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San Domenico Savio

Il mondo potrebbe diventare un anticipo di Paradiso se solo si avesse cura di insegnare e far leggere ai bambini la vita di san Domenico Savio (1842-1857), il piccolo gigante di santità sbocciato pienamente alla scuola di san Giovanni Bosco, che fu pure il suo primo e più grande biografo e che vide in quell’anima eletta il sommo esempio di quanto desiderava per i suoi fanciulli

Santo del giorno 06_05_2019

Il mondo potrebbe diventare un anticipo di Paradiso se solo si avesse cura di insegnare e far leggere ai bambini la vita di san Domenico Savio (1842-1857), il piccolo gigante di santità sbocciato pienamente alla scuola di san Giovanni Bosco, che fu pure il suo primo e più grande biografo e che vide in quell’anima eletta il sommo esempio di quanto desiderava per i suoi fanciulli. Secondo dei 10 figli di Carlo, un fabbro, e Brigida, una sarta, Domenico nacque il 2 aprile e fu battezzato lo stesso giorno nella chiesa dell’Assunta a Riva di Chieri (TO). Fin dalla più tenera infanzia mostrò i segni della sua profonda spiritualità, fatta di preghiera, penitenza e un grande senso del sacro, che discendeva dal suo amore per Dio e la Madonna. Una volta non volle sedersi a tavola per la presenza di un ospite che non si faceva nemmeno il segno della croce: «Non posso mangiare con uno che divora tutto come le bestie».

Ricevette la Prima Comunione a 7 anni e già allora aveva le idee chiarissime, esposte in poche righe: «Mi confesserò molto sovente e farò la Comunione tutte le volte che il confessore me ne darà il permesso. Voglio santificare i giorni festivi. I miei amici saranno Gesù e Maria. La morte ma non peccati». Andava a scuola camminando per una quindicina di chilometri al giorno, lungo strade insicure, ma quando gli chiesero se avesse paura la sua risposta fu: «Macché paura! Io non sono solo. Ho l’Angelo custode che mi accompagna». Il 2 ottobre 1854 Domenico conobbe don Bosco, gli manifestò il desiderio di studiare per divenire sacerdote e il santo educatore decise di farne un suo allievo all’oratorio di Valdocco, a Torino. Una sera il maestro rivolse queste parole a lui e agli altri ragazzi. «È volontà di Dio che ci facciamo santi. Dio ci prepara un grande premio in cielo se ci facciamo santi». Chiese allora a don Bosco di aiutarlo nell’opera e si sentì rispondere di servire il Signore con allegria.

Nella sua ascesa verso la santità, Domenico prese a confessarsi ogni otto giorni e ad andare a Messa quotidianamente, ricevendo sempre l’Eucaristia. Animava i giochi, insegnava il Catechismo agli amici, faceva loro da guida e da pacificatore, senza temere di prendere decisioni scomode, come quando strappò dei giornali osceni portati in oratorio da un ragazzo più forte di lui o ancora quando allontanò un protestante che si era avvicinato per spargere le sue idee religiose tra gli altri fanciulli. Tra coloro che si accorsero presto della sua santità vi fu la mamma di don Bosco, la venerabile Margherita Occhiena, che così disse al figlio: «Tu hai molti giovani buoni, ma nessuno supera il bel cuore e la bell’anima di Domenico. Lo vedo sempre pregare, restando in chiesa anche dopo gli altri; ogni giorno si toglie dalla ricreazione per far visita al Santissimo Sacramento. Sta in chiesa come un angelo che dimora in Paradiso».

Il grande amore per la Madonna lo spinse a fondare nel 1856 la «Compagnia dell’Immacolata», a due anni dalla definizione del dogma ad opera di Pio IX. Nell’iniziativa aveva coinvolto i suoi migliori amici, ai quali aveva detto: «Uniamoci, fondiamo una compagnia per aiutare don Bosco a salvare molte anime». Nello stesso anno scoppiò un’epidemia di colera e Domenico fu tra i 44 ragazzi che accolsero l’invito di don Bosco a offrirsi per assistere i malati, attività in cui il fanciullo si distinse senza essere contagiato, proprio come il santo maestro aveva promesso a tutti i volontari. La sua salute fragile cedette in seguito alla tubercolosi, che lo costrinse a ripetuti salassi, da lui serenamente accettati pensando «ai chiodi piantati nelle mani e nei piedi di Nostro Signore».

Quando capì che era arrivato il suo momento, disse al padre: «È giunta l’ora. Prendete il mio libro di preghiere e leggetemi le preghiere della buona morte». Rispose devotamente a ogni invocazione e alla fine pronunciò queste parole: «Che bella cosa io vedo mai!». Era il 9 marzo 1857 (uno dei due giorni in cui si celebra la sua memoria liturgica, che la Famiglia Salesiana e le diocesi piemontesi festeggiano il 6 maggio) e Domenico non aveva ancora compiuto 15 anni. Don Bosco seppe poi, in sogno, il perché di quelle ultime parole terrene del suo allievo: «È stata Maria Santissima a venire a prendermi, la mia più grande consolazione in vita e in morte. Lo dica ai suoi figli che non dimentichino mai di pregarla».

Patrono di: chierichetti, gestanti, pueri cantores

Per saperne di più: Vita del giovanetto Savio Domenico, di san Giovanni Bosco