Sant'Eligio, come glorificare Dio con l'arte orafa
Grandissimo artista dell'oro già nel VII secolo, anticipatore del Rinascimento, San'Eligio di Noyon, facendosi apprezzare anche per l'attenzione ai bisognosi e per la costruzione di chiese e monasteri, ha servito nella corte di Clotario II e suo figlio Dagoberto I.
- LA RICETTA: NOYONNETTE
Il giovane re è seduto su una sedia con alti braccioli, posata su una piccola pedana rivestita di tessuto blu. La barba bionda e riccioluta e le labbra carnose gli conferiscono una certa sensualità. I suoi occhi di un azzurro acceso, sono puntati sulla grande porta che si apre sulla sala del trono. Finalmente la porta si apre e un giovane vestito semplicemente avanza verso di lui. Il giovane si inchina e il re gli da il benvenuto. Poi gli chiede se ha portato con sé il trono che gli aveva ordinato e se l’oro che gli aveva dato per la sua costruzione era bastato.
Il giovane artigiano fa un segno e due aiutanti portano nella sala un magnifico trono realizzato completamente in oro massiccio. Lo posano ai piedi del re, che si alza dalla sua poltrona e viene ad ammirarlo. È evidentemente compiaciuto, gli occhi le brillano e un sorriso soddisfatto gli inonda il viso. Ma l’artigiano fa un cenno ai suoi assistenti, che escono e ritornano subito portando un secondo trono, più piccolo, ma sempre in oro massiccio e di magnifica fattura.
Davanti allo stupore del re, il giovane gli spiega che l’oro era in quantità sufficiente per costruirne due. Il re non riesce a nascondere la meraviglia davanti a tanta onestà.
Quel giorno di agosto dell’anno 614, tra i due uomini sarebbe nato un sodalizio che sarebbe durato anche oltre la morte del re, il quale altri non è che Clotario II (584-629) re dei Franchi, pro-nipote di Clodoveo. Davanti a lui c’è Eligio di Noyon (588-660). Era nato in una cittadina di provincia vicino a Limoges da una famiglia molto modesta, ma dimostrò fin da subito di avere un dono, una grande abilità nel costruire oggetti preziosi. Così fu mandato a bottega presso un orefice del luogo, Abbone, e la sua fama crebbe in pochissimo tempo, tanto da attirare l’attenzione del re che gli aveva affidato una quantità sufficiente d’oro per costruire il trono.
Grazie all’episodio dei due troni, Eligio fu nominato dal re orafo di corte e maestro della zecca. Continuò a farsi promotore dell'arte orafa. La leggenda gli attribuisce numerose opere (oggi in gran parte perdute): i vasi sacri e altri arredi per le chiese parigine di Notre Dame e Saint Denis, di Saint Loup a Noyon, di San Martino a Limoges e per l'abbazia di Chelles.
Il successore di Clotario, suo figlio Dagoberto I (603 – 639), promosse Eligio alla carica di tesoriere. In quegli anni, visto il suo talento di paciere, il re lo incaricò anche di alcune delicate missioni diplomatiche, rimaste nella storia: per esempio, ristabilì la pace tra i Franchi e i Bretoni convincendo il re Giudicaele a dichiararsi suddito di Dagoberto. Alla corte franca ebbe modo di conoscere numerosi personaggi destinati ad essere proclamati santi, come Sulpizio, Desiderio e Audoeno.
Eligio usava gli importanti mezzi finanziari di cui disponeva per aiutare i bisognosi. La sua ”specialità” era il riscatto dei prigionieri, ma aiutava tutti i poveri e i malati le cui strade si incrociavano con la sua. Aveva un discepolo, anche lui diventato santo - San Tillon (Thillon) - volgarmente Til o Théau -, figlio di uno dei capi sassoni schiacciato da Clotario II e venduto come schiavo, che Eligio aveva riscattato dalla schiavitù e formato alla vita cristiana e che divenne abate di Solignac prima di ritirarsi come eremita a Brageac.
Inoltre, Eligio finanziò la costruzione di numerose chiese e monasteri secondo la regola di San Colombano di Luxeuil. Nel 632 fondò un monastero a Solignac, a capo del quale pose l'abate Remaclo e nel 633 il monastero femminile di San Marziale di Parigi (che poi divenne il convento di Sant'Eligio), a capo del quale pose la badessa Aurea.
Nel 639 Dagoberto I morì, e un anno più tardi Eligio, benché ancora laico, fu elevato vescovo della diocesi di Tournai. Successivamente venne consacrato: era il 13 maggio 641. Da quel momento in poi, Eligio si dedicò alla conversione dei pagani ancora presenti nella sua vasta diocesi (soprattutto nella parte settentrionale); promosse il culto dei santi di cui rinvenne alcuni corpi (San Quintino, San Luciano di Beauvais) e di cui avrebbe realizzato anche i rispettivi reliquiari.
Dopo la sua morte, sant'Audoeno redasse la sua biografia; ispirandosi a questa anche Jacopo da Varagine (1228-1298) scrisse una sua vita, arricchendola di numerosi episodi desunti da leggende popolari, che inserì nella Legenda Aurea.
Sant’Eligio è autore di un miracolo: avrebbe riattaccato la zampa a un cavallo, sotto la guida di Gesù di cui ebbe una visione. Questo episodio lo ha reso molto popolare nel Medioevo e fece di lui il patrono dei maniscalchi e dei veterinari (oltre ad essere quello degli orafi e dei numismatici). Il Martirologio Romano fissa la sua memoria liturgica alla data del 1º dicembre e nel giorno della sua festa, in alcune località francesi si effettua la benedizione dei cavalli. La tradizione si rileva anche in Italia, ad esempio a Sciara, nella città metropolitana di Palermo e al Casale del Pozzo di Nocera Inferiore in provincia di Salerno; il suo culto è attestato anche a Sansepolcro, in Alta Valle del Tevere, dove trova spazio nella chiesa di Sant'Antonio Abate, sede sia dell'omonima confraternita che della corporazione degli orafi.
Eligio portò l'arte dell'oreficeria a uno straordinario grado di perfezione per il suo tempo: le sue opere più notevoli furono i bassorilievi della tomba di Saint Germain, vescovo di Parigi; ha creato anche un un gran numero di reliquiari destinati a contenere sacre reliquie; i due sedili d'oro arricchiti di pietre preziose, che eseguì per Clotario II e molte altre di queste opere si potevano ancora vedere nel 1789, prima che venissero distrutte dalla Rivoluzione francese. Contribuì inoltre largamente all'erezione di numerosi monumenti religiosi.
Eligio è diventato Santo sotto Pio XI per il riconosciuto miracolo operato da Dio per sua intercessione nel 1937 alla tarantina Angela Mignogna affetta da un tumore all'utero.
È solitamente raffigurato come vescovo o come orefice, o più raramente con attributi di entrambi i mestieri.
Il fascino della sua storia sta nella sua complessità umana: è un uomo del Rinascimento, secoli prima che questo periodo storico esistesse. Artista e artigiano senza pari, diplomatico e ministro, vescovo, ma soprattutto uomo di fede e di carità, in poche parole, un uomo di Dio.