Sanità tagliata Così le Regioni minacciano Renzi
Lunedì inizierà l’iter parlamentare per la legge di stabilità, ma è già partito uno scontro senza esclusione di colpi sulla sanità, principale voce di spesa delle Regioni. Il braccio di ferro tra Sergio Chiamparino, presidente della Conferenza delle Regioni, che si è dimesso e Renzi riguarda i buchi nei bilanci regionali.
Due giorni fa, con una settimana di ritardo, il testo della legge di stabilità è stato trasmesso al Quirinale per la firma del Capo dello Stato. Lunedì inizierà l’iter parlamentare ma è già partito uno scontro senza esclusione di colpi sulla sanità, principale voce di spesa delle Regioni. Non ci sono, quindi, soltanto le diatribe sul canone o sull’innalzamento a tremila euro del limite dei contanti o sull’abolizione delle tasse sulla prima casa e sulle attività agricole.
Il braccio di ferro tra Sergio Chiamparino, presidente della Conferenza delle Regioni, che si è dimesso (anche se le sue dimissioni dall’incarico sono congelate fino alla conclusione dei negoziati Stato-Regioni sulla legge di stabilità), e Matteo Renzi riguarda i buchi nei bilanci regionali, che sembrano destinati ad aggravarsi con il blocco delle tasse locali imposto dal governo centrale. L’ex sindaco di Torino si trova nella complicata duplice veste di presidente di una Regione gravata da debiti pari a quasi 6 miliardi (e da una sentenza della Corte dei Conti che ha fatto lievitare il deficit, per risolvere il quale attende un decreto del governo), ma anche di coordinatore di Regioni gravate da un pesante debito sanitario.
Oggetto dello scontro col governo i trasferimenti per il 2016 da parte dello Stato. Gli accordi prevedevano di aumentare da 110 a 111 miliardi quelli per la sanità (anche se la promessa era di salire a 113), ma ora si scopre che addirittura scendono di un miliardo quelli per le amministrazioni. Il Tesoro ha anche deciso di sospendere gli aumenti di tutte le addizionali locali, fatta eccezione per la tariffa sui rifiuti e per i ticket sanitari. Ciò vuol dire che le Regioni in deficit non potranno ricorrere a ritocchi delle addizionali Irpef e Irap per far fronte alle loro spese e dovranno scaricare ogni loro esigenza sulle prestazioni sanitarie, facendo pagare di più i cittadini. I temuti tagli allo Stato sociale potrebbero dunque diventare realtà. A oggi le regioni vincolate al piano di rientro sono prevalentemente quelle del centro-sud: Lazio, Abruzzo, Campania, Molise, Sicilia, Calabria, Puglia, ma anche Piemonte. Per loro «la legge prevede un aumento automatico delle addizionali», ha evidenziato in queste ore il coordinatore degli assessori al Bilancio, Massimo Garavaglia (Lombardia). Tra le regioni messe peggio c’è quindi il Piemonte. Proprio per questo Chiamparino ha maturato l’idea di dare le dimissioni da Presidente della Conferenza delle regioni, dicendosi convinto che «una regione che è in una situazione di bilancio di questo genere non può rappresentare le altre regioni». E ha chiesto al governo di intervenire, perché in caso contrario «non saremo in grado di fare un bilancio».
Ma al di là delle persone rimane il nodo dell’esplosione dei localismi e dell’acuirsi della frattura tra potere centrale e amministrazioni regionali. Questo muro contro muro è destinato a produrre effetti nefasti sulla vita dei cittadini. Il governo non sembra voler cedere, ma la coperta è diventata sempre più corta e a molte regioni non resterà altro da fare che tagliare la spesa sanitaria. Prestazioni che finora sono state gratuite potrebbero non esserlo più, i ticket su esami specialistici e altre prestazioni potrebbero lievitare, soprattutto in alcune regioni, e potrebbe verificarsi un forte scollamento tra centro e periferia, con l’esplosione della questione territoriale. Più che di divisioni tra destra e sinistra occorre parlare di rinnovata contrapposizione tra governo e regioni e tra regioni. Non siamo ancora al “mors tua vita mea”, ma è evidente che la difesa del territorio e delle comunità, in una fase storica di costante contrazione delle risorse finanziarie a disposizione, rischia di diventare l’unico movente delle azioni politiche dei prossimi anni. Molto più di fattori ideologici o di appartenenze partitiche o di schieramenti. Con inevitabili ricadute in termini di indebolimento del vincolo di unità nazionale.
Per Renzi è una tendenza da non sottovalutare, soprattutto perché le elezioni amministrative si avvicinano e il suo controllo del partito in periferia non appare così saldo. Diversi governatori, da Chiamparino a Emiliano, preoccupati della sorte dei propri elettori, potrebbero compiere strappi rispetto alla linea di Palazzo Chigi e contribuire a indebolire l’immagine dell’esecutivo.