Santo Stefano, la chiesa rotonda a navate concentriche
Quando il pellegrinaggio delle sette chiese istituito da San Filippo Neri conobbe periodi di straordinaria affluenza, nel secondo giorno di cammino, invece che a San Sebastiano, si soleva celebrare la Santa Messa in Santo Stefano Rotondo sul Celio, uno dei più leggendari colli di Roma.
Quando il pellegrinaggio delle sette chiese istituito da San Filippo Neri conobbe periodi di straordinaria affluenza, nel secondo giorno di cammino, invece che a San Sebastiano, si soleva celebrare la Santa Messa in Santo Stefano Rotondo sul Celio, uno dei più leggendari colli di Roma, nel luogo dove un tempo sorgeva una caserma romana e, ancor prima, un mitreo di cui si vedono ancora oggi i resti. Voluta probabilmente da Papa Leone I (440 – 461) e consacrata ai tempi di Papa Sulpicio tra il 468 e i 483, già in origine, con le sue tre navate concentriche, questa chiesa era a pianta circolare nella quale si inseriva una croce greca, ricreando una planimetria analoga a quella del Santo Sepolcro in Gerusalemme.
Mosaici e lastre marmoree vennero posizionati all’interno dell’edificio negli anni Venti del VI secolo, contemporaneamente alla posa della cattedra di San Gregorio Magno dalla quale, si dice, il pontefice predicasse. Il trono, un antico sedile marmoreo, cui nel XIII secolo vennero asportati spalliera e braccioli e ora collocato a sinistra dell’ingresso, pare provenisse dal Colosseo. Quando nel XII secolo Teodoro I fece qui trasferire dalle catacombe sulla Nomentana le sacre spoglie dei santi martiri Primo e Feliciano, lungo il muro perimetrale si aprì una cappella la cui volta fu decorata con un mosaico in stile bizantino su fondo oro. I due santi, che indossano mantelli da viaggio, sono rappresentati su un prato fiorito, ai lati di una croce gemmata sormontata dal Cristo benedicente, secondo un’antichissima iconografia.
Spoliazioni, saccheggi e terremoti, susseguendosi, determinarono il progressivo declino della chiesa cui pose fine l’intervento di Papa Innocenzo II nel 1130, facendo chiudere le arcate del secondo anello e aggiungendo il portico esterno, con colonne tuscaniche che sorreggono cinque archi che ancora oggi fungono da accesso alla chiesa. Un’ampia cupola ricopre l’ambiente circolare più interno, suddiviso dalla navata circostante da colonne di granito, con capitelli ionici, sormontate da architrave continua sulla quale si innesta il tiburio. All’intervento di Niccolò V, che affidò il completo rifacimento della basilica all’architetto e scultore fiorentino Bernardo Rossellino, si devono le inserzioni rinascimentali, quali l’altare marmoreo centrale e il rivestimento del pavimento.
Nel 1583 sul muro perimetrale il Pomarancio dipinse il Martirologio, un ciclo di trentaquattro affreschi, inquadrati da altrettante colonne antiche, in cui il pittore rappresenta, con dovizia di particolari, le persecuzioni, le torture e le esecuzioni perpretrate da diversi imperatori, di cui è riportato il nome, a danno dei martiri. La basilica di Santo Stefano Rotondo al Celio è basilica minore e chiesa nazionale d’Ungheria.