Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
Autore di una monumentale Teologia Morale, onorato dalla Chiesa con il titolo di Doctor Zelantissimus, sant'Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787) visse nel «secolo dei lumi», sapendo ridare la giusta misura alla ragione e scrivendo opere basilari di apologetica, come Verità della fede. Che inizia con una preghiera a Maria e si sviluppa in tre parti volte a confutare i materialisti che negano l’esistenza di Dio, i deisti che respingono la Rivelazione, i settari che negano la verità e unicità della Chiesa cattolica
Insigne teologo moralista, compositore di celebri melodie in napoletano e italiano (è sua «Tu scendi dalle stelle»), capace di parlare delle verità di fede sia ai dotti che ai semplici, autore di oltre cento opere, alcune delle quali tradotte in più di 70 lingue. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), fondatore dei Redentoristi e onorato dalla Chiesa con il titolo di Doctor Zelantissimus, visse quasi 91 anni e la sua vita terrena può ben considerarsi una pioggia di grazie celesti, in un’epoca in cui l’illuminismo spargeva i suoi errori in Europa. Nel «secolo dei lumi» che escludeva Dio dal suo orizzonte, il santo ridava la giusta misura alla ragione e scriveva opere basilari di apologetica, come Verità della fede, che inizia con una preghiera a Maria e si sviluppa in tre parti volte a confutare i materialisti che negano l’esistenza di Dio, i deisti che respingono la religione rivelata, i settari che negano la verità e unicità della Chiesa cattolica.
Alfonso era nato in un sobborgo di Napoli, primo degli otto figli di una nobile e ricca famiglia. Fin dalla giovinezza manifestò la sua carità nel visitare i malati e aiutare i bisognosi. A soli 16 anni conseguì la laurea in diritto civile e canonico e per otto anni praticò brillantemente la professione di avvocato, che abbandonò dopo una causa persa forse perché deluso dall’ambiente forense. Decise di consacrarsi a Dio e a trent’anni venne ordinato sacerdote. Iniziò a predicare tra gli strati più umili di Napoli, in case e botteghe, esortando il popolo ad abbandonare i vizi e fortificarsi nelle virtù con l’aiuto della preghiera. I risultati furono straordinari, portando a un autentico risanamento morale e sociale, che culminò in quelle che passarono alla storia come «Cappelle serotine», perché l’arcivescovo spinse il santo a fare le riunioni nelle cappelle per coinvolgere ancora più fedeli.
Nel 1732 lasciò la sua Napoli e il 9 novembre fondò a Scala quella che oggi è la congregazione del Santissimo Redentore, con il fine di predicare ai poveri nelle campagne. Malgrado gli ostacoli incontrati nel Regno di Napoli, dove il laicismo iniziava a emergere, i redentoristi andarono via via affermandosi grazie al loro semplice stile di predicazione. Intanto Alfonso si dedicava alla stesura dei suoi scritti, tra i quali spiccano - oltre alla monumentale Teologia Morale - alcuni testi di immediata lettura, divenuti dei classici della spiritualità cristiana, come La pratica di amar Gesù Cristo («la più devota e utile delle mie opere» la definì nel 1768) e Le glorie di Maria, che riflettono la sua pietà cristocentrica e perciò genuinamente mariana. Per onorare l’Incarnazione s’inginocchiava ogni volta al suonare delle campane di mezzogiorno, ovunque si trovasse.
Amava l’adorazione eucaristica: «Fra tutte le devozioni, questa di adorare Gesù sacramentato è la prima dopo i sacramenti, la più cara a Dio e la più utile a noi». E insegnava ad affidarsi alla Madonna come via privilegiata e sicura verso il Figlio. «Devotissimo di Maria, egli ne illustra il ruolo nella storia della salvezza: socia della Redenzione e Mediatrice di grazia, Madre, Avvocata e Regina», ha spiegato Benedetto XVI in una catechesi sul santo. Contro l’eresia giansenista che allontanava il popolo dai sacramenti, esortava i fedeli ad accostarsi con frequenza alla Confessione e ricordava ai sacerdoti di essere segni visibili della Misericordia di Dio, così da favorire la conversione del peccatore. Centrale, per l’eternità, è la costanza nel pregare: «Dio non nega ad alcuno la grazia della preghiera, con la quale si ottiene l’aiuto a vincere ogni concupiscenza e ogni tentazione. E dico e replico e replicherò sempre, sino a che avrò vita, che tutta la nostra salvezza sta nel pregare».
Nel 1762 Clemente XIII lo volle vescovo di Sant’Agata de’ Goti, ministero cui rinunciò 13 anni dopo per una sempre più grave artrosi che gli incurvava la spina dorsale. Già da tempo aveva scritto un’altra preziosa opera ascetica, Apparecchio alla morte, amata da santi come Giovanni Bosco e Gemma Galgani, in cui Alfonso sottolinea l’importanza di istruire i fedeli sui Novissimi (morte, giudizio, Inferno, Paradiso), come necessaria opera di misericordia spirituale per aiutare l’anima a vivere e morire in grazia di Dio. Il beato Pio IX apprezzava a tal punto questo libro che un giorno lo raccomandò vivamente in un seminario, nonostante il rettore gli avesse detto che i suoi allievi lo conoscessero già: «Lo rileggano, lo rileggano ancora, perché saperlo anche a memoria c’è sempre frutto da riceverne». Inutile dire che sant’Alfonso, alla sua morte, ci arrivò preparatissimo. Il 29 luglio 1787, all’inizio dell’agonia, chiese un’immagine dicendo: «Datemi la Madonna». L’1 agosto tornò alla casa del Padre, mentre le campane annunciavano l’Angelus.
Patrono di: avvocati, confessori, moralisti
Per saperne di più:
Opera omnia di sant’Alfonso (in italiano)