Sanremo, Fiorello e la fede buona solo per far ridere
Apertura del Festival di Sanremo subito discutibile: Fiorello entra dalla platea in talare, facendo la caricatura di un prete. Ma nella discutibilità della gag risalta un dato di fatto: la fede, i sentimenti religiosi, i cattolici sono ridotti a macchietta.
Entra dalla platea ed entra in talare. È Fiorello che apre così il Festival di Sanremo. Con la sua usuale verve affascina il pubblico osannante: «Buonasera fratelli e buonasera sorelle! In questo mondo c’è bisogno di pace! Scambiatevi il segno di pace. Datevi la mano un con l’altro. Fatelo sul serio». Poi spiega il motivo del suo abbigliamento: «Questo è il festival delle polemiche e bisogna iniziare con qualcosa di veramente forte. Questo non è un abito blasfemo, ma un abito di scena. Dovevamo iniziare con qualcosa di potente. Questo è l’abito originale di Don Matteo». Lo sketch si conclude con Fiorello e tutto il pubblico che cantano “Amadeus” sulle note dell’alleluia.
Fiorello, pleonastico a dirsi, è un genio dello spettacolo. Ma ai geni si deve perdonare di meno che alle very normal people proprio a motivo del loro genio. Il primo commento, quello più epidermico e dettato dalle viscere, è intuitivo per i lettori della Bussola: Fiorello ha preso in giro la Chiesa, i sacerdoti, la fede. “Lo facesse con l’islam con tanto di Kufi in testa o scimmiottasse il cohen ebraico!”, a qualcuno scapperebbe da dire. Il Rosario Tindaro nazionale lo sa ed è per questo che ha tirato fuori la foglia di fico dell’abito di scena per coprire alcune pudenda che in realtà hanno visto milioni di spettatori.
Però se facciamo tacitare per un attimo le nostre viscere, ci accorgiamo di un fatto quasi banale. Fiorello inconsapevolmente ci ha confermato in una verità tanto lapalissiana che non riusciamo nemmeno più a vederla: la Chiesa, la fede, i sentimenti religiosi, etc. vanno bene ormai solo per far ridere. I cattolici sono ridotti a macchiette. La religione cattolica sopravvive nella mente dei più come una tenue eco di qualcosa di assolutamente alieno con la vita di ogni giorno, buona solo per strappare sbadigli, sdegnose riprovazioni (sagrestia per molti fa rima solo con pedofilia) o risate se ci mette del suo un comico.
Già il fatto che Fiorello si presenti in talare la dice lunga. Quanti sono i sacerdoti in talare? Lo zero virgola. Però nell’immaginario collettivo il sacerdote è in talare. Fiorello stimola l’immaginario collettivo e dunque la talare ha una sua ragion d’essere. Però – e qui sta il punto – si tratta ormai solo di un simbolo, di una icona, di una suggestione visiva senza più nessun aggancio con il reale. Siamo perciò oltre alla satira del sacro. Il sacro è ridotto né più né meno ad un espediente di scena, ad un canovaccio teatrale, ad un topos comico, ad una maschera, così come in Shakespeare c’è il buffone e la prostituta. Perciò non prendetevela cari cattolici, nulla di personale. La talare è solo un pretesto, appunto «un abito di scena», come ha ricordato il Nostro.
E dunque Fiore ci può prendere in giro perché i cattolici che vivono la loro fede in talare – ossia seriamente – sono pressoché estinti. Quindi numericamente innocui e di certo quei pochi esistenti non siedono nella stanza dei bottoni. Gli altri, i cattolici con il maglioncino grigio topo, plaudono festanti al dileggio festivaliero cantando “Amadeus” sulla melodia dell’alleluia parrocchiale. Tanto sono solo canzonette, si dirà.