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Santi Adamo ed Eva

Dopo il libero compimento del peccato originale e la cacciata dall’Eden, i nostri progenitori vissero una vita di preghiera e penitenza - come i Padri della Chiesa hanno insegnato e in accordo alle tracce contenute nell’Antico Testamento - morendo riconciliati con Dio

Santo del giorno 24_12_2019 English Español

Il 24 dicembre ricorre la memoria liturgica dei santi antenati di Gesù, tra i quali la Chiesa venera Adamo ed Eva. Dopo il libero compimento del peccato originale e la cacciata dall’Eden, i nostri progenitori vissero una vita di preghiera e penitenza - come i Padri della Chiesa hanno insegnato e in accordo alle tracce contenute nell’Antico Testamento - morendo riconciliati con Dio e in attesa della salvezza promessa per i giusti che si sarebbe compiuta con il nuovo Adamo, Cristo, incarnatosi grazie al fiat della nuova Eva, Maria, inizio di una nuova creazione che supera in gloria l’originaria perché redenta dai meriti di Nostro Signore, obbediente fino alla Croce. In questo senso la liturgia pasquale recita: «O felice colpa, che ha meritato un tale e così grande Redentore».

Adamo ed Eva vissero e morirono perciò nella speranza della Redenzione, che era stata misteriosamente predetta da Dio proprio dopo la loro disobbedienza, nel mentre di quel primordiale dramma in cui pensarono di non poter recuperare l’amicizia con Lui («ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto»), che invece non li abbandonò, annunciando nelle parole rivolte al serpente tentatore ciò che la Tradizione ha chiamato «protovangelo» della salvezza, poiché, spiega il Catechismo, «è il primo annunzio del Messia Redentore, di una lotta tra il serpente e la Donna e della vittoria finale di un discendente di Lei». Si tratta del celebre versetto della Genesi: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gn 3,15). È l’inizio del combattimento spirituale che da allora accompagnerà la vita terrena di ogni uomo, chiamato a combattere, con l’aiuto della grazia di Dio, per restare unito al bene.

L’esperienza di Adamo ed Eva - creati in uno stato di santità e giustizia originali, partecipi della vita divina, in perfetta armonia tra loro e con tutta la creazione, dove non esistevano né morte né sofferenze - mostra già all’inizio della storia dell’uomo l’infinita misericordia di Dio, che cerca fino all’ultimo di attrarre a Sé la sua creatura, amata al di sopra di tutto il creato: ne ha compassione nonostante il tradimento della Sua amicizia («il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì») e arriva a donarle le grazie necessarie per la santificazione. I progenitori, dopo aver abusato della loro libertà, cadendo nell’inganno di Satana di poter diventare «come Dio», ma «senza Dio e anteponendosi a Dio, non secondo Dio» (san Massimo il Confessore), sperimentarono tutto l’orrore del peccato; e nel loro stato di pellegrini sulla terra ebbero il merito di riconoscere la loro colpa e di vivere per espiarla, stavolta assecondando la grazia.

Si ha un segno di questo riconoscimento di Dio nelle parole che Eva pronuncia dopo aver partorito Caino: «Ho acquistato un uomo dal Signore» (Gn 4,1). Sono parole di lode all’Onnipotente. I progenitori comprendono cioè di essere stati resi partecipi, in «una sola carne», della Sua opera di creazione più alta. Pochi versetti più avanti l’autore sacro, spesso scarno, riferisce un ringraziamento in tutto simile per la nascita del terzo figlio, chiamato Set: «Perché - disse - Dio mi ha concesso un’altra discendenza al posto di Abele, poiché Caino l’ha ucciso». Le discordie tra gli uomini, che sono sempre liberi ma feriti nella loro natura in conseguenza del peccato originale, li precipitano in un abisso senza fine, eppure Dio continua a non abbandonarli propiziando una nuova discendenza. Set diventa padre di Enos e il capitolo 4 della Genesi si chiude con una notizia significativa: «Allora si cominciò a invocare il nome del Signore». Un Signore che perdona chi ha contrizione per i propri peccati e lo riconosce come Padre e fine ultimo.

La santità raggiunta, o si potrebbe dire recuperata, da Adamo ed Eva ci ricorda che, finché si è nello stato della prova (il nostro stato qui sulla terra, prima del Giudizio), Dio non fa mancare il suo aiuto all’uomo disposto ad accoglierlo. Ricorda anche tutte le conseguenze concrete del peccato originale, che il mondo oggi preferisce ignorare e deridere mentre crede ciecamente a una pseudo-teoria secondo cui l’uomo, l’unica creatura dotata di intelletto e chiamata a conoscere e amare Dio, avrebbe un antenato in comune con la scimmia [per un approfondimento sul tema, vedi Evoluzionismo. Dubbi e obiezioni, di Marco Respinti; Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, del fisico Antonino Zichichi].

Non è questo il luogo per esporre la dottrina sul peccato originale, basti ricordare che la Chiesa insegna con chiarezza che «il racconto della caduta (Gn 3) utilizza un linguaggio di immagini, ma espone un avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all’inizio della storia dell’uomo» (CCC 390). È alla luce di quel fatto che si riempie di senso il mistero di Cristo incarnato e morto in croce, secondo quell’intima connessione che san Paolo sintetizzò così: «Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia». I progenitori caduti, e ravvedutisi, a questa grazia hanno saputo credere.

Per saperne di più:

Catechismo della Chiesa Cattolica, L’uomo (punti 355-384); La caduta (punti 385-421)