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San Severino abate

Fu evangelizzatore del Norico e seppe farsi ascoltare tanto dai Romani quanto dai barbari. Tra coloro che ne rimasero ammirati vi furono il re degli Alemanni, Gibuldo, e il re degli Eruli, Odoacre

Santo del giorno 08_01_2024 English Español

Se ai confini dell’Impero Romano ci fosse stato qualcun altro con i suoi carismi, forse la storia sarebbe andata diversamente perché san Severino (ca 410-482), evangelizzatore del Norico, una regione che comprendeva l’Austria centrale e parte della Baviera, sapeva farsi ascoltare tanto dai Romani quanto dai barbari. Come riferisce il suo biografo sant’Eugippio (ca 465-533) - autore di una Vita sancti Severini in 46 capitoli, riconosciuta come un prezioso documento storico - Severino era un monaco che da giovane era andato in Oriente. Della sua giovinezza non si sa molto altro, così come dell’esatta data di nascita e della famiglia d’origine (probabilmente romana, per la qualità del suo latino) perché quando gli venivano chieste queste notizie il santo diceva che un annunciatore del Vangelo non ha altra età che l’eternità e nessun’altra patria se non il Regno dei cieli.

Il suo apostolato nel Norico iniziò nel 455, due anni dopo la morte di Attila che aveva messo in subbuglio quelle terre. Come Severino racconterà a un religioso, la missione non era nata per caso: «Sappi solamente che Colui che ti ha fatto la grazia di essere sacerdote, mi ha ordinato di venire in soccorso di questi sventurati». Gli abitanti scoprirono presto l’ascetismo del monaco, che camminava scalzo anche d’inverno, usava sempre una tunica, dormiva sul pavimento con il cilicio ai fianchi, digiunava assiduamente e in Quaresima mangiava appena una volta a settimana. Scoprirono pure i suoi doni di profezia, come quando nel primo villaggio del Norico dove abitò, chiamato Asturis dai Romani, predicò al popolo di fare penitenza: «I barbari sono molto vicini, chiudete le porte della città, mettetevi in stato di difesa e soprattutto pregate, fate penitenza». Non fu ascoltato e si rifugiò a Comagenis (oggi Tulln): l’invasione, come testimoniò un sopravvissuto, avvenne proprio nel giorno predetto dal santo.

Nei quasi trent’anni di missione nel Norico fondò chiese e monasteri e con la sua predicazione indusse moltissime anime ad abbandonare il culto pagano per convertirsi al cristianesimo. Nel tempo si diffuse anche la sua fama di taumaturgo, con Severino che era solito operare guarigioni dopo aver comandato un digiuno di alcuni giorni. Il suo ingegno nella carità si manifestava poi con l’invio di lettere attraverso cui sollecitava la raccolta delle decime per i poveri. Mentre l’Impero d’Occidente andava disfacendosi, Severino, grazie alle sue virtù e alle grandi doti organizzative, si impegnò dunque nella cura religiosa e materiale di quei popoli di frontiera, preoccupandosi anche della loro difesa militare. E quando gli invasori riuscivano a completare l’opera di conquista, il santo non esitava a incontrarli di persona per chiedere di essere miti con le città sottomesse e liberare i prigionieri.

Si comprende quindi perché gli stessi barbari, dei quali riuscì a mitigare i costumi, lo riconoscessero come uomo di Dio. Tra coloro che ne rimasero ammirati vi furono il re degli Alemanni, Gibuldo, e il re degli Eruli, Odoacre. Quest’ultimo, intorno al 470, si recò da lui per consigliarsi e chiedere la sua benedizione: il santo lo fissò a lungo, ne predisse la vittoria e gli consigliò di fare bene per il suo popolo. Nel 476 Odoacre depose l’imperatore Romolo Augusto e iniziò a regnare sull’Italia, mostrando rispetto sia per le istituzioni romane sia per la Chiesa cattolica, nonostante si professasse ariano. Intanto, Severino aveva predetto ai suoi monaci che dopo la sua morte sarebbero stati costretti a lasciare la regione e chiese loro di portare il suo corpo in Italia, come poi avvenne. Negli ultimi istanti di vita chiamò attorno a sé i discepoli e intonando il Laudate Dominum in Sanctis Eius spirò all’ultimo versetto, che recita: «Ogni anima dia lode al Signore».

Patrono di: Austria, Baviera