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LA Memoria

Santa Elisabetta della Trinità, la pianista di Dio

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Il teologo Hans Urs von Balthasar la riteneva perfino «sorella spirituale» di quella colonna della fede che è santa Teresa di Lisieux. Conosciamo santa Elisabetta della Trinità, religiosa carmelitana, di cui oggi ricorre la memoria liturgica.

Ecclesia 09_11_2023

Ci sono delle figure di santità che a volte passano purtroppo quasi inosservate. Eppure il calendario liturgico è così ricco di aureole, di nomi, di biografie tutte interessanti e affascinanti che avrebbero bisogno sempre di un giusto approfondimento, di più attenzione. Il più delle volte ci si focalizza su nomi altisonanti che nell’immaginario collettivo sono già ben impressi, dimenticando invece altri nomi che magari non godono della stessa risonanza di altri più popolari. Fra quelle che potrebbero sembrare figure minori di santità ve n’è una che per profondità spirituale rimane una delle più belle espressioni di santità: è Santa Elisabetta della Trinità, religiosa carmelitana, di cui oggi ricorre la memoria liturgica.

Il teologo Hans Urs von Balthasar la riteneva perfino «sorella spirituale» di quella colonna della fede che è santa Teresa di Lisiuex, ritenendo che la missione di Teresa e quella di Elisabetta si completassero a vicenda. Il messaggio di una - per il teologo svizzero - non può ritenersi intero senza quello dell’altra: «Esse si additano a vicenda; formano due semisfere che, messe assieme, costituiscono il mondo spirituale del Carmelo nella sua globalità». Inoltre, lo stesso autore riteneva che il messaggio di santa Elisabetta della Trinità fosse addirittura «più forte» di quello di santa Teresa. Scriverà nel suo Sorelle nello spirito (Jaka Book, Milano, 1974): «Teresa desidera, nella propria vita, trasformare la Scrittura e il dogma in carne e sangue suo  [...]. Elisabetta, al contrario, lascia che tutta la propria esistenza si dissolva nella verità del Vangelo».

Accanto a quel nome, Elisabetta, troviamo non a caso la dicitura «della Trinità», uno dei concetti teologici, forse, più difficili da compenetrare, da comprendere: un Mistero nel Mistero di Dio. La Trinità era per lei «l'infìnito nel quale possiamo muoverci attraverso tutte le cose». E ancora: «La Trinità, la nostra dimora, la nostra casa, la casa paterna dalla quale non dobbiamo uscire più». Sua sarà, infatti, una delle preghiere più belle della storia della Chiesa rivolte alla Santissima Trinità.            

La religiosa francese la scrive nel 1904, due anni prima di morire. Il prezioso scritto può essere un’adeguata sintesi della sua intera esistenza: «O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi completamente, per fissarmi in Te, immobile e tranquilla, come se la mia anima fosse già nell'eternità. Nulla possa turbare la mia pace né farmi uscire da Te, o mio Immutabile, ma che ogni istante m’immerga sempre più nella profondità del tuo Mistero». Di seguito, nella stessa orazione, passa in rassegna le Tre Persone: «O mio Cristo amato, crocifisso per amore, vorrei essere una sposa per il tuo Cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti fino a morirne. [...] O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarti, voglio rendermi perfettamente docile per imparare tutto da Te. Poi, attraverso tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio sempre fissare Te e restare sotto la tua grande luce. O mio Astro amato, affascinami perché non possa più uscire dalla tua irradiazione. Fuoco consumante, Spirito d'amore, “discendi in me”, affinché si faccia nella mia anima come una incarnazione del Verbo e io gli sia una umanità aggiunta nella quale Egli rinnovi il suo Mistero. E tu, o Padre, chinati sulla tua povera piccola creatura, “coprila della tua ombra”, e non vedere in lei che “il Diletto nel quale hai posto tutte le tue compiacenze”». Le parole della santa - difficile farne una cernita - hanno tutto il sapore di una vera e propria sublime poesia alla Santissima Trinità: versi che narrano la Sua grandezza sotto l’aspetto teologico ma che, al contempo, risuonano così cariche di umanità. Sembrano essere versi d’amore veri: di un amore del tutto sponsale. E’ questo uno dei caratteri principali della spiritualità della santa: l’armoniosa e delicata oscillazione tra sentimenti che hanno tutto dell’umano e le immagini usate che recano in sé schegge d’infinito, lapislazzoli di un cielo stellato dal quale il Signore (nelle Sue Tre Persone) veglia su ogni figlio.

La piccola Elisabetta Catez (questo il nome prima di prendere i voti) amava dire: «Io sono Elisabetta della Trinità, cioè Elisabetta che scompare, che si perde, che si lascia invadere dai “Tre”». In una delle sue tante lettere scriveva: «Sento tanto amore attorno alla mia anima! È come un oceano in cui mi getto e mi perdo. Egli è in me e io in Lui. Non ho che da amarlo e da lasciarmi amare, ad ogni istante, in ogni cosa: svegliarmi nell'amore, muovermi nell’amore, addormentarmi nell'amore, con l'anima nella sua anima, il cuore nel suo cuore, gli occhi nei suoi occhi. Se sapesse come sono piena di Lui!». Ancora una volta, in questo scritto, si conferma l’andamento “bivalente”: le immagini che usa hanno tutto dell’amore umano che si armonizza con una divina contemplazione di Dio, tutta spirituale, tutta “rarefatta”. Viene da pensare che questa visione così “oscillante” non sia - in una certa misura - solo il frutto del suo misticismo (assolutamente presente in tutta l’opera della santa), ma che sia anche il frutto di un modo d'essere che apparteneva a santa Teresa della Trinità prima di prendere i voti: Elisabetta Catez, infatti, amava molto suonare il pianoforte. E la musica - si sa bene - è una delle forme d’arte più rarefatte e allo stesso modo più “corpose” che ci possano essere: le scale musicali che si diramano sul pentagrammatra ci elevano lo spirito allo Spirito. La santa francese guarda a Dio con amorevole passione di musicista: se le sue mani prima hanno suonato melodie di compositori famosi, una volta divenuta carmelitana ecco le sue mani suonare ben altra partitura, la magnifica melodia del Signore. Le note scritte nei suoi Diari spirituali, nelle Lettere, persino nelle Poesie, testimonianza di una prolifica produzione letteraria.

Alla vigilia della sua morte, scrivrà queste righe che  - nel nostro tempo di oggi così secolarizzato - sembrano essere non solo un testamento spirituale ma anche un'esortazione per noi contemporanei, uno sprone a vivere la fede con la stessa sua intensità: «Credere che un Essere che si chiama Amore abita in noi tutti gl’istanti del giorno e della notte, e che ci chiede di vivere in società con Lui, è, ve lo confido, ciò che ha fatto dell’anima mia un Paradiso anticipato».