] Concilio Vaticano II, Decreto Unitatis Redintegratio n°3d.
[6] Gregorio di Nazianzo, Carmi, 2, 1, 74.
[7] Lettera di Sua Santità Benedetto XVI ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica Motu Proprio Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970.
[8] J. Ratzinger, Opera Omnia: Teologia della Liturgia, p. 158.
Dio esiste? Per Sarah la risposta si trova in ginocchio
Di fronte al grido dell'uomo che chiede salvezza non bastano le parole d'ordine di questo mondo, ma occorre annunciare che la nostra speranza ha un nome: Cristo, unico salvatore. Il cardinale presenterà questo volume con la Bussola a Milano il 20 gennaio al Teatro Guanella.