Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santi Pietro e Paolo a cura di Ermes Dovico
cinema e chiesa

Sant'Antonio merita un film all'altezza della sua santità

Su sant'Antonio di Padova sono stati girati due film, ma dai contenuti inventati e di scarsa qualità. La vita del santo portoghese è invece molto importante da conoscere e non per niente è molto popolare e dispensatore di grazie.

Ecclesia 28_06_2025

Il 13 giugno, giudiziosamente, la tivù dei vescovi ha ri-mandato in onda Sant’Antonio di Padova, film televisivo della LuxVide del 2002. Poiché la trama è abbondantemente di fantasia, il santo è interpretato da quello che vent’anni fa era un bellone del cinema italiano, Daniele Liorni. E nel cast c’è pure Vittoria Puccini, che qualche tempo dopo fu per il teleschermo santa Rita da Cascia. Completa il quadro Enrico Brignano.

Qui Antonio si sarebbe fatto frate per via di un duello e di un amore. Vabbè, sempre meglio di Antonio guerriero di Dio di quattro anni dopo, con uno stralunato Jordi Mollá. In verità sappiamo che Antonio non era affatto bello: bassino, bruttino, di colorito olivastro e glabro come Mario Giordano. Com’è noto, non si chiamava Antonio ma Fernando de Bulhões perché era portoghese. Nobile sì, e si dice fosse dello stesso casato di Geoffroy de Bouillon, quel Goffredo di Buglione che, prima di coprirsi di meritata gloria alle Crociate, aveva combattuto per la parte sbagliata: quella dello scomunicato Enrico IV contro Matilde di Canossa e il papa Gregorio VII.

Non fu mai cavaliere, anche se il padre insisteva in tal senso. L’uomo cambiò idea quando, avendo lasciato il ragazzino a scacciare passeri da un suo campo di grano, al ritorno lo trovò assorto in preghiera. I passeri? Tutti dentro al capanno, in attesa che il giovane Fernando desse loro facoltà di uscirne. Così ebbe il permesso di farsi canonico agostiniano a Coimbra, in uno degli ordini più colti. Ma quando vide i cadaveri dei cinque Protomartiri francescani che il loro fondatore aveva mandato a predicare ai musulmani d’Africa volle essere dei loro.

E fu il solo francescano a cambiare nome: Antonio, come il Padre del deserto. Andò in Marocco, ma anziché il martirio trovò la malaria e tornò in Europa passando dalla Sicilia (per cui è il patrono del paese in cui sono nato io, che ancora gli fa festa grande). Non si può qui ripercorrerne tutta la vita (chi fosse interessato rimando al mio libro Io e il diavolo, Mondadori, riedito da Lindau), solo i momenti significativi. Il Poverello era contrario alla cultura, perché a quel tempo insuperbiva. Si ricredette quando venne a sapere di Antonio. Questi, adibito alla cucina, fu scelto per una predica in ripicca ai rivali domenicani.

E si accorsero che l’umile cuoco era un’arca di scienza. Francesco, saputolo, lo autorizzò a creare uno “studio” per i Minori. Anzi. Poiché la Chiesa a quel tempo aveva, tanto per cambiare, due nemici, uno interno, il catarismo, e uno esterno, l’islam, al secondo provvide di persona andando a conferire con il Sultano. Per il primo mandò il suo uomo migliore, Antonio, in Provenza (patria dell’amata madre di Giovanni, che in omaggio a lei era stato chiamato Francesco). Altro luogo infestato era Rimini, dove Antonio si produsse nella famosa predica ai pesci. Uno potrebbe pensare: be’, Francesco lo faceva con gli uccelli. Sì, ma Francesco era così malato e senza voce che lo stridio dei volatili copriva le sue parole, per questo li pregò di tacere.

Antonio sapeva che i catari erano “vegani” e degli animali consideravano solo i pesci, unici sopravvissuti al Diluvio. Poiché, sapendo che sarebbe venuto a predicare, a forza di intimidazioni gli fecero trovare la piazza vuota, Antonio si portò alla spiaggia. Qui i pesci, cari ai catari, mostrarono a tutti di preferire lui. Sempre a Rimini, in altra occasione, la mula tenuta a digiuno dal capo cataro scelse non il secchio di avena, ma di inginocchiarsi davanti all’ostensorio di Antonio.

Padova, infine: qui, prima al mondo, la città smise di carcerare i debitori che non potevano pagare e scrisse chiaro nell’editto che ciò era per l’intercessione di Antonio (nella foto LaPresse la traslazione della sua salma nella basilica di Padova). Molti altri miracoli fece il Nostro, tanto che, ancora oggi, è l’unico Santo “colto” che a tal uopo viene invocato. Ci si faccia caso: i giganti della teologia come Tommaso e Agostino non hanno, nelle chiese, tutti i lumini accesi che ha lui. E non c’è chiesa senza una sua effigie. Insomma, ci sarebbe materia per kolossal con tanto di effetti speciali. Ma mai dire mai: gli Usa sono ormai così pieni di latinos che qualche produttore potrebbe farci un pensiero.