San Leone Magno
Si adoperò per consolidare l’unità della Chiesa, proteggendola dalle eresie e dalle spinte disgregatrici. Al Concilio di Calcedonia (451) i vescovi lessero solennemente la sua epistola dogmatica a Flaviano (Tomus ad Flavianum), che sconfessò il monaco orientale Eutiche e il suo monofisismo. «Pietro ha parlato per bocca di Leone», dissero i Padri conciliari
Fu consapevole dell’altissima responsabilità del ministero petrino e tra i più grandi pontefici di sempre. San Leone Magno (c. 390-461) guidò la Chiesa per oltre 21 anni, proteggendola dalle eresie e dalle spinte disgregatrici, mentre in Occidente andava in scena lo sgretolamento dell’Impero romano. Già da diacono era uno dei personaggi più ascoltati nel clero. Lo consultavano altri santi come Giovanni Cassiano e Cirillo di Alessandria. Il suo prestigio era enorme anche presso la corte imperiale, tanto che fu scelto per una missione in Gallia, dove riuscì a disinnescare il pericolo di una guerra civile. Mentre si trovava ancora Oltralpe, gli arrivò la notizia della morte di Sisto III e l’invito a tornare a Roma perché era stato eletto come suo successore. Era il 440.
Leone si adoperò per consolidare l’unità della Chiesa. Promosse instancabilmente il primato romano come frutto della volontà divina di affidare a Pietro il ruolo di pastore universale, perché «a un solo apostolo è affidato ciò che a tutti gli apostoli è comunicato». Difese con vigore la disciplina ecclesiastica, non esitò a rimproverare i vescovi che se ne discostavano, gestì lucidamente le vicende che riguardarono i vicariati di Arles e Tessalonica e riportò al suo giusto rango il patriarcato di Costantinopoli, che ambiva a elevarsi sopra le altre sedi patriarcali dell’Oriente. Questo suo zelo nella cura delle anime si può constatare nelle 143 lettere e 96 sermoni che ci sono pervenuti, in cui espone contenuti dogmatici ed esorta al bene i fedeli con la stessa eleganza e chiarezza.
Il suo contrasto alle eresie fu energico. Combatté i pelagiani, i nestoriani, i manichei. E, soprattutto, con il famoso Tomus ad Flavianum - una lettera dogmatica inviata al patriarca Flaviano, anche lui difensore dell’ortodossia cattolica e per tale ragione perseguitato - sconfessò il monaco orientale Eutiche e il suo monofisismo, che negava ereticamente la natura umana di Gesù: il Santo Padre confermò la dottrina dell’Incarnazione e la coesistenza della natura umana e divina nell’unica persona del Cristo. Dopo la farsa del Secondo Concilio di Efeso, in cui ai legati papali fu impedito di leggere la lettera di Leone, il papa riuscì a far convocare il Concilio di Calcedonia (451), durante il quale i vescovi lessero solennemente la sua epistola dogmatica a Flaviano. «Pietro ha parlato per bocca di Leone», dissero i Padri conciliari. Ed era vero. Calcedonia è una pietra miliare della cristologia, coronamento dei concili di Nicea (325), Costantinopoli (381) e del primo di Efeso (431).
Fu attorno a lui che si strinse il popolo romano, provato da carestie e invasioni barbariche. Anche l’imperatore gli chiese aiuto quando gli Unni varcarono le Alpi nel 452. Pregato da Valentiniano III, Leone andò infatti nei pressi di Mantova per incontrare Attila (al quale, secondo la tradizione, apparvero Pietro e Paolo con le spade sguainate a difesa del papa; nella foto un dipinto a tema di Raffaello) e lo dissuase dal proseguire l’invasione. Tre anni più tardi, quando i Vandali di Genserico invasero Roma, il santo andò inerme e circondato dal clero incontro all’invasore, che gli concesse di non incendiare la città e risparmiò dal sacco le basiliche dove nel frattempo si era rifugiata la popolazione. In una fase critica per la Chiesa e di decadenza per l’impero, san Leone Magno contribuì perciò a rafforzare l’autorità del papato, agendo sia da eccelso teologo che da grande pastore. Nel 1754, Benedetto XIV lo ha proclamato Dottore della Chiesa.
Per saperne di più:
Catechesi di Benedetto XVI su san Leone Magno (udienza generale del 5 marzo 2008)