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PATRONO D'EUROPA

San Benedetto, il solo che può salvare ancora l'Occidente

San Giovani Paolo II scrisse: «Al tempo di san Benedetto la comunità ecclesiale e la società umana mostravano molte somiglianze con le condizioni attuali della vita umana». Come oggi, anche allora i problemi nella Chiesa e l'incertezza del futuro «gettavano gli animi nel turbamento». Occorre quindi «cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui», disse il papa Emerito, e vivere la gratuità, in qualcosa che «assomigli al canto gregoriano», come spiegò Saint-Exupéry.

- L'UE DELL'ARTE E LE SUE RADICI - di Antonio Tarallo

Ecclesia 11_07_2020

L’elezione di Ratzinger al Soglio Pontificio con il nome di Benedetto XVI aveva riportato alla luce anche la figura del grande Patriarca, patrono d’Europa. Ratzinger, già prima del 19 aprile 2005, aveva manifestato tutto il suo interessamento alla persona e all’opera del Santo nursino. O meglio, di Dio attraverso san Benedetto. In realtà, Benedetto XVI non è stato il primo Papa a voler sottolineare il significato profetico del grande monaco.

Nel 1964, Paolo VI gli aveva dedicato la lettera apostolica Pacis Nuntius, con la quale proclamava Benedetto Patrono d’Europa. Poi, esattamente quarant’anni fa, un’altra lettera apostolica, questa volta di Giovanni Paolo II, celebrava il quindicesimo centenario della sua nascita: «Al tempo di san Benedetto – scriveva Wojtyla - la comunità ecclesiale e la società umana mostravano molte somiglianze con le condizioni attuali della vita umana. Gli sconvolgimenti della cosa pubblica e l'incertezza del futuro [...] arrecavano mali che gettavano gli animi nel turbamento e nell'angoscia: fino al punto da ritenere la vita priva di ogni certo e valido significato. Intanto nell'ambito della Chiesa era in atto un'ardua e diuturna controversia per la quale uomini ardenti, investigavano, in modo piuttosto animoso i misteri di Dio [...]. San Benedetto, considerando attentamente questo stato di cose, chiese a Dio ed alla viva tradizione della Chiesa la luce e la via da seguire. La risoluzione da lui presa, pertanto, può essere considerata il paradigma del dovere cristiano nelle vicissitudini del pellegrinaggio terreno».

Il Magistero della Chiesa, soprattutto nell’epoca tormentata del post-concilio e della post-modernità, ha dunque voluto offrire il paradigma per non smarrirsi.

Memorabile ed intramontabile la conferenza del 1° aprile 2005 di Benedetto XVI a Subiaco, poco prima della sua elezione a Pontefice Sommo, dal titolo significativo L’Europa nella crisi delle culture. Ratzinger aveva affondato il bisturi nel cancro del razionalismo moderno, offrendo come farmaco il semplice e disarmante rimedio benedettino: «Nulla assolutamente antepongano a Cristo, il quale ci potrà condurre tutti alla vita eterna».

Poi il secondo intervento monumentale, quello del 12 settembre 2008 al Collège des Bernardins, quando Benedetto XVI lanciava il Quaerere Deum come via di salvezza per questa Europa moribonda: «Cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura». L’idea di un umanesimo vero, fondato su Dio e sulla ricerca di Lui, era già stato il cuore dell’Udienza dell’8 aprile dello stesso anno: «Il grande monaco rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero».

Queste parole risuonano oggi con ancora più forza, soprattutto dopo che il Papa emerito ha avuto la lucidità ed il coraggio di sintetizzare il problema del nostro tempo (e di ogni tempo!), come una grave e profonda crisi dell’esistenza cristiana, che deriva dalla crisi della fede. Il ritorno a san Benedetto, al cuore del monachesimo, si configura pertanto come la più radicale reazione risanatrice. Il mondo e l’Europa sono in una crisi senza precedenti, perché è l’esistenza cristiana ad essere gravemente malata; la ragione di ciò è semplice e tragica: se noi, raggiunti da Cristo nel nostro Battesimo, non poniamo più la ricerca di Lui - e il lasciarsi trovare da Lui, come ha precisato Papa Benedetto – come elemento portante della nostra identità ed esistenza, il mondo si smarrisce e le tenebre avanzano, fino ad oscurare tutto. Senza Dio l’uomo si perde, senza la fede vera l’umanesimo crolla.

E se il vero umanesimo viene meno, allora avanza necessariamente un altro sinistro umanesimo, tanto seducente quanto venefico; «La vera minaccia della Chiesa e quindi del ministero petrino [sta] nella dittatura mondiale di ideologie apparentemente umanistiche», ricordava di recente il Papa emerito, rispondendo al giornalista Peter Seewald (vedi qui). Da un lato dunque il vero umanesimo, fondato in Dio e a Lui orientato, nella gratuità dell’amore filiale, e dall’altra ciò che appare come un nuovo umanesimo, ma che in realtà è espressione di «un credo anticristico, opponendosi al quale si viene puniti con una scomunica sociale».

La figura di san Benedetto, il suo insegnamento, le strutture portanti della Regola assumono quindi una dimensione “apocalittica” ed inseriscono il monachesimo nel cuore della grande battaglia tra il Drago e la Donna, tra le due Bestie e la Chiesa. Norcia e l’Umbria, che hanno dato i natali al grande Patriarca d’Occidente, ponte verso l’Oriente, dove la sua figura è venerata ed amata, ma anche porta che ha fatto entrare quell’Oriente monastico in Europa nel VI secolo, Norcia e l’Umbria non a caso si trovano nel cuore dell’Italia; e non a caso sono state le zone più colpite dai recenti terremoti. Il crollo della basilica costruita sulle fondamenta della casa di Benedetto e Scolastica è un grande segno, che deve far riflettere; così come deve far riflettere che proprio la statua del Santo, posta nella cripta della Basilica, sia stata ritrovata impolverata, ma integra (vedi il commovente video, qui).

Per chi, come chi scrive, la notte della prima scossa, si trovava lì a Norcia, e si stava recando a pregare il Mattutino con i monaci, che sarebbe iniziato alle 3:45 (la scossa è stata alle 3:36), ricordare i dettagli di quello che è avvenuto è un grande insegnamento, una strada segnata per quello che abbiamo davanti a noi. Tutti, istintivamente, ci siamo riuniti nella grande piazza, attorno alla statua del Santo, insieme ai monaci. Così il Magistero della Chiesa, in epoca di grandi crolli, di paure e smarrimenti, che stanno aumentando di giorno in giorno, per oltre cinquant’anni ha indicato ai cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà di radunarsi attorno a questo grande Santo, per riscoprire la grande vocazione monastica della Chiesa e della vita cristiana.

La vita monastica altro non è se non la permanenza in tutta la storia della Chiesa del “principio mariano”, per dirla con Von Balthasar; perché la Chiesa è essenzialmente, primariamente ed escatologicamente la Sposa di Cristo, tutta protesa, come la sposa del Cantico dei Cantici, ad udire la voce dello Sposo ed a cercarlo «per le strade e per le piazze» (3, 2).

In piena Seconda Guerra Mondiale, con tutti i suoi orrori, la sua disumanità, le sue stragi di cui egli stesso cadrà vittima, Antoine de Saint-Exupéry, il “papà” de Il piccolo Principe, aveva compreso, con gli occhi dell’artista, qual è il vero problema degli uomini: «C’è un solo problema, uno solo in tutto il mondo. Regalare agli uomini un significato spirituale, inquietudini spirituali. Far piovere su di loro qualcosa che assomigli a un canto gregoriano. Non si può vivere solo di frigoriferi, di bilanci, di parole incrociate».

Bisogna avere l’innocenza di San Benedetto e di Santa Scolastica – che qualcuno potrebbe ritenere ingenuità - per capire che la soluzione di tutti i nostri problemi è racchiusa nella gratuità e nel coraggio di qualcosa che «assomigli a un canto gregoriano».