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San Sofronio di Gerusalemme

L’umile teologo e patriarca san Sofronio di Gerusalemme (c. 560-638), che ebbe il grandissimo merito di denunciare l’eresia monotelita e stette accanto al suo gregge durante l’invasione islamica della Città Santa, nacque a Damasco e qui mostrò subito il suo talento negli studi.

Santo del giorno 11_03_2019

L’umile teologo e patriarca san Sofronio di Gerusalemme (c. 560-638), che ebbe il grandissimo merito di denunciare l’eresia monotelita e stette accanto al suo gregge durante l’invasione islamica della Città Santa, nacque a Damasco e qui mostrò subito il suo talento negli studi. Viaggiò molto fin dalla prima giovinezza e sulla sua strada incontrò presto Giovanni Mosco, scrittore e monaco bizantino, che divenne suo grande amico e guida spirituale. Con lui si recò intorno al 580 in Egitto, dove condusse vita ascetica, studiò filosofia e iniziò ad avere seri problemi agli occhi, da cui guarì grazie all’intercessione dei martiri alessandrini Ciro e Giovanni. Per gratitudine stilò una raccolta di 70 miracoli attribuiti ai due santi.

Si fece monaco nel monastero di San Teodosio, non lontano da Betlemme, e lì visse per qualche tempo, dedicandosi poi a varie missioni tra l’Asia Minore e l’Africa settentrionale per combattere il monofisismo (l’eresia che attribuiva a Gesù la sola natura divina) e insegnare la retta dottrina sulle due nature - l’umana e la divina - sussistenti nell’unica persona del Cristo, solennemente definita al Concilio di Calcedonia del 451. A causa dell’avanzata dei persiani in Palestina ed Egitto, il santo cercò riparo a Roma assieme a Giovanni Mosco, che lì morì alcuni anni dopo, nel 619, chiedendogli di seppellire il suo corpo sul Monte Sinai o in Terrasanta. Sofronio fece così ritorno in Oriente e seppellì l’amico al monastero di San Teodosio, in una fase storica e religiosa che si faceva sempre più complicata.

Dopo aver recuperato le province orientali occupate dai persiani, l’imperatore bizantino Eraclio tentò di risolvere la spaccatura tra i cattolici e gli eretici monofisiti, per rafforzare l’unità interna all’impero. Chiese perciò al patriarca di Costantinopoli, Sergio I, di trovare un compromesso convincente per entrambe le parti. Ma il tentativo di abdicare alla verità si rivelò un disastro. Nel 633 Sergio e Ciro, patriarca di Alessandria, elaborarono il monoenergismo, un’eresia che sosteneva la presenza in Cristo della sola energia divina: di fronte all’accordo dei due patriarchi orientali, fu provvidenziale l’opposizione di Sofronio. Il santo, che nel frattempo aveva incontrato il più giovane san Massimo il Confessore (il quale subirà il taglio della lingua e della mano destra da parte dei persecutori monoteliti), divenne patriarca di Gerusalemme l’anno successivo e così acquistò ancora più autorevolezza.

Per superare la contrarietà di Sofronio, Sergio lavorò a un’altra formula di compromesso (l’Ekthesis, emanata nel 638 sotto forma di editto imperiale), che sostituiva il monoenergismo con un’eresia simile, il monotelismo, sostenitrice della presenza in Cristo della sola volontà divina, negando così la compresenza della volontà umana. Nemmeno papa Onorio (†638) capì il trucco, come si evince da una lettera privata che inviò al patriarca di Costantinopoli, ma ancora una volta fu Sofronio a difendere la vera dottrina. Intanto, era sorto un altro problema. L’esercito del califfo Omar aveva occupato Gerusalemme, continuando il piano d’espansione militare del neonato Islam (Maometto era morto nel 632) nelle terre degli “infedeli”. Per evitare conseguenze peggiori e la perdita del culto, Sofronio fu costretto ad accettare di fatto uno stato di dhimmi per i cristiani della Città Santa. In quello stesso frangente aveva incaricato Stefano di Dora, facendolo giurare sul Calvario, di recarsi a Roma al posto suo per segnalare quanto fosse pericolosa l’eresia monotelita.

Stefano di Dora mantenne l’impegno e così si arrivò al Concilio Lateranense del 649, presieduto da papa san Martino I, durante il quale il monotelismo fu condannato come eresia. L’inviato di san Sofronio dichiarò: «Là mi fece promettere con giuramento solenne: “Se tu dimentichi o disprezzi la fede che ora è minacciata, dovrai rendere conto a Colui che, sebbene Dio, fu crocifisso in questo santo luogo, quando nella sua prossima venuta Egli giudicherà i vivi e i morti. Come tu sai, non posso compiere questo viaggio a causa dell’invasione dei Saraceni. […] Vai senza indugio fino all’altra estremità della terra, alla Sede apostolica, il fondamento dell’insegnamento ortodosso, e di’ ai santi uomini che sono là non una, non due, ma molte volte ciò che sta accadendo: di’ loro tutta la verità e nulla più. Non esitare, domanda loro e pregali insistentemente di utilizzare la loro ispirata sapienza per emettere un giudizio definitivo e annientare questo nuovo insegnamento che ci è stato inflitto”».