Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico

Sant’Antonio di Padova

San Francesco lo chiamava "mio vescovo". Gregorio IX rimase così colpito dalla sapienza del giovane predicatore da chiamarlo “Arca della Testimonianza” e “Scrigno delle Scritture”. Fu lo stesso papa che lo proclamò santo, al termine del processo di canonizzazione più veloce della storia (conclusosi 352 giorni dopo la morte) grazie anche ai 53 miracoli attribuiti all'intercessione di Antonio

 

Santo del giorno 13_06_2021 English Español

Nel 1228, Gregorio IX ebbe modo di conoscere sant’Antonio di Padova (1195-1231), che era giunto a Roma per salvaguardare l’unità dell’Ordine francescano, a rischio dopo la morte di san Francesco (1181-1226). Il papa rimase così colpito dal giovane predicatore da chiamarlo “Arca della Testimonianza” e “Scrigno delle Scritture”.

Il santo era nato a Lisbona il 15 agosto 1195 da una famiglia benestante, che l’aveva battezzato con il nome di Fernando. A quindici anni entrò tra i Canonici regolari della Santa Croce e due anni più tardi chiese di potersi trasferire da Lisbona a Coimbra, perché desiderava un maggiore raccoglimento con Dio. Al monastero di Coimbra, dotato di una grande biblioteca, poté approfondire lo studio della Bibbia e dei Padri della Chiesa. Nel 1220, mentre il suo Ordine subiva le ingerenze del re portoghese, avvenne un fatto decisivo nella vita di Fernando, intanto divenuto sacerdote: vide passare a Coimbra le salme dei cinque protomartiri francescani (Berardo, Pietro, Ottone, Adiuto e Accursio), decapitati in Marocco, dove erano stati inviati da san Francesco per convertire i musulmani a Cristo.

Per don Fernando fu una chiamata alla missione. Ottenuto il permesso, lasciò i canonici agostiniani e si unì a un romitorio di francescani. Segnò il suo nuovo inizio religioso con un cambio di nome: decise di chiamarsi Antonio, in onore di sant’Antonio Abate. Desiderando la grazia del martirio, ottenne di andare con un confratello in Marocco, ma qui una malattia gli impedì di predicare. Si convinse a tornare in patria, ma una tempesta spinse la nave fino alle coste siciliane. In Sicilia il santo venne a contatto con i frati di Messina, dai quali apprese la notizia del Capitolo Generale convocato da san Francesco per la Pentecoste del 1221. Antonio risalì a piedi l’Italia insieme ai confratelli e dopo diverse settimane giunse ad Assisi: qui, dal 30 maggio all’8 giugno, si tenne quello che passò alla storia come il “Capitolo delle Stuoie”, così chiamato perché il piccolo ‘esercito’ di francescani (erano circa 3.000) si accampò in capanne fatte di stuoie.

Il frate portoghese, sconosciuto ai più, trascorse quei giorni in umile ascolto delle decisioni che venivano prese nel suo nuovo Ordine. Alla fine venne indirizzato a un eremo vicino a Forlì, dove visse per un anno dedicandosi ai lavori più modesti, tra digiuni e orazioni. Nel settembre 1222 fu chiamato improvvisamente dal superiore a tenere un discorso esortativo per i chierici che stavano per ricevere l’ordinazione sacerdotale: l’uditorio, al sentire con quale trasporto per Dio parlava Antonio, ne rimase ammirato. Informati del suo straordinario talento, i superiori di Assisi lo indirizzarono alla predicazione nell’Italia settentrionale. Qui la fede di Antonio operò tra l’altro il miracolo eucaristico di Rimini, detto anche “della mula”, perché l’animale, su comando del santo, si inginocchiò davanti all’Ostia consacrata, causando la conversione di un eretico di nome Bonovillo che dubitava della Presenza reale di Gesù nell’Eucaristia.

Univa il fermo annuncio della verità alla dolcezza d’animo, e venne chiamato “il martello degli eretici”. Fece presente ai superiori che il contrasto alle eresie richiedeva una solida conoscenza della dottrina cattolica. San Francesco gli diede il benestare per la fondazione a Bologna del primo studio teologico francescano, un passo fondamentale nella storia dell’Ordine: “A frate Antonio, mio vescovo, frate Francesco augura salute. Mi piace che tu insegni teologia ai nostri fratelli, a condizione però che, a causa di tale studio, non si spenga in esso lo spirito di santa orazione e devozione, com’è prescritto nella Regola”. Lo stesso Francesco, nel 1224, lo inviò come missionario in Francia per continuare nella sua opera di conversione degli eretici catari. Ritornò in Italia dopo la morte del santo d’Assisi e nel 1227 venne nominato ministro provinciale per l’Italia settentrionale. Fu allora che, pur continuando a viaggiare, stabilì la sua dimora abituale nel convento di Padova. In quegli anni le sue prediche, che spaziavano dalle verità di fede alla purezza di vita, erano ormai seguite da enormi folle di fedeli. Inoltre, stava lunghe ore in confessionale.

A Padova terminò la stesura del secondo volume dei Sermoni, nei quali è centrale la riflessione sul mistero di Cristo. Un mistero in cui il fedele si può addentrare con la preghiera e l’amore per Maria, che Antonio definì “Capolavoro dell’Altissimo”. Si disse certo della sua Assunzione in anima e corpo, più di sette secoli prima della solenne proclamazione del dogma da parte di Pio XII, che infatti citò il santo nella Munificentissimus Deus del 1950. Quattro anni prima, sempre papa Pacelli aveva onorato sant’Antonio come Doctor Evangelicus, dichiarandolo ufficialmente dottore della Chiesa. Va detto comunque che già Gregorio IX lo aveva invocato come tale il 30 maggio 1232 (al termine del processo di canonizzazione più veloce della storia, grazie anche ai 53 miracoli attribuiti all’intercessione di Antonio), quando lo proclamò santo: “O dottore della Chiesa, beato Antonio, amatore della divina parola, prega per noi il Figlio di Dio”.

Gesù e Maria furono le sue stelle polari fino agli ultimi giorni terreni. Fu in quei giorni che il conte Tiso, un amico presso il quale si era ritirato in preghiera nel giugno 1231, avvicinandosi alla stanzetta del santo, con la porta socchiusa, vide una luce intensissima: era Gesù Bambino, in braccio ad Antonio. Il 13 giugno, capendo che gli rimaneva poco da vivere, chiese di essere riportato a Padova perché lì desiderava morire. Spirò in un ospizio vicino al monastero delle clarisse e poco distante dalle mura cittadine. I confratelli gli intonarono il suo inno mariano preferito, O gloriosa Domina. Tornò al Padre dopo aver detto: “Vedo il mio Signore”.

Patrono di: Brasile, Portogallo; poveri, oppressi, orfani, prigionieri, naufraghi, bambini malati, donne incinte, viaggiatori, pescatori, nativi americani, fidanzati, matrimonio, invocato contro la sterilità e per ritrovare la fede, la salute e le cose perdute

Per saperne di più:

Sermoni di sant’Antonio di Padova; preghiera Si quæris miracula