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EDITORIALE

San Bernardino ci spiega perché perderemo la guerra

Se non si riconosce il nemico è impossibile sconfiggerlo. E nei confronti del terrorismo islamico abbiamo ottime probabilità di perdere la battaglia non a causa della mancanza di mezzi militari, ma a causa di un grave deficit culturale, che ci impedisce di chiamare le cose con il loro nome.

Editoriali 06_12_2015
Strage di San Bernardino

Se non si riconosce il nemico è impossibile sconfiggerlo. E nei confronti del terrorismo islamico abbiamo ottime probabilità di perdere la battaglia non a causa della mancanza di mezzi militari o per scarsità dell’intelligence, ma a causa di un grave deficit culturale, che ci impedisce di chiamare le cose con il loro nome.

La strage di San Bernardino, in California, con 14 vittime che partecipavano a un ricevimento in un centro per disabili, ne è l’ennesima quanto preoccupante prova. A tre giorni dall’episodio e benché l’Fbi indaghi ormai chiaramente per terrorismo, in bocca ai politici e ai media la parola è tabù, così come si evita di insistere sul fatto che i due killer, uccisi a loro volta, fossero islamici. «Islamici per caso», sembrerebbe da certe ricostruzioni. Si preferisce invece lanciare l’ennesima campagna contro la libera vendita delle armi, un cavallo di battaglia del presidente Obama, malgrado l’arsenale ritrovato nell’abitazione della coppia – comprese rudimentali bombe fatte in casa - suggerisca che non si tratta di normali acquirenti di armi. Qualsiasi siano le motivazioni che hanno spinto Syed Farook e sua moglie Tashfeen Malik a imbracciare le armi.

Questo non vuol dire negare che ci possa anche essere un problema nella libera circolazione delle armi, ma questo è un altro argomento. Quello che è avvenuto a San Bernardino è chiaramente un atto di terrorismo, con una preparazione accurata e un’azione da commando analoga a quella usata lo scorso 13 novembre in Francia. E chi fa terrorismo non si preoccupa molto di dover acquistare armi in un regolare negozio. È vero che ci sono ancora molti punti da chiarire, soprattutto sulla personalità dei due attentatori, cosa che non deve far saltare subito a delle conclusioni, ma è anche difficile evitare di notare la fede islamica dei due, soprattutto la donna che sui social network aveva professato la sua fedeltà allo Stato islamico. Ma è evidente l’imbarazzo di giornalisti e politici nel dover ammettere queste circostanze.

Lo si è visto fin dal primo momento: «Sono bianchi», dicevano le prime agenzie quasi con sollievo parlando dei responsabili. Poi subito dopo, ecco qualcuno aggiungere probabili riferimenti alla destra fondamentalista cristiana. E giù a ricordare l’attacco alla clinica per gli aborti della scorsa settimana, che per inciso con i pro-life identificati come destra cristiana non aveva niente a che vedere. Ma per chi vuole a tutti i costi dimostrare che ci sono fondamentalisti anche tra i cristiani e che questi uccidono o possono uccidere come quelli islamici, i fatti contano poco.

La scoperta che invece - prima uno, poi l’altra - si trattava di islamici, di un bianco un po’ più scuro di quello solitamente presente sulle facce degli americani di origine nord-europea, ha lasciato costernati. Così si è subito passati a ipotizzare la classica lite con colleghi di lavoro o con la struttura, che diverse volte negli States ha armato la mano di menti malate. Nessuno dei conoscenti però parla di problemi psichici o similari dei due, il che esclude la tesi del “pazzo”. I motivi personali ancora non si possono escludere del tutto, ma date le dinamiche è più probabile che eventuali conti da regolare abbiano al massimo determinato l’obiettivo da colpire, non la decisione di fare una strage.

Fatto sta che, mentre l’Fbi indaga per terrorismo, Obama e il New York Times hanno come unico argomento la libera circolazione delle armi. 

Ma questo non è l’unico caso. Da un po’ di tempo è invalsa l’abitudine da parte dei leader occidentali di riferirsi allo Stato Islamico come al Daesh. Questo in effetti è l’acronimo arabo di Isis, ma ha il vantaggio in Occidente di non riferirsi direttamente all’islam. Perché ormai la tesi politicamente corretta è che lo Stato Islamico con l’islam non c’entra. Anche qui: è pur vero che non tutti i musulmani sono terroristi, ma negare che questo terrorismo abbia una radice religiosa è da ciechi.

Non basta però: visto che è in corso la Conferenza di Parigi sul clima si moltiplicano i discorsi – vedi il segretario di Stato americano John Kerry – che al riscaldamento globale imputano anche il terrorismo e la guerra in Siria. Perché – è questa la tesi – il cambiamento di clima ha spinto una parte rilevante della popolazione mediorientale a spostarsi, con tutte le conseguenze del caso compresa appunto la guerra contro Assad. E poi, si sa che il cambiamento di clima rende più poveri e siccome il terrorismo nasce dalla povertà, il cerchio si chiude. Fossimo al bar si potrebbe anche sorridere delle tesi bizzarre dello “scemo del villaggio”. Il problema è che lo “scemo del villaggio” si è insediato saldamente nelle cancellerie occidentali e si inventerebbe qualsiasi cosa pur di non riconoscere la realtà. Tanto è vero che ci sono sempre enormi moti di stupore quando dopo gli attentati emerge che i terroristi non erano affatto poveri o disadattati.

È così che – in questo nulla politicamente corretto in cui sta affogando la società occidentale – finirà che per fermare il terrorismo ci si affiderà ai “fratelli musulmani”, che almeno non sono violenti e che ci hanno promesso che ci lasceranno andare ancora al bar e in discoteca. Facendo finta di non vedere che essi perseguono lo stesso disegno del Califfato, ma arrivandoci per via politica, e legittimandosi grazie anche al terrorismo (“fratelli che sbagliano”) che aiuteranno a fermare.