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Santa Maria di Grottaferrata, una gemma orientale

La Basilica di Santa Maria, a Grottaferrata, venne definita da Papa Leone XIII come una "gemma orientale incastonata nella tiara pontificia". Una gemma rara, essendo l'ultimo monastero di rito bizantino dipendente dalla Santa Sede.

Cultura 29_03_2014
Grottaferrata

Una gemma orientale incastonata nella tiara pontificia. Basta questa sintetica espressione di Leone XIII a suggerire la bellezza e l’unicità della Basilica di Santa Maria di Grottaferrata, detta anche Abbazia Greca di San Nilo, dal nome del suo fondatore. Correva l’anno 1004 quando il venerando abate Nilo giunse, con una piccola comunità, sui colli del Tuscolo individuando, sui resti di un’antica villa romana, appartenuta, forse, a Cicerone, il luogo dove erigere un Santuario dedicato a Maria, assecondando così l’invito della Vergine, apparsa a lui e al suo santo discepolo Bartolomeo.

Una perla rara, aggiungiamo noi, dal momento che si tratta dell’ultimo monastero di rito bizantino – greco, direttamente dipendente dalla Santa Sede,  dei numerosi diffusi, un tempo, in Italia meridionale e a Roma. Né l’invasione delle milizie di Federico Barbarossa né il saccheggio perpetrato da suo nipote Federico II riuscirono, infatti, a cancellarne la memoria.

Completato nel 1024, l’edificio venne consacrato nel dicembre dello stesso anno da Papa Giovanni XIX. L’esterno della Basilica, nel secolo scorso, è stato oggetto di un importante restauro che ha ricondotto all’aspetto originario il rosone, i gotici archetti ciechi e il nartece nel quale trovano posto un fonte battesimale e un affresco con Cristo che libera le anime dell’Ade. Rilievi di marmo incorniciano i battenti in legno scolpito del portale, sovrastato da un bellissimo mosaico bizantino dell’XI secolo, rappresentante una Deìsis, tema iconografico molto diffuso in ambito ortodosso dove il Cristo benedicente è affiancato dalla Madonna e San Giovanni.

All’interno l’impostazione romanica dello spazio, suddiviso in tre navate, è stata trasformata secondo una sensibilità barocca, che ha sostituito con pilastri le colonne e rivestito di stucchi le pareti. Medievale (XII sec.) è il mosaico dell’arco trionfale che separa la navata centrale dal profondo presbiterio: la teoria ieratica degli Apostoli converge verso il trono vuoto dove un agnello, qui presente, simboleggia il sacrificio del Cristo.  Pressappoco coevo è il ciclo di affreschi sovrastante, che raffigura una Trinità dentro una mandorla mistica.

Tre grandi artisti contribuirono ad accrescere lo splendore del tempio: il Domenichino fu l’artefice della decorazione a fresco, con le storie di San Nilo, nella Cappella Farnesiana, la cui pala d’altare venne realizzata da Annibale Carracci che riprodusse la Madonna con Bambino tra i due Santi fondatori. Il Bernini progettò la maestosa Iconostasi al centro della quale è posta la Theotókos, ovvero, letteralmente, Colei che genera Dio, icona bizantina di Maria che con la mano indica il Figlio.

Fin dalla nascita il monastero si caratterizzò quale centro di cultura, grazie al lavoro dei monaci scriptores che dotarono la biblioteca di preziosi codici latini e greci.