Sanpaolo filo gay? Sì, ma è la banca del cattolico Bazoli
Parità di diritti tra etero e gay, licenzia matrimoniale retribuita anche per le coppie gay italiane o sposate all'estero, anche se non registrate all'anagrafe. Lo riserva ai dipendenti la Banca Intesa Sanpaolo di Bazoli, il primo gruppo istituto creditizio gay friendly perché "costa poco ed è utile al business".
Anche i bancari hanno un’anima: era il titolo di un musical con Gino Bramieri,Valerio Valeri e Paola Tedesco, impareggiabili mattatori della commedia degli anni Novanta. Ma da oggi qualche bancario italiano di anime ne potrà avere anche qualcuna in più. Almeno due: una etero e l’altra gay. Sono cassieri, impiegati e dirigenti della Banca Intesa Sanpaolo, il primo gruppo creditizio in Italia e uno dei principali in Europa (oltre che azionista di maggioranza di Bankitalia). Qui è stato siglato un accordo sindacale davvero inedito: tutti i dipendenti gay che si uniranno in matrimonio (certificato, religioso o civile, riconosciuto in Italia o in uno Stato estero, il tutto senza l’obbligo della registrazione all’anagrafe italiana) avranno diritto al congedo matrimoniale identico a quello dei loro colleghi etero, con due settimane regolarmente retribuite per andare in viaggio di nozze.
Del resto, anche quella commedia anticipava la rivoluzione dei sentimenti nel grigio mondo dei cassieri di allora. Non è mai troppo tardi per cambiare: è quello che, infatti, succede nel musical a Mario, bancario fresco di pensione che dopo tutta una vita fatta di numeri, calcoli e razionalità riscopre il gioioso universo delle emozioni. Beh, il travet interpretato da Bramieri faceva a pezzi i luoghi comuni che in quegli anni identificavano la categoria: un’aristocrazia di mezze maniche con super stipendi e più di 14 mensilità. Nessuno, però, poteva immaginare che quell’anima si sarebbe poi spinta fino allo sdoppiamento d’identità e di genere. A mettere in realtà la fantasia ci hanno pensato i dirigenti di Banca Intesa che d’accordo con i sindacati hanno sancito la piena e parità di sesso tra i lavoratori. Beh, quella di stipendio ancora no, ma forse un domani.
Intesa si fregia del nome di San Paolo (oggi riscritto tutto attaccato), l’apostolo della Lettera ai Galati che poneva le fondamenta della rivoluzionaria visione sociale cristiana: «Voi tutti infatti siete figli di Dio… Non c’è più Giudeo né Greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo». Beh, ci sarebbe da invocare l’iradiddio a vedere così stravolta dai capataz di Intesa la dottrina paolina. Del resto, l’aria che tira è questa anche in Italia: l’ideologia gender ha invaso la cultura, la società e pure l’economia, trasformando una minoranza in una nuova categoria antropologica e sociale e attribuendogli diritti al di fuori di ogni legge e Costituzione.
Due anni fa, la Bibbia del capitalismo mondiale, The Economist, scriveva che «essere gay-friendly costa poco ed è utile per il business» e faceva i nomi delle moltissime aziende americane che avevano messo nei loro bilanci anche i costi dei diritti dei lavoratori Lgbt: lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Era il caso della banca Merrill Lynch che già da 13 anni ha creato una sezione apposita incentrata sul mercato gay, di Google e di Apple che quest’anno ha partecipato con l’amministratore delegato Tim Cook e circa 4 mila dipendenti, alla sfilata del gaypride a San Francisco. Con tanto di t-shirts con la mela morsicata in versione arcobaleno.
In Italia, i primi a siglare accordi simili sono state alcune multinazionali straniere come Ikea, Citybank e Dhl, ma anche qualche azienda di casa nostra come Telecom e Coop Adriatica. Ultima, l’Università di Bologna, che tempo fa ha concesso un permesso analogo a un suo ricercatore. Le grandi hanno fatto subito scuola alle piccole che ne hanno seguito l’esempio. Come la Servizi Italia (servizi ospedalieri) e la Call & Call (call center) più che convinte che essere gay-friendly, come dice l’Economist, offra maggiori possibilità di guadagno perché attrae tanti consumatori dal forte potere d’acquisto. E’ il business, bellezza.
Ricordate il caso Barilla? Uno dei fratelli, Guido, presidente del gruppo, dopo aver coraggiosamente proclamato che «mai faremo spot con famiglie gay», di fronte alla sollevazione globale delle lobby gay (minacciarono il boicottaggio della pasta) si tagliò subito la lingua, pentendosi della gaffe planetaria e decidendo di aderire a Parks, l’associazione no profit che aiuta le aziende a garantire pari opportunità ai dipendenti Lgbt e istituendo in azienda un Diversity and Inclusion Board (Comitato per la diversità e l’inclusione) sotto la guida di David Mixner, scrittore, esperto di strategie politiche, attivista per i diritti civili, nominato dalla rivista Newsweek il gay più potente d’America. Insomma, un bel coraggio da gattini e una credibilità da mulino bianco. Pure lui convertito, nonostante gli spot con il macho Banderas, alla filosofia del «costa poco ed è utile al business».
Su questo non ci piove e, forse per la prima volta in Italia, sono d’accordo anche i sindacati, uniti e allineati nel gay pride con capitani di industria e gnomi della finanza. La decisione di Intesa «rappresenta un segno di modernità e civiltà», commentano quella della Uilca, con l’obbiettivo, aggiungono i vertici della Sanpaolo, di «prevenire i favoritismi, gli abusi e le discriminazioni in materia di genere, età, etnia, religione, appartenenza politica e sindacale, orientamento sessuale, lingua e diversa abilità». Nel dettaglio, il patto riguarda il «congedo straordinario retribuito di 15 giorni consecutivi di calendario», che verrà applicato al «dipendente che contrarrà matrimonio riconosciuto in Italia o all’estero, con rito civile, cattolico o acattolico, senza trascrizione nei registri dello stato civile italiano», a condizione che i coniugi dopo il matrimonio «risultino conviventi» oltre che posseggano i requisiti richiesti dallo Stato per potersi sposare. Potranno dunque fare richiesta di congedo anche le coppie gay che si sono sposate all’estero, dato che in Italia il matrimonio omosessuale non è previsto dalla legge, e coloro che si sono uniti in matrimonio secondo i riti religiosi riconosciuti dallo Stato: da quello valdese all’avventista, dalla fede ebraica alla luterana, fino a buddisti e induisti. Miracoli dell’amore omosex, capace di mettere pace e armonia anche fra tutte le religioni del mondo.
«Se Giovanni Bazoli avesse un briciolo di dignità, dovrebbe chiedere scusa agli italiani e dimettersi immediatamente da ogni incarico pubblico». L’ha detto Diego Della Valle, il patron della Tod’s, quando tornò ad attaccare l’ultimo “arzillo vecchietto” per il coinvolgimento di Bazoli nello scandalo UBI-Banca. Mah, forse ci sono anche altre ragioni per cui il guru di Intesa dovrebbe fare un bell'esame di coscienza. Non può essere un fattore secondario, infatti, che la banca sia considerata un feudo della finanza cattolica (con quasi 500 miliardi di euro di credito complessivo che l’istituto vanta nei confronti dell’economia italiana, privata e pubblica) e che lo stesso Bazoli, amicissimo di Romano Prodi, sia animatore del gruppo Etica e Finanza e presidente dell’Opera per l’Educazione Cristiana di Brescia.
Nato nel 1932 in un’importante famiglia cattolica bresciana, Bazoli può vantare un nonno che fu tra i fondatori, nel 1919, del Partito popolare accanto a Luigi Sturzo, e un padre deputato Dc all’Assemblea costituente. Ha salvato il Banco ambrosiano, ha pilotato fusioni e acquisizioni che stanno alla base della nascita di Banca Intesa, oggi lo scafato banchiere è presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo e presidente della finanziaria Mittel. E ancora: richiestissima guest star in convegni, meeting e consulenze d’affari, senza trascurare gli inviti a parlare agli studenti dell’Università Cattolica di padre Gemelli.
Insomma, tutto ciò fa di Bazoli un banchiere cattolico di chiarissima fama, «di quel cattolicesimo nobile», come scrive Sandro Magister, «che dalla Brescia di Papa Giovanni Battista Montini arriva a Camaldoli: il monastero caro ai cenacoli postdossettiani». E ora il nostro può mettere nel suo album dei record anche quello di presiedere della prima banca gay friendly. Chissà che penserano da lassù il papà costituente, il nonno e anche don Sturzo? Mah, forse lo affideranno alla divina misericordia, augurandosi che l’arzillo Giovannino tolga almeno quel “Sanpaolo” dal nome della banca.