Saltano i vertici della Libia, spartita da potenze straniere
Saltano i vertici di entrambe le fazioni in guerra in Libia. A Bengasi cade il governo di al-Thinni, mentre il generale Haftar consolida il potere. A Tripoli al- Sarraj annuncia le dimissioni. La crisi è pilotata. La Turchia pone il protettorato sulla Tripolitania e la Cirenaica è nell'area di influenza di Egitto, Russia ed Emirati. L'Italia, ormai gregario della Turchia, subisce il sequestro di pescatori, da parte di Haftar, e non reagisce neppure
In Libia stanno saltando le leadership politiche che hanno guidato le due fazioni che si sono combattute in questi anni. Da settimane si registrano disordini e manifestazioni popolari nella Tripolitania governata da Fayed al Sarraj come nella Cirenaica del premier Abdullah al-Thinni. Territori e governi diversi ma motivazioni comuni: le proteste sono state infatti generate dal malcontento per crisi economica, carenza di servizi e corruzione.
Lecito però ritenere che dietro tali manifestazioni si celi la volontà degli sponsor esterni delle due fazioni libiche di pilotare la situazione politica nelle due aree in cui è diviso il paese per porre ai vertici del potere uomini graditi: a Tripoli all’asse Turchia-Qatar e a Tobruk all’alleanza Emirati Arabi Uniti-Egitto-Russia. Ingerenze esterne che sono ornai una regola dopo gli sviluppi militari dell’estate che hanno visto Tripoli liberarsi dall’assedio delle truppe di Haftar grazie alle armi e ai combattenti inviati da Ankara e sostenuti dai fondi di Doha mentre il generale della Cirenaica si è consolidato sulla linea del fronte che da Sirte corre verso il deserto fino all’oasi e base aerea di al-Jufra grazie alle armi del Cairo e di Abu Dhabi, ai caccia Mig e ai contractors di Mosca. Come avevamo ipotizzato su queste pagine quegli sviluppi militari avrebbero decretato la fine della sovranità delle rispettive e rivali autorità libiche.
Il primo a cedere è staro il premier della Cirenaica, al-Thinni, in carica dal 2014 ma dimessosi dopo un paio di giorni di manifestazioni contro di lui forse a favore di Ibrahim Buchnaf, ministro dell'Interno del governo indicato da molte fonti come prossimo premier. Di certo il vero protagonista di questa crisi pilotata è il presidente del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, emerso dopo la sconfitta militare di Haftar a Tripoli come l’uomo forte della Cirenaica e soprattutto come il referente politico più forte a cui affidare la gestione delle trattative per un’intesa che potrebbe concludere la guerra sancendo di fatto l’esistenza di “due Libie”.
Se arabi e russi guardano a Saleh come pilastro della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar certo non ci sta a farsi emarginare ed è tornato alla ribalta con nuove iniziative militari nonostante i manifestanti abbiano attaccato il suo quartier generale a Bengasi e per la prima volta si sono verificati scontri nella sua roccaforte di Al-Maj. Innanzitutto Haftar ha reso noto di aver rimesso in sesto un certo numero di missili balistici tattici Scud che l’esercito di Gheddafi aveva acquisito a Mosca (un paio li lanciò nel 1986 contro la stazione della Marina americana a Lampedusa), armi che da Sirte potrebbero colpire le basi turche a Misurata. Il ripristino delle condizioni operative di queste armi può essere stato effettuato solo grazie ai tecnici russi che affiancano le forze di Haftar e che hanno già rimesso in servizio molte armi non più operative ereditate dalle caserme di Gheddafi, dai missili antiaerei Buk e SA-3 ai carri T-55 ai missili antinave PT-15.
Oltre a mostrare i muscoli a parole l’Esercito Nazionale Libico (LNA) di Haftar ha inoltre sgominato una milizia dello Stato Islamico nell’area desertica di Sebha dove sembra sia stato ucciso il "califfo" dello Stato islamico in Libia. Il portavoce dell'LNA, colonnello Ahmed al Mismari ha reso noto che "dopo aver ricevuto informazioni sul movimento di una cellula terroristica a Sebha l'esercito ha escogitato un piano per assaltare il quartiere in cui si nascondeva il gruppo. La battaglia è durata sette ore con l'uccisione di nove miliziani e l'arresto di due donne". Al Mismari ha detto: "Abu Abdullah, il nuovo califfo dello Stato islamico in Libia, è stato ucciso durante l'operazione". I caduti dell’IS sarebbero quattro libici, due sauditi, due yemeniti e un australiano. Le iniziative di successo dell’LNA confermano il ruolo di Haftar che tra i suoi fedelissimi (anche per affinità e rapporti tribali) può contare anche sul probabile neo premier Buchnaf, vicino a egiziani ed emiratini, a conferma di quanto fossero infondate le valutazioni diffusesi in Italia e in Europa circa l’ormai inevitabile tramonto di Haftar.
In Tripolitania invece i dissapori all’interno del Governo di Accordo Nazionale (GNA) non sono certo una novità ma sono rimasti quasi sopiti durante un intero anno di assedio di Tripoli sotto l’attacco delle forze di Haftar. Che la pesante influenza turca si facesse sentire in modo non certo morbido è emerso palesemente con i dissidi tra il premier al-Sarraj e il ministro dell’Interno Fathi Bashaga, uomo della Fratellanza Musulmana con molti appoggi in Turchia e Qatar. Anche in Tripolitania i disordini popolari hanno acceso la miccia per un rimpasto di governo pilotato da Ankara e Doha. Dopo aver rimosso Bashaga dall’incarico di ministro dell’Interno, al-Sarraj è stato costretto dai turchi e dalle milizie di Misurata fedeli al ministro a reintegrarlo e da un paio di giorni giravano voci della sua volontà del presidente di dimettersi dalla guida del governo. Molte fonti libiche, anche vicine al GNA, come pure fonti russe, davano già ieri mattina per certe le sue dimissioni, confermate poi ieri in serata dallo stesso al-Sarraj.
Parlando alla nazione in occasione della "Giornata del martire", ' l'89esimo anniversario dell’uccisione di Omar al Mukhtar, il capo della resistenza contro la colonizzazione italiana della Libia, impiccato davanti ai suoi seguaci nella città di Suluq il 16 settembre 1931, al-Sarraj ha annunciato la volontà di dimettersi entro fine ottobre dall’incarico di vertice del GNA che ricopre dal 2015. "Annuncio a tutti il mio sincero desiderio di trasferire i miei poteri a una nuova struttura esecutiva al più tardi entro fine ottobre", ha detto spiegando di voler restare al suo posto per il disbrigo degli affari correnti fino alla consegna del potere al nuovo premier. Quanto al suo successore è evidente che si tratterà di un uomo gradito a Doha e Ankara. Forse lo stesso Bashaga ma più probabilmente un altro misuratino, il vicepresidente del GNA Ahmed Maitig, politico moderato molto apprezzato anche negli Stati Uniti, in Europa e in Italia. Ieri il ministro della Difesa turco Hulusi Akar lo ha incontrato confermando che la Turchia continuerà a fornire consulenza e assistenza formativa nei campi militare e di sicurezza al GNA.
Esaminando questi radicali muramenti nello scenario politico delle “due Libie” vale la pena evidenziare che proprio in questi giorni si sono tenuti incontri e consultazioni tra funzionari dei ministeri di Esteri e Difesa turchi e russi per prendere in esame gli sviluppi delle crisi in Libia e Siria. L’uscita di scena di al-Thinni e al- Sarraj potrebbe favorire una nuova composizione del Consiglio presidenziale in grado di riunire tutte le parti e indire le elezioni: iniziativa che permetterebbe a turchi e russi di offrire alla comunità internazionale la stabilizzazione dell’ex colonia italiana consolidandovi al tempo stesso le rispettive aree di influenza.
A questi sviluppi appare totalmente estranea l’Italia, ormai ridotta al ruolo di gregario della Turchia in Libia come nella crisi del Mediterraneo Orientale. Unica vicenda libica che vede Roma protagonista è quella dei 18 pescatori italiani e tunisini di due pescherecci di Mazara del Vallo catturati il 4 settembre in acque internazionali dalle motovedette dell’LNA di Haftar e detenuti in carcere a Bengasi. A quanto sembra i libici non intendono rilasciare i pescatori finchè "non saranno rilasciati finche' l'Italia non farà altrettanto con quattro calciatori libici", in realtà trafficanti di esseri umani arrestati e condannati In Italia. La Farnesina cerca di sbloccare la situazione facendo pressione sugli alleati di Haftar, russi, egiziani ed emiratini affinchè esercitino un’influenza positiva sulle autorità della Cirenaica. L’impressione però è che il ricatto di Tobruk sia solo un escamotage di Haftar per “punire” l’Italia per il suo assoggettamento alla Turchia e per ridicolizzare il ruolo di Roma, ormai vera e propria comparsa nelle vicende libiche.