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EDITORIALE

Santa Sede-Onu, meglio prevenire che curare

Oggi e domani audizione della Santa Sede sulla Convenzione Onu contro la tortura, un'altra occasione per attaccare la Chiesa su pedofilia e aborto. Ma il rappresentante vaticano a Ginevra ha già diffuso un documento di risposta.

Editoriali 05_05_2014
Sede Onu a Ginevra

Prevenire è meglio che curare. Così l’Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra si è preparato all’audizione di oggi e domani davanti al Comitato Onu per la Convenzione contro la Tortura diffondendo un documento (ALLEGATO IN FONDO ALL'ARTICOLO) in cui spiega la posizione della Santa Sede in materia e risponde già alle possibili – e scontate – obiezioni.

Si tratta di una saggia iniziativa del rappresentante vaticano a Ginevra, monsignor Silvano Tomasi, che fa tesoro di quanto accaduto lo scorso febbraio quando un’analoga audizione davanti al Comitato Onu per la Convenzione sui diritti del fanciullo fu trasformata da alcuni membri del Comitato, da Organizzazioni non governative e parte della grande stampa internazionale in un indecoroso processo alla Santa Sede sulla pedofilia con richiesta finale di cambiare dottrina su aborto, contraccezione, sacerdozio delle donne (leggi qui). Si trattò allora di un piano ben orchestrato che trovò una risposta timida e tardiva da parte della Segreteria di Stato (leggi qui).

Oggi e domani la Santa Sede potrebbe trovarsi in una analoga situazione e per questo il rappresentante a Ginevra ha pensato bene di prendere qualche contromisura. Intanto va spiegato che queste audizioni sono pura routine: tutti gli Stati firmatari di una Convenzione Onu sono tenuti ogni quattro anni a presentare una relazione su quanto fatto in attuazione della Convenzione stessa. Poi i membri del Comitato fanno domande o pongono obiezioni, gli Stati rispondono e infine il Comitato tira le somme e fa delle raccomandazioni se necessario. Oggi e domani, insieme alla Santa Sede saranno sentiti altri sette Stati, tra cui Montenegro, Thailandia, Guinea.

Tutto in genere si svolge tranquillamente, e relazioni e valutazioni finali non oltrepassano mai le porte del Palazzo dell’Onu. Ma quando tocca alla Santa Sede si può stare sicuri che scoppia il putiferio: l’audizione diventa un “processo”, le domande si trasformano in “capi d’accusa” e le valutazioni finali sono una sicura “condanna”.

Il perché lo sappiamo già: la Chiesa cattolica è l’unico vero punto di resistenza alle lobby che di fatto controllano le agenzie Onu – ma anche la gran parte dei media mondiali - e che propagandano aborto, contraccezione, omosessualità. L’infiltrazione è tale che ogni documento internazionale diventa il pretesto per far passare questi concetti, e i Comitati Onu chiamati a verificare l’applicazione delle Convenzioni internazionali, travalicano sistematicamente il loro mandato per cercare di inserire regole e interpretazioni che nella Convenzione non si trovano. Per questo si fa guerra alla Chiesa cattolica in tutti i modi e ogni qualvolta se ne presenta l’occasione. Si spera che in questi mesi anche la “nuova gestione” della Segreteria di Stato abbia capito l’antifona e supporti adeguatamente il lavoro dell’Osservatore Permanente, e se ci fosse ancora un attacco come quello di febbraio intervenga con decisione.

Ad ogni modo la linea impostata dalla rappresentanza vaticana a Ginevra si basa su alcuni punti fermi, visto che sono facilmente prevedibili i punti d’attacco del Comitato, vale a dire la pedofilia e l’aborto. Che c’entrano con la tortura? Nulla, soprattutto con la Convenzione firmata dagli stati, ma si cerca di far passare come tortura gli abusi sui minori (tema che però è trattato dalla Convenzione sui diritti del fanciullo) e le conseguenze psicologiche sulla donna che viene impedita di abortire (ma anche di questo non c’è traccia nella Convenzione).

Quanto agli abusi sui minori, oltre a ribadire che nessuno come la Chiesa cattolica ha fatto tanto per fermare questi abusi e offrire sostegno alle vittime, viene spiegata una questione importante: quando firma una Convenzione la Santa Sede ne è responsabile solo per quel che riguarda la Città del Vaticano. Cioè è responsabile delle leggi e degli atti che riguardano l’amministrazione del proprio territorio, non certo di ciò che fanno i cattolici sparsi per il mondo. Su questi ultimi la Santa Sede esercita solo un’autorità morale, la cui obbedienza è peraltro affidata alla libertà dei singoli. E sarebbe strano il contrario, visto che altrimenti si configurerebbe un’ingerenza negli affari interni di un altro paese. Insomma, la Santa Sede può rispondere direttamente soltanto di ciò che avviene all’interno della Città del Vaticano, non certo di ciò che fa un cattolico – fosse anche un vescovo – in Italia, in Giappone o in Brasile, paesi per i quali ci sono già le leggi fissate dai rispettivi governi e parlamenti.

Sull’aborto poi, a proposito di torture la Santa Sede ricorda che si adopera per evitare torture e uccisioni dei bambini non ancora nati. «Per esempio - dice il documento vaticano - in Canada tra il 2000 e il 2011, 622 bambini nati vivi dopo un aborto sono stati lasciati morire come pure 66 nel Regno Unito nel 2005. Alcuni metodi di aborto ritardato costituiscono tortura specialmente nel caso detto “dilatation and evacuation”: il feto ancora vivo è smembrato per essere tirato fuori a pezzi dall’utero».

Chiarezza e trasparenza possono certamente non bastare davanti a chi guarda tutto con gli occhiali dell’ideologia ed è pronto a strumentalizzare qualsiasi cosa, ma un atteggiamento deciso, determinato nel difendere la verità, può almeno scoraggiare un’altra ondata di menzogne e calunnie.