San Marco di Aretusa
Esercitò il suo ministero episcopale nella fase più calda della controversia ariana. Durante il breve impero di Giuliano l’Apostata, che intendeva restaurare il paganesimo, fu imprigionato e sottoposto a torture. Il modo in cui sopportò quel suo calvario gli valse il titolo di «confessore della fede».
Questo santo fu vescovo di Aretusa, l’odierna Ar-Rastan, in Siria. Esercitò il suo ministero episcopale nella fase più calda della controversia ariana e per qualche tempo fu sospettato di tenere posizioni ambigue, dovute forse alla sua debolezza di carattere. Con il passare degli anni superò le sue titubanze dottrinali e risulta che verso il 360 fosse ormai rientrato pienamente nell’ortodossia cattolica, professando quindi in modo aperto ciò che era stato definito solennemente con il Credo niceno.
Durante il breve impero di Giuliano l’Apostata (361-363), che intendeva restaurare il paganesimo, Marco fuggì da Aretusa temendo per la propria vita perché in precedenza aveva fatto distruggere un tempio pagano per sostituirlo con una chiesa. Tuttavia, quando venne a sapere che diversi fedeli rimasti in città erano stati arrestati, fece ritorno ad Aretusa per essere vicino alle anime che gli erano state affidate.
Venne allora imprigionato e sottoposto a torture. Il modo in cui sopportò quel suo calvario fu tale che anche i persecutori ne rimasero ammirati e gli valse il titolo di «confessore della fede», riportato negli antichi menologi e sinassari. Alla fine venne liberato e per il resto dei suoi giorni terreni - morì nel 364 - si dedicò alla conversione dei pagani. Il contemporaneo ma più giovane san Gregorio Nazianzeno, Dottore della Chiesa, lo definì «uomo notevole e assai santo vegliardo».